Massimo Campanini, venuto a mancare il 9 ottobre 2020, è stato uno dei più grandi islamologi del panorama contemporaneo italiano. Il lavoro di Campanini è stato assolutamente poliedrico nell’ambito degli studi islamici; si è occupato di pensiