Soldati e civili ebrei saccheggiarono in massa nel 48 le case e le proprietà dei vicini arabi. Le autorità si voltarono dall’altra parte.
Frigoriferi e caviale, champagne e tappeti. Il primo esaustivo studio su quanto accaduto dello storico Adam Raz rivela la portata del saccheggio da parte degli ebrei delle proprietà arabe durante la guerra di indipendenza, e spiega perché Ben-Gurion dichiarò: ‘la gran parte degli ebrei sono ladri’
Soldati dell’Haganah con oggetti saccheggiati agli arabi dopo la presa di Haifa, aprile 1948. Credit: Fred Chesnik / IDF and Defense Establishment Archive
“Un armadio di mogano l’abbiamo fatto diventare un pollaio, e abbiamo raccolto la spazzatura con un vassoio d’argento. C’erano stoviglie con decorazioni in oro, e stendemmo uno straccio sul tavolo e vi abbiamo appoggiato stoviglie e oro, e quando il cibo terminò, tutto fu portato nel seminterrato. In un altro luogo, trovammo un magazzino con 10.000 scatole di caviale, proprio tante. Da quel giorno i ragazzi non poterono più sentire l’odore del caviale per il resto della loro vita. C’era un senso di vergogna per quel comportamento da un lato, e un senso di impunità dall’altro. Abbiamo trascorso 12 giorni in quel luogo, quando Gerusalemme stava languendo per una terribile carestia, noi ingrassavamo. Mangiavamo polli e prelibatezze, da non credere. A Notre Dame (sede del quartier generale), c’era gente che si faceva la barba con lo champagne.”
– Dov Doron, testimonianza sul saccheggio di Gerusalemme
Il 24 luglio del 1948, due mesi dopo la Fondazione dello Stato di Israele, David Ben-Gurion, capo del governo provvisorio, indirizzò dure critiche al suo popolo: “risulta che la maggior parte degli ebrei siano ladri…lo dico di proposito e semplicemente, perché purtroppo è vero.” I suoi commenti si possono leggere nero su bianco nei verbali di una riunione del comitato centrale del Mapai, l’antenato del partito laburista, conservati negli archivi del partito.
“La gente della valle di Jezreel rubava! I pionieri dei pionieri, i genitori dei ragazzi di Palmach*(forze combattenti prima della fondazione dello Stato)! E tutti vi hanno preso parte, Baruch Hashem, la gente di (Moshav) Nahalal!… Colpo generale. È spaventoso, perché mette in mostra la macchia alla base. Furto e rapina – Tutto questo da dove proviene? Perché la gente di questa terra- costruttori, creatori, pionieri- ha fatto questo? Cosa è successo?”
Il documento è stato portato alla luce dallo storico Adam Raz durante la sua ricerca per il suo nuovo libro che, come suggerisce il titolo, affronta una questione molto dolorosa, delicata e sfuggente: “Looting of Arab Property in the War of Independence [Il saccheggio delle proprietà arabe nella Guerra di indipendenza] (Carmel Publishing House, in associazione con l’ Akevot Institute for Israeli-Palestinian Conflict Research; in lingua ebraica). Il compito di cui si è fatto carico era molto difficile: raccogliere, per la prima volta in un unico volume, tutte le informazioni esistenti sul saccheggio delle proprietà arabe durante la guerra di indipendenza israeliana del 1947-49- da Tiberiade nel nord, a Be’er Sheva nel sud; da Jaffa a Gerusalemme passando per i villaggi, le moschee e le chiese sparse lungo il cammino. Raz ha esaminato 30 archivi in tutto il paese, esaminato giornali dell’epoca e tutta la letteratura sull’argomento. Il risultato è sconvolgente.
“Molte componenti della popolazione israeliana – sia civili che militari- sono state coinvolte nel saccheggio di quello che apparteneva alla popolazione araba,” Ratz dice ad Haaretz. “Il saccheggio si è diffuso come un fuoco incontrollabile fra quella gente.” Riguardò ciò che era contenuto in decine di migliaia di case, di negozi, di fabbriche; e continua, componenti meccaniche, prodotti agricoli, bestiame e altro. Sono inclusi anche pianoforti, libri, abbigliamento, gioielli, mobilio, elettrodomestici, motori e automobili. Raz ha lasciato ad altri il compito di studiare cosa successe alla terra e agli edifici che 700.000 arabi che fuggirono o che furono espulsi si lasciarono alle spalle. Lui si è concentrato su oggetti facilmente trasportabili, articoli che potevano entrare in borse o essere caricati su dei veicoli.
