Nel nostro caro paese il calcio è da sempre un simbolo sociologico dove si incrociano le contraddizioni dello spirito italico. La surreale vicenda della cosiddetta partita fantasma tra Napoli e Juve non fa eccezione. Nel cuore di questo pasticciaccio due volti si contrappongono: la faccia protocollare di Agnelli e il volto da caudillo di De Laurentiis.
Da una parte la ripetizione assiomatica propria di ogni sistema aziendale: col volto privo di sorriso o di rabbia, integrato e subdolo, il potere somiglia alla perfezione di una catena di montaggio che si tramanda, si esercita e si ripete, mostrando la sua superficie rilucente e agendo nell’ombra.
Dall’altra l’imprevedibilità di un sorriso viscido, lo sguardo sardonico di un uomo imprenditore che si erge a sistema di sé stesso; padre-padrone che rifiuta la logica del sistema, ama il protagonismo della luce e non disdegna l’esercizio del capriccio. Nulla di nuovo insomma, la solita contrapposizione tra l’efficienza grigia e vincente del Nord, contro l’imprevedibilità tormentata, pittoresca e perdente del Sud. Accade però che tra Juve e Napoli all’improvviso si insinui un personaggio terzo, capace di trasformare un fastidioso ospite virale in un prezioso strumento di potere: lo sceriffo De Luca.
Rieletto con plebiscito popolare, forte dei suoi pressoché quotidiani interventi-fiume su una rete locale, degni di un Castro o di un Chavez di periferia, si è erto nell’ultimo anno a paladino della lotta contro il Coronavirus, nemico più efficace della camorra, dell’inciviltà, della spazzatura o delle secolari inefficienze strutturali, per imporre il suo ormai consolidato stile governativo. Una sfida costante cogli altri Presidenti di regione, tessuta intorno ad ordinanze, dichiarazioni e provocazioni, che negli ultimi mesi ha trasformato l’Italia in una disordinata addizione di diversi Stati Regione.
Così siamo arrivati all’ultimo colpo di scena: il provvedimento dell’ASL di Napoli, che sotto la giurisdizione della Regione Campania, ha vietato ai giocatori del Napoli di recarsi in trasferta a Torino. Subito ha destato stupore tale improvvisa solerzia dell’Azienda Sanitaria, scaturita dalle sorti del povero cittadino Zielinski, finché non ci si è ricordati della stretta amicizia tra i due caudillos De Laurentiis e De Luca. Un’amicizia pubblicamente consolidata dal recente sostegno offerto dal Presidente del Napoli, durante le ultime elezioni regionali. Un appoggio che in ossequio ad uno stringente principio di identificazione, si è manifestato in un semplice messaggio :“il Napoli sostiene De Luca.”
Nel frattempo la catena di montaggio torinese non si è fermata, ne ha approfittato per ribadire di seguire le regole, un vecchio cruccio da tanto tempo rinfacciato. Insomma un’ulteriore conferma del proverbiale stile juventino, che rimpiange un’aristocrazia ormai perduta, costringendosi a rifugiarsi sotto il manto di una borghese grettezza. Lo stile assertivo e vuoto del vincente che si spinge fino a ad accendere i riflettori di uno stadio vuoto, vestire i calciatori, farli scendere in campo, regalandosi un 3-0 a tavolino (non ancora sicuro…) e regalando agli spettatori uno spettacolo grottesco, a dire il vero un po’ stridente rispetto al grigio rigore a cui ci eravamo abituati.
Proprio il mito del rigore, che grazie a questa vicenda alimenterà ancora l’ego di De Luca, mentre sui vantaggi tratti da De Laurentiis molti interrogativi ancora restano inevasi. Infatti il Governatore vedrà risplendere ancora una volta l’immagine dell’efficienza della sua gestione dell’emergenza, nel cui specchio glorificherà per un po’ il personale narcisismo. Dall’altra parte il Presidente ha il sicuro vantaggio di confinare nel Centro Sportivo l’intera squadra, evitando le partenze sparse dei calciatori con le Nazionali e recuperando gli infortunati e gli inquarantenati. Ma sono motivi sufficienti per scatenare una sceneggiata sportiva di questa portata?
Certo, si dirà: ma la Salute in tutto questo? Non è stato una semplice maniera di difendere la salute dei cittadini? E dietro queste domande, altre frasi retoriche: la priorità è la scuola, non il calcio! Basta coi privilegi del mondo del calcio! In un tale corteo di luoghi comuni, si dimentica una sostanziale verità: il calcio è la nostra Hollywood, trasforma l’immaginario in soldi, cadenza il ritmo delle settimane del maschio italiano medio, riempie le pause nelle conversazioni, risveglia l’appartenenza, ritualizza l’odio.
Insomma, il calcio in Italia è una delle prime aziende e di sicuro la prima fabbrica d’immaginario quotidiano. Finché una buona parte della popolazione resta ipnotizzata davanti alle partite, è solo patetico il periodico disgusto verso i privilegi attribuiti al mondo del calcio.
Se davvero emergessero una nausea collettiva e un malcontento popolare, allora milioni di italiani dovrebbero semplicemente boicottarlo. Ma non sarà così…e nel frattempo ci penserà il diritto col suo verbo a dirimere l’ennesima reincarnazione dell’opposizione Nord-Sud, mentre il vero conflitto sarà più esasperato sui social, visto che i bar con le prossime Ordinanze chiuderanno sempre prima.