Il 27 settembre le truppe azere hanno sferrato un’offensiva contro le truppe armene che occupano il Nagorno-Karabakh. Non è molto chiaro chi abbia sferrato il primo attacco, ma è evidente che questa non è una delle tante schermaglie tra Armenia e Azerbaijan alle quali abbiamo assistito dal cessate il fuoco del 1994.
Si tratta, infatti, di un chiaro tentativo azero di riconquistare il territorio perso ventisei anni fa grazie al sostegno militare turco e quello diplomatico russo. Per meglio capire questo ennesimo conflitto vale la pena, però, partire dal ricordare cosa sia il Nagorno-Karabakh.
Il Nagorno-Karabakh era un oblast autonomo, un’unità amministrativa sovietica, all’interno della Repubblica Socialista dell’Azerbaijan, una delle 15 repubbliche che, dopo il 1991, divennero stati indipendenti. L’oblast, che all’epoca aveva una popolazione mista armena e azera, fu creato nel 1921 da Stalin per compensare l’Armenia della perdita della regione autonoma del Nakhchevan, a maggioranza azera, che passò all’Azerbaijan anche per poter tranquillizzare la Turchia che stava combattendo contro l’occupazione imperialista.
L’oblast divenne, dunque, un enclave dipendente dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Armenia all’interno del territorio dell’Azerbaijan. Quando iniziò la dissoluzione dell’Unione Sovietica, esplosero diversi conflitti nel Caucaso sovietico—molti dei quali ancor oggi insoluti. Nel 1988, il parlamento locale indisse un referendum per l’annessione dell’oblast all’Armenia, che fu boicottato dalla minoranza azera. Da allora sulle montagne iniziarono scontri violentissimi che poi si trasformarono in una lunga guerra tra le due ex-repubbliche sovietiche.
Gli scontri interetnici sfociarono più volte in efferati crimini contro la popolazione civile, come ad esempio il pogrom nel villaggio azero di Khojaly nel 1992, dove forze irregolari e regolari armene massacrarono la popolazione civile. In quello stesso anno, la Russia iniziò a sostenere con ingenti quantitativi di armi la formazione dell’esercito regolare armeno. Nel 1993, le forze armene erano riuscite ad ottenere grandi successi sul terreno grazie anche all’instabilità politica in Azerbaijan. L’instabilità nel paese continuò fino a quando, nell’ottobre 1993, Heydar Aliyev, un ex-ufficiale del KGB e leader del Nakhchevan, fu eletto alla presidenza dell’Azerbaijan. Aliyev lavorò alla ricostruzione del paese, sull’orlo della guerra civile, e accettò le difficili condizioni del cessate il fuoco nel 1994 anche se l’Armenia non solo controllava l’enclave del Nagorno-Karabakh ma anche tutte le zone tra la regione e l’Armenia che corrisponde al 20% dell’Azerbaijan.
Dopo il cessate il fuoco, il Nagorno-Karabakh fu trasformato nella Repubblica di Artsakh, teoricamente indipendente ma non riconosciuta dalla comunità internazionale e di fatto parte dell’Armenia. L’Azerbaijan, invece, aveva abolito nel 1991 l’oblast autonomo.
La comunità internazionale, che non era riuscita a fermare il conflitto, cercò una mediazione per numerosi anni ma non si è mai giunti ad una pace definitiva, anche perché le parti non erano pronte ad un compromesso. L’Armenia poteva contare sul sostegno russo (che mantiene una base militare vicino al confine con la Turchia) e simpatie in Iran e in Occidente, dove gode di una potente lobby negli Stati Uniti e in Francia. Il paese, però, rimaneva isolato nella regione a causa delle dispute territoriali con la Turchia e nessun sbocco sul mare. L’Azerbaijan invece, sotto Aliyev si riprese e beneficiò dei proventi dalle esportazioni di gas e petrolio attraverso gli oleodotti che arrivano nel Mediterraneo attraverso Georgia e Turchia.
Oggi, dunque, il conflitto sembra arrivato ad una svolta. Anche se l’Azerbaijan è un paese sciita, Ilham Aliyev (figlio di Heydar al potere dal 2003) ed Erdogan hanno costruito ottime relazioni grazie anche all’affinità delle due lingue, al fatto che l’Azerbaijan esporta essenzialmente attraverso il porto turco di Ceyhan i propri idrocarburi, e che la Turchia beneficia dei capitali azeri investiti nel paese. Israele aveva già contribuito a modernizzare l’arsenale azero e a ridurne la dipendenza dalla Russia.
La Turchia, poi, vi ha trasferito una grande quantità della propria tecnologia bellica. Tra il 29 luglio e il 10 agosto scorso, l’Azerbaijan e la Turchia hanno condotto esercitazioni congiunte tra la capitale Baku e la città di Ganja contribuendo notevolmente alla modernizzazione dell’esercito azero. In modo particolare la Turchia ha venduto all’Azerbaijan i droni che ha sviluppato e che aveva utilizzato nella guerra contro il PYD in Siria.
Per questa ragione il presidente armeno, Nikol Pashinyan, ha accusato la Turchia di partecipare al conflitto. Le forze armate turche, però, non partecipano direttamente al conflitto, ma hanno fornito sicuramente il know-how necessario. In realtà l’esercito azero sta adottando una strategia molto simile a quella turca ad Afrin: indebolimento del nemico con l’uso dei droni, avanzata lenta ma che permette di costruire postazioni solide nei villaggi che in passato erano azeri.
La Turchia così spera di mettere fine, almeno in parte, all’accerchiamento dei propri confini da parte di forze ostili e la costruzione di relazione ancora più forte con l’Azerbaijan. Passati tentativi di riavvicinamento tra Yerevan ed Ankara, erano falliti proprio per l’irrisolto conflitto con l’Azerbaijan. Erdogan ha anche bisogno del sostegno dell’opinione pubblica interna, con cui ha dei problemi, ma che trasversalmente sostiene i fratelli turchi del vicino Azerbaijan.
E la Russia? Mosca ha sempre propenso per l’Armenia ma, oggi, sembra interessata a dimostrare (ancora una volta) l’incapacità occidentale di arbitrare e di aiutare le parti a raggiungere la pace. Putin, che non vuole una guerra totale tra i due paesi, sta probabilmente attendendo che gli azeri guadagnino parte del terreno che avevano perso all’inizio degli anni ’90. L’Azerbaijan nel 1994 ha perso ben il 20% del proprio territorio (il 40% se contiamo l’oblast rivendicato) ed ha bisogno di guadagnare terreno per poter arrivare ad una pace. L’Armenia, solo in quel caso, sarà forzata ad una pace alle condizioni della Russia che si potrà vantare della sua posizione di arbitro tra i due paesi, entrambi parte della fascia che protegge la Grande Madre Russia.
Sembra molto probabile che il conflitto si concluda in questo modo e finirà per rafforzare ancora una volta Putin.