* Il Palmach (in ebraico פלמ“ח, abbreviazione di פלוגות מחץ Plugot Maḥaṣ [pluˈgɔːt ma’χaːts] “compagnie d’attacco”), era la forza di combattimento regolare degli Yishuv (insediamenti ebraici) nella Palestina britannica, prima della fondazione dello stato di Israele. (NdT)
Ben-Gurion non è la sola figura di gran peso citata da Raz. Yitzhak Ben-Zvi, che fu molti anni prima compagno di studi di giurisprudenza di Ben Gurion, e in seguito secondo presidente israeliano, ha fatto anche lui riferimento al fenomeno. Secondo il suo racconto, coloro che si diedero al saccheggio erano “ebrei normali che considerano la rapina come cosa naturale e ammissibile.” In una lettera, datata 2 giugno 1948, a Ben Gurion citata da Raz, Ben-Zvi scrisse che quello che stava succedendo a Gerusalemme faceva uno “spaventoso” danno all’onore del popolo ebraico e alle sue forze combattenti.
Scrisse: “non posso restare in silenzio sulla rapina, sia che sia organizzata da gruppi, sia che non sia organizzata e sia opera di individui isolati. La rapina è un fenomeno generalizzato… Tutti converranno che i nostri ladri piombano sui villaggi abbandonati come cavallette su un campo o su un frutteto.”
L’importante lavoro di archivio di Raz ha fatto emergere innumerevoli fatti, fatti che mostrano sotto una luce penosa uomini importanti, membri dell’establishment, e giovani e meno giovani appartenenti alle classi popolari.
In un documento di archivio relativo a una custodia degli assenti (cioè, proprietà di palestinesi che lasciarono le loro case o il paese dopo il 29 novembre 1947, in seguito alla ripartizione ONU del paese e che furono prese in custodia dal governo israeliano), Raz trovò un rapporto del 1949 di Dov Shafir, il custode ufficiale, che afferma: “la fuga nel panico in massa dei residenti arabi, che si lasciarono alle spalle immense proprietà costituite da centinaia di migliaia di appartamenti, negozi, magazzini e officine; raccolti abbandonati nei campi e frutta negli orti, nei frutteti, nelle vigne, tutto questo nel mezzo del tumulto della guerra… Yishuv [comunità giudaica pre-1948 in Palestina] ha lottato contro una forte tentazione materiale…voglia di rivincita, giustificazioni morali e attrazioni materiali …eventi che si accavallavano sul terreno senza controllo.”
La testimonianza di Haim Kremer, che faceva parte della Palmach Negev Brigade e che fu inviato a Tiberiade per impedire i saccheggi, è stata trovata nell’archivio Yad Tabenkin, a Ramat Gan. Kramer dichiarava: “Come locuste, i residenti di Tiberiade sciamarono nelle case…dovemmo ricorrere ai manganelli e ai colpi, per respingerli e per costringerli a lasciare quello che avevano preso.”
Il diario di Yosef Nachmani, un residente di Tiberiade che è stato tra i fondatori della Organizzazione di difesa ebraica di Hashomer, si trova nei suoi archivi e contiene la seguente voce sugli eventi nella sua città nel 1948: “La folla ebraica si scatenò e cominciò a saccheggiare i negozi…a squadre, in gruppi gli ebrei iniziarono a saccheggiare le case e i negozi degli arabi.”
Scriveva Nahum Av, comandante dell’Haganah della città vecchia di Tiberiade, nelle sue memorie, che anche molti soldati, “non si trattennero e si unirono ai festeggiamenti.” Soldati ebrei che avevano combattuto contro gli arabi furono messi all’ingresso della città vecchia, scriveva, allo scopo di impedire ai residenti ebrei di irrompere nelle case degli arabi. Erano armati “per affrontare ebrei che provavano a forzare il blocco per entrare in città con lo scopo di rapinare e saccheggiare.” Per tutto il giorno, “la folla si accalcò lungo le barriere e cercava di fare irruzione. I soldati furono costretti a resistere con la forza.”
In questa situazione, Kremer annotava che “c’era competizione fra le diverse unità dell’Haganah…che arrivavano con auto e con barche e caricavano ogni genere di oggetti…frigoriferi, letti ed altro.” E aggiungeva: “Naturalmente, la folla di ebrei a Tiberiade fece irruzione facendo le stesse cose. Questo lasciò in me una molto triste impressione, la bruttura di tutto ciò. Ha macchiato la nostra bandiera…La nostra lotta è compromessa a livello morale…vergognosa…una tale caduta morale.”
Nel suo racconto Nauhum Av aggiungeva che si vedeva gente “vagabondare tra i negozi saccheggiati arraffando quello che era rimasto dopo la vergognosa ruberia. Pattugliavo le vie e vedevo una città che fino a non molto tempo prima era stata più o meno normale. Mentre ora era una città fantasma, spogliata, i suoi negozi devastati e le sue case prive di occupanti…Lo spettacolo più vergognoso era la gente che rovistava fra i cumuli che restavano dopo il grande saccheggio. Si vedevano le stesse umilianti scene ovunque. Pensavo: come è possibile? Tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere.”
Netiva Ben-Yehuda, una carismatica combattente Palmach che prese parte alla battaglia di Tiberiade, non ebbe mezze misure nella sua descrizione dei fatti. Scriveva: “Quelle immagini ci erano note. Era il modo in cui le stesse cose ci erano state fatte, nell’Olocausto, durante la guerra mondiale, e in tutti i pogrom. Oh, quanto bene conoscevamo quelle immagini. E qui, qui, stavamo facendo ad altri le stesse orribili cose. Caricammo tutto sul pulmino- con un terribile tremito alle mani, e ciò non a causa del peso. Anche adesso mi tremano le mani, solo scrivendone.”
Dice Raz che Tiberiade, conquistata dalle armi ebraiche nell’ aprile del 1948, fu la prima città mista arabo-ebraica ad essere conquistata nella guerra di indipendenza. Fu “un archetipo in miniatura di tutto quello che sarebbe successo nei mesi seguenti nel paese arabo e nelle città miste.”
Nel corso della sua ricerca, ha scoperto che non esistono dati ufficiali sui saccheggi, sulla loro portata materiale e economica. Ma senza dubbio quegli atti ebbero luogo diffusamente in ogni città.
In effetti, Raz trovò resoconti simili a quelli di Tiberiade nella documentazione relativa alla battaglia per Haifa, che ebbe luogo qualche giorno dopo, il 21 e il 22 aprile. Secondo Zeev Yitzhaki, che combatteva ad Halisa, un quartiere della città, “mentre combattevano e conquistavano con una mano, con l’altra trovavano il tempo di saccheggiare, tra le altre cose, macchine da cucire, giradischi e vestiti.”
Ha aggiunto Zadok Eshel, della brigata Carmelo che, “La gente arraffava tutto quello che poteva…Quelli con più iniziativa aprivano i negozi abbandonati e caricavano la mercanzia in ogni veicolo. Regnava l’anarchia. Nonostante la gioia per la liberazione della città e il sollievo dopo mesi di sanguinosi incidenti, era scioccante vedere la gran voglia dei civili di trarre profitto dal vuoto e fare incursione nelle case di gente che un destino crudele aveva fatto diventare profughi.”
Yosef Nachmani che visitò Haifa dopo che fu presa dalle armi ebraiche, scriveva, “anziani e donne, non importa l’età e la condizione religiosa, sono occupati a saccheggiare. E nessuno li ferma. Vergogna e disgrazia mi sommergono; ho voglia di sputare sulla città e di lasciarla. Tutto ciò lo pagheremo con l’educazione dei giovani e dei bambini. La gente ha perduto la capacità di vergognarsi, atti come questi minano i fondamenti morali della società.”
Il furto e il saccheggio erano così diffusi che il procuratore generale che seguì le forze combattenti ad Haifa, Moshe Ben-Peretz, dichiarò nel giugno del 1948: “Non è rimasto nulla da portar via agli arabi. Semplicemente un pogrom…e tutti i comandanti hanno scuse; ‘sono arrivato due settimane fa,’ ecc…non c’è nessuno da fermare.”
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“C’erano talmente tante case in rovina, e mobilia fracassata giacente fra mucchi di rifiuti. Le porte delle case su entrambi i lati della strada erano state sfondate. Molti oggetti dalle case giacevano sparpagliati sui marciapiedi…Sulla soglia della casa c’era una culla che dondolava, e una bambola nuda, una cosa calpestata, le stava vicino, con la faccia girata in basso. Dov’è il bambino? In quale esilio è dovuto andare? Quale esilio?
– Moshe Carmel, commandante della Carmeli Brigade, sul saccheggio di Haifa.
I membri della della Camera di Commercio e Industria di Yishuv avevano messo in guardia sulla possibilità di saccheggi. Scrissero all’organismo dirigente che incarnava in nuce il futuro Stato, il Comitato di Emergenza che “In futuro sarà la storia ad occuparsi di questi fatti.” Lo staff del servizio giudiziario dell’esercito, facente parte dell’apparato militare di giustizia, notava, in un documento intitolato “Epidemia di saccheggi e di rapine”: “Questo male si è diffuso a tutte le unità ed a tutti i livelli gerarchici…Le rapine e i saccheggi hanno assunto dimensioni spaventose, e i nostri soldati sono occupati in quest’opera al punto da mettere in pericolo la loro preparazione alla battaglia e la loro devozione al dovere.”
Anche i membri del Partito Comunista si sono espressi sull’argomento. In un memorandum all’amministrazione popolare (organismo del governo provvisorio) e al quartier generale dell’Haganah, il partito faceva riferimento a “una campagna di saccheggio, rapina e furto delle proprietà arabe di dimensioni spaventose.” Non ci sono dubbi sul fatto che, “la grande maggioranza delle case dei residenti arabi sono state svotate di ogni cosa di valore, le merci sono state rubate nei negozi, e le macchine sono state asportate dalle officine e dalle fabbriche.”
Dopo la conquista di Haifa, Ben-Gurion scrisse nel suo diario di una “rapina totale e completa” nel villaggio di Wadi Nisnas, perpetrata dall’Irgun, la milizia che aveva preceduto la creazione dello Stato guidata da Menachem Begin, e dalle truppe dell’Haganah. Scrisse che, “ci sono stati casi in cui gente dell’Haganah, tra cui dei comandanti, è stata trovata in possesso di oggetti rubati.” Alcuni giorni dopo, in una riunione del comitato esecutivo dell’Agenzia Ebraica, Golda Meir notava che “nel primo giorno o nel secondo [successivo alla conquista della città], la situazione nelle zone conquistate era cupa. In special modo nel settore preso dall’Irgun, neppure un filo è stato lasciato nelle case.”
Resoconti dei saccheggi apparvero anche sulla stampa. Alla fine del 1948, Aryeh Nesher, corrispondente da Haifa per Haaretz, scriveva, “Sembra certo che gli ebrei hanno appreso anche questa professione [furto], e proprio bene, così come è normale per gli ebrei. L’’opera ebraica’ ha fatto sua anche questa vocazione, la piaga dei furti ha colpito Haifa. Tutti i circoli dell’ Yishuv vi hanno preso parte, indipendentemente dalla comunità etnica e dal paese di origine. Nuovi immigrati e ex abitanti della prigione di Acri, vecchi residenti provenienti da est e da ovest senza distinzione…e dov’è la polizia? Un giornalista del Maariv, che si era aggregato a un tour di Gerusalemme nel luglio del 1948, scrisse, “Portate giudici e poliziotti nella Gerusalemme ebraica, perché siamo diventati come tutti gli altri.”
“Lungo il percorso non c’è casa, negozio, officina da cui non sia stato tolto tutto…cose di valore e cose senza valore- letteralmente, tutto! Si resta sconvolti da queste immagini di rovine e cumuli di macerie, tra cui gli uomini si aggirano, frugando fra gli stracci per prendere qualcosa in cambio di nulla. Perché non prendere? Perché aver pietà?
– Ruth Lubitz, testimonianza sul saccheggio di Jaffa
Raz, 37 anni, è nello staff dell’Akevot institute (che si occupa di questioni relative ai diritti umani del conflitto), e dirige la rivista Telem per la Berl Katznelson Foundation. (Collabora anche frequentemente con Haaretz con la redazione di articoli di storia.) [Anche se non è in possesso di un dottorato, il suo curriculum include numerosi studi che avrebbero potuto facilmente servire di base per tesi di dottorato] – il massacro di Kafr Qasem, il progetto nucleare israeliano e Theodor Herzl. Il saccheggio delle proprietà arabe da parte di ebrei è stato trattato anche in precedenza, ma Raz ha dedicato un’intera monografia all’argomento.
“a differenza di altri ricercatori che hanno scritto sulla guerra, io vedo il saccheggio come un fatto molto più importante rispetto a quanto è stato detto in precedenza,” puntualizza lo storico.” Nel libro, io mostro quanto fossero turbati la maggior parte di coloro che prendevano decisioni dai saccheggi e il pericolo che questi fatti rappresentavano per la società ebraica, e fino a qual punto ci fosse disaccordo su di loro.”
Sostiene inoltre che ci sia stata una “cospirazione del silenzio” sul fenomeno. Col risultato, anche adesso, nel 2020, che i colleghi che hanno letto il libro prima della sua pubblicazione rimanessero “sorpresi dalla sua portata.”
Uomini, donne e bambini correvano qui e là come topi impazziti. Molti litigavano per un oggetto o l’altro che trovavano nei cumuli, fino al punto che si giunse allo spargimento di sangue.
Yair Goren
Descrive la spogliazione delle proprietà arabe da parte degli ebrei come un fenomeno “singolare”, perché I saccheggiatori erano civili (ebrei) che rubavano ai loro vicini civili (arabi). E dice, “Non erano ‘nemici’ astratti venuti da paesi d’oltre mare, ma i vicini di ieri.”
Su che basi affermi che questo sia stato un avvenimento speciale? La storia ci dice che durante la Seconda guerra mondiale, anche i polacchi saccheggiarono le proprietà dei loro vicini ebrei, che avevano vissuto pacificamente vicino a loro per secoli. Forse non c’è unicità in questo caso, forse è la natura umana?
Raz: “Saccheggiare in tempo di guerra è una pratica antica, documentata da testi vecchi di millenni. Il mio libro non tratta di questo fenomeno in generale, ma del caso israeliano-arabo-palestinese. È stato importante per me mettere in evidenza che il saccheggio delle proprietà arabe è stato diverso dal ‘normale’ saccheggio dei tempi di guerra. Non c’erano soldati americani a spogliare i vietnamiti, o tedeschi lontani migliaia di chilometri da casa. Questi erano civili che saccheggiavano i vicini che stavano dall’altra parte della strada. Non voglio dire che conoscessero necessariamente Ahmed o Noor ai quali rubarono le loro cose, ma che quei vicini facevano parte di un comune tessuto sociale.
“Gli ebrei di Haifa e dell’area che saccheggiarono le proprietà di quasi 70.000 arabi ad Haifa, per esempio, conoscevano gli arabi le cui case razziavano. Questo è stato certamente il caso nelle città e nei villaggi a popolazione mista che si trovavano vicino ai kibbutzim e ai moshavim [tipici insediamenti israeliani, ndt]. Il libro è pieno di esempi che attestano che i saccheggiatori sapevano che quello che facevano era immorale. Inoltre, la gente sapeva che la maggior parte della comunità palestinese non aveva avuto un ruolo attivo nei combattimenti. Nella maggioranza dei casi, di fatto, il saccheggio ha avuto luogo a combattimento finito, nei giorni e nelle settimane che hanno seguito la fuga e l’espulsione dei palestinesi.”
Tuttavia non è il solo caso di questo genere.
“In quanto storico, non sono un sostenitore della storia comparata, e non ho trovato molto circa il caso delle razzie israeliane che si possa paragonare a quanto successo nella storia.”
Il libro di Raz va da Haifa a Gerusalemme, dove ci dice che i saccheggi sono continuati per mesi. Cita i diari di Moshe Salomon, un comandante di compagnia che combatté nella città: “Ufficiali come soldati, ne siamo stati tutti travolti. Ciascuno di noi fu preso da un intenso desiderio di possesso. Rovistarono in ogni casa, qualcuno trovò cibo, altri trovarono oggetti di valore. La mania prese anche me, e riuscii a trattenermi con fatica. A questo riguardo non ci sono limiti a quello che la gente può fare…è qui che ciò che è morale e ciò che è umano scivola, e si comprende il significato di quella teoria secondo cui i valori morali e il senso di umanità si offuscano in guerra.”
Yair Goren, un abitante di Gerusalemme, raccontava che “la caccia al bottino fu accanita… Uomini, donne e bambini correvano qui e là come topi impazziti. Molti litigavano per un oggetto o l’altro che trovavano nei cumuli, fino al punto che si giunse allo spargimento di sangue.”
L’ufficiale delle operazioni della brigata Harel, Eliahu Sela, raccontava in che modo “pianoforti e poltrone color oro e vermiglio venivano caricate sui nostri camion. Era terribile. Era terribile. I combattenti vedevano una radio e dicevano, ‘ei, ho bisogno di una radio.’ Poi vedevano un servizio da tavola. Buttavano fuori la radio e prendevano il servizio da tavola…i soldati si avventavano su lenzuola e coperte. Infilavano senza sosta cose nei loro cappotti.”
Il senatore David Werner, uno dei capi del Brit Shalom, che sostenne la coesistenza in uno Stato di arabi ed ebrei, e amministratore senior all’Università Ebraica di Gerusalemme, descrisse quello che aveva visto: “In questi giorni, se si passa per le strade di Rehavia [un quartiere di lusso di Gerusalemme], si possono vedere ovunque persone anziane, giovani e bambini di ritorno da Katamon o da altri quartieri con borse piene di oggetti rubati. Il bottino varia: frigoriferi e letti, orologi e libri, biancheria intima e vestiti…che disgrazia ci hanno portato i ladri ebrei! Con evidenza, una terribile licenziosità si sta diffondendo fra giovani e anziani.”
Un ufficiale delle operazioni della brigata Etzioni, Eliahu Arbel, raccontava di soldati “avvolti in tappeti persiani” che avevano rubato. Una notte incrociò un veicolo blindato sospetto. “Scoprimmo che era pieno di frigoriferi, giradischi, tappeti e altro.” L’autista gli disse, “Dammi il tuo indirizzo, ti porto a casa quello che vuoi.” Arbel va avanti: “Non sapevo che fare. Arrestarlo? Ucciderlo? Gli dissi, ‘levati dai piedi!’ Se ne andò.” Poi, ha ancora ricordato, “un vicino disse a mia moglie che un frigorifero elettrico poteva essere ottenuto a buon mercato in un certo negozio. Mi ci recai e vi ritrovai l’uomo del blindato. Mi disse, ‘Per te, 100 lire! Gli risposi, ‘Non hai vergogna?!’. Mi rispose che, ’se sei un idiota, dovrei aver vergogna?”’”
“Da Safed ho portato qualche bell’oggetto. Per Sara e per me ho trovato vestiti arabi ricamati finemente, che si potrebbero far adattare per noi. Cucchiai e fazzoletti, braccialetti e perline, un tavolo damascato e un servizio di splendide tazzine da caffè d’ argento, e soprattutto, ieri Sara ha portato un enorme tappeto persiano, assolutamente bello e nuovo, bello come mai ne avevo visto prima. Un salotto come questo può stare alla pari con quelli dei ricchi di Tel Aviv.”
– Un combattente Palmach, a proposito del saccheggio di Safed
Ci sono solo riferimenti marginali nel libro di Raz al fenomeno inverso: casi in cui gli arabi saccheggiarono proprietà ebraiche.
In una nota a piè di pagina scrivi, “Anche gli arabi, saccheggiarono e razziarono durante la guerra.” Ci si potrebbe anche chiedere perché non hai descritto la spoliazione di proprietà ebraiche in paesi arabi dopo che gli ebrei se ne andarono o furono espulsi. Non sarebbe stato corretto farvi riferimento?
“Il libro è un documento storico, non un’accusa. Lascia che ti racconti una storia. Fui invitato a tenere una conferenza alla Ariel University [in Cisgiordania] in occasione della pubblicazione del mio libro sul massacro di Kafr Qassem. Alla fine, qualcuno dal pubblico, evidentemente turbato da quanto avevo detto, mi chiese, ‘Perché non hai scritto del massacro che gli arabi perpetrarono contro gli ebrei ad Hebron nel 1929?’ Bene, il titolo di questo libro è ‘Saccheggio di proprietà arabe da parte di ebrei nella guerra di indipendenza.’ Non è ‘Saccheggio e rapina nella storia del conflitto arabo-israeliano dalla prima immigrazione ebraica fino al piano Trump.’
“Penso che il saccheggio delle proprietà arabe durante la guerra sia un caso particolare e distinto- almeno così particolare da meritare un libro. Penso che questa spogliazione di proprietà eserciti, e continui ad esercitare, una influenza considerevole sulle relazioni fra i due popoli che condividono questa terra. Il libro mostra, sulla base di una importante documentazione, che una parte considerevole della popolazione ebraica ha partecipato al saccheggio e al furto delle proprietà di più di 600.000 persone. Non assomiglia ai pogrom e ai furti perpetrati dagli arabi durante i disordini palestinesi. La spogliazione delle proprietà ebraiche negli Stati arabi- in sé stesso un soggetto affascinante- non ha relazioni col mio libro, la cui prima parte è tesa a descrivere il saccheggio come fenomeno ampiamente diffuso nel corso di molti mesi, e la cui seconda parte spiega come questi atti si siano intrecciati ad un approccio politico.”
Tu scrivi che “non c’è paragone nella dimensione del saccheggio” degli arabi e di quello degli ebrei, e che in ogni caso la maggior parte dei razziatori arabi “proveniva da paesi confinanti e non si trattava di abitanti del posto.” Quali sono le basi di questa asserzione?
“È una cosa semplice. Gli arabi residenti se ne andarono o furono espulsi, e rapidamente. Non ebbero il tempo o la capacità di occuparsi di armadi, frigoriferi, pianoforti e degli oggetti di valore racchiusi in migliaia di case e di negozi che si lasciavano alle spalle. Scapparono in fretta e la maggioranza di loro pensava che sarebbero stati di ritorno in breve tempo. Il paese fu svuotato dei suoi residenti arabi nello spazio di qualche giorno, e civili e soldati si fecero sotto velocemente per spogliare i loro possedimenti.
“Anche le forze combattenti arabe, la grande maggioranza delle quali non era composta da abitanti locali, si impegnarono nel saccheggio. Ma la dimensione è del tutto differente. E, certamente, le conquiste dei combattenti arabi furono, fortunatamente, non molte. Il Kibbutz Nitzanim, che fu occupato da soldati egiziani, fu saccheggiato e subì una massiccia distruzione. Noto in certi punti (nel caso di Jaffa o di Etzion Bloc, dico) che i soldati arabi fecero dei saccheggi. Perfino gli inglesi si permisero qualche razzia nel tumulto dell’evaquazione. Ma non delle stesse dimensioni. Devi capire che i soldati ebrei presero Tiberiade, Haifa, Gerusalemme ovest, Jaffa, Ramle, Lod e altri luoghi. Dall’altro lato, i combattenti arabi catturarono, per esempio, Kibbutz Yad Mordechai, Nitzanim e l’Etzion Bloc.
“Haifa, per esempio, aveva una popolazione di 70.000 ebrei e un numero simile di arabi prima della Guerra. Dopo la conquista israeliana di Haifa, circa 3.500 arabi rimasero nella città. Le proprietà dei 66.500 arabi che abbandonarono la città furono saccheggiate dagli ebrei, non dalla sconfitta e spaventata minoranza araba.”
Cosa accadde ai saccheggiatori? Documenti di archivio mostrano che moltissimi procedimenti furono intentati contro sospetti saccheggiatori, sia civili che militari. Tuttavia, Raz fa notare, “di regola le punizioni erano sempre blande, se non ridicole,” andavano da una multa a sei mesi in prigione. Il parere di Raz è stato a quanto pare condiviso in qualche gabinetto ministeriale, come è attestato dalla corrispondenza del 1948.
Il ministro della giustizia Pinhas Rosen scrisse, “Tutto quello che è stato fatto in questo settore è una vergogna per lo Stato di Israele, e non c’è una risposta adeguata da parte del governo.” Il suo collega, il ministro dell’agricoltura Aharon Zisling, si lamentava che “Le più grandi ruberie nei pochi casi andati a processo…hanno ricevuto le più lievi punizioni.” Il ministro delle finanze Eliezer Kaplan si chiedeva “se quello fosse il modo di combattere rapine e furti.”
“La gente che arrivava coi camion andava di casa in casa per portar via oggetti di valore: letti, materassi, armadi, utensili da cucina, oggetti di vetro, sofà, tende e altro. Quando ritornai a casa, avevo una gran voglia di chiedere a mia madre perché stessero facendo questo- in fin dei conti, quelle cose appartengono a qualcuno…ma non osai chiedere. La vista della città vuota, l’arraffare quello che apparteneva ai suoi abitanti, e le domande che tutto questo provocava in me, mi hanno perseguitato per anni.”
– Fawzi al-Asmar, circa il saccheggio a Lod
Dopo una discussione approfondita circa il saccheggio che proseguì nel paese, Raz passa alle sue implicazioni politiche. Scrive: “Questo non è solo un racconto di razzie, è una storia politica.” Il saccheggio, conferma, “fu tollerato” dai leader sia sul piano politico che su quello militare, e in primo luogo da Ben-Gurion- nonostante le sue condanne in sedi ufficiali. Inoltre, secondo Raz, il saccheggio “ha svolto un ruolo politico nel forgiare il carattere della società israeliana. Gli fu permesso di procedere rapidamente e senza interferenze. Tutto ciò ha bisogno di una spiegazione politica.”
E quale sarebbe questa spiegazione secondo te?
“La razzia fu un mezzo per realizzare una politica volta a svuotare il paese dei suoi abitanti arabi. Innanzitutto, in senso stretto, il saccheggio ha fatto dei saccheggiatori dei criminali. Poi, ha trasformato i saccheggiatori che commisero volenti o nolenti quegli atti individualmente in complici della situazione politica- complici passivi di una strategia politica volta a svuotare il paese dei suoi residenti arabi, con un evidente interesse a vietare loro il ritorno.”
In certi casi potrebbe essere così, ma pensi veramente che la persona qualsiasi mentre era per strada e che vedeva un bel tavolo e lo rubava, considerasse la questione attentamente e dicesse fra sé, “Sto rubando questo tavolo di modo che i suoi proprietari, per ragioni politiche, non torneranno?
“La persona che saccheggiava la proprietà del suo vicino non era consapevole del processo di cui era complice, cioè della politica volta ad impedire il ritorno degli arabi. Ma nel momento in cui entri a casa del tuo vicino e porti via le cose che appartengono alla famiglia araba che ha vissuto lì fino al giorno prima, non hai motivo per volere che questi ritornino un mese o un anno dopo. La comunanza passiva fra un approccio politico specifico e il saccheggiatore individuale ebbe anch’essa un’influenza a lungo termine. Ha rafforzato l’idea politica che perorava la segregazione fra i popoli negli anni che seguirono alla guerra.”
Senza giustificare i ladri, cosa pensi che si dovesse fare con queste proprietà? Trasferirle alla Crocee Rossa? Distribuirle agli ebrei “in modo ordinato”?
“Il punto non è cosa io, lo storico, avrei voluto che si fosse fatto delle proprietà degli arabi. Dare suggerimenti 70 anni dopo i fatti non ha senso. Il libro mostra che vi furono uomini politici che erano critici su quanto stava accadendo in tempo reale, sia relativamente a quanto succedeva sul terreno, che a livello politico. Pensarono che il fatto che Ben-Gurion avesse permesso il saccheggio fosse volto a creare una particolare realtà politica e sociale, e che fosse uno strumento nelle mani di Ben-Gurion per arrivare ai suoi scopi. La ragione di questo approccio risiede nel fatto che c’è una sostanziale differenza fra il saccheggio operato da masse di cittadini ebrei di proprietà palestinesi che lasciarono le loro case, i loro negozi, le loro fattorie, e l’acquisizione di queste proprietà da parte di un’istituzione autorizzata. Sia socialmente che politicamente, cambia il significato.
“E questo era esattamente il punto di vista dei critici di Ben Gurion: che il saccheggio stava creando una società corrotta ed era funzionale alla linea di separazione fra arabi ed ebrei. Ministri e politici importanti, come il ministro per le politiche verso le minoranze, Bechor Shalom-Sheerit, e Zisling e Kaplan, erano contrari alle razzie individuali. Secondo loro, una autorità, efficiente e con poteri reali, avrebbe dovuto raccogliere e unire tutte le proprietà e controllarne gestione e distribuzione. Ben-Gurion si oppose a questa idea e la silurò.”
Che cosa hai ricavato personalmente dalla vasta ricerca che hai condotto, al di là della documentazione storica? Come persona, come ebreo, come sionista?
“Il saccheggio delle proprietà arabe e la cospirazione del silenzio che lo circondò, costituisce un insieme di azioni con le quali il popolo ebraico e sionista, a cui io appartengo, deve fare i conti. Martin Buber disse a questo proposito (in una lettera scritta allora), ‘la redenzione interiore non può essere ottenuta se non si guarda coraggiosamente in faccia il letale carattere della verità.’”
Articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, traduzione a cura di Carlo Delnevo