Yusuf Cat Stevens: ho capito che era giusto tornare a suonare la chitarra

Il cantautore racconta a Desert Island Discs del suo allontanamento dai fans, e delle sue difficoltà nel seguire un percorso spirituale.

Il cantautore ora noto come Yusuf  Cat Stevens ha parlato della sua dolorosa decisione di abbandonare la musica nel 1977, quando si era appena convertito all’Islam, e della difficoltà di essere visto come rappresentante dei principi della fede islamica.

Stevens ha confessato: “È stato un bello strattone. Mi sono sentito responsabile verso i miei fans e avevo paura di avere comportamenti ipocriti. Così affrontai la realtà, smisi di cantare e iniziai a lavorare a ciò in cui credevo.”

Il cantante, che in precedenza si esibiva come Cat Stevens, quando cambiò fede, assunse il nome di Yusuf Islam. Ora usa entrambi i nomi. 

Stevens diceva che all’inizio avrebbe voluto fare da ponte fra due grandi culture, tuttavia, quando è diventato musulmanol’Islam, il pubblico in Occidente gli è rivelato ostile. “Da una parte, la gente diceva, ‘è un traditore’. ‘Si è fatto turco’, dall’altra, spesso sono stato utilizzato come portavoce, e in certe occasioni i miei interventi furono molto utili.  

Il settantaduenne musicista inglese, ancora famoso a livello internazionale per canzoni come Father and Son, The First Cut is the Deepest, Moonshadow e Wild World, ha detto di aver sperato che i suoi fans avrebbero capito che aveva trovato qualcosa di più importante della musica, ma si sbagliava. 

“Pensavo, ‘tutti capiranno’, ma le cose non sono state così semplici. Tutti volevano soltanto che io continuassi a far musica.” Parlando domenica al programma della BBC Radio 4 Desert Island Discs, il cantante, nato nel quartiere londinese di Soho da un padre Greco-cipriota e da una madre svedese, e il cui nome alla nascita era Steven Demetre Georgiu, ha raccontato della gioia che ha provato quando ha deciso dopo vent’anni di riprendere in mano la chitarra.

È stata magia pura. Avevo riposato per due decenni, e ero pieno di idee. Sapevo che era giusto.

Uno dei periodi più difficili per Stevens, ci rivela, è stato quando fu rappresentato come un sostenitore della fatwa iraniana che costrinse il romanziere Salman Rushdie alla clandestinità nel 1989. 

Ha raccontato: “Non ero sicuramente pronto e attrezzato per avere a che fare con giornalisti così aggressivi.”

“Fui furbescamente etichettato grazie a certe domande. Non ho mai sostenuto la fatwa. Ho dovuto passare attraverso tutto questo.”

In una tranquilla conversazione rispetto alla fama che lo investì 50 anni fa con l’uscita dell’acclamato album Tea for the Tillerman, Stevens ha ricordato la paura del palcoscenico che lo colse prima di presentarsi di fronte ad una gran folla, e il discutibile aiuto ricevuto dal collega artista Engelbert Humperdinck. “Ero molto spaventato,” ha detto. “Allora, Engelbert mi diede un terribile beverone di Brandy e di Porto.”

Il viaggio spirituale che lo ha condotto all’Islam iniziò quando durante un grave attacco di Tubercolosi quando era un adolescente. Durante il soggiorno in ospedale durato tre mesi a Midhurst nel Sussex, iniziò a leggere libri buddisti. Continuò qualche anno dopo, quando suo fratello gli diede un Corano e degli insegnamenti islamici e dopo aver rischiato l’annegamento mentre nuotava al largo di Malibu si convertì all’Islam. “Non avrei mai pensato di prendere in mano un Corano. Ma quella fu la via di accesso. Dopo un anno non fui più in grado di resistere. Dovetti inchinarmi.”

Stevens mette in risalto ancora una volta l’importanza che la musica ha avuto nella sua vita. “È ancora una cosa mistica. Qualcosa che permea la nostra emozione, la nostra anima, a volte il nostro intelletto. Il nostro corpo si muove con lei. Non sapevo dove stessi andando ma la musica mi ci ha portato.” 

Scrivere nella sua giovinezza una canzone popolare, ammette Stevens, era un processo cosciente. “Sapevo quando stavo scrivendo una canzone di successo, ed ero eccitato al pensiero che altre persone la ascoltassero. In un certo senso, devi essere un fan della tua musica, un fan di te stesso.”  

 

Articolo originale pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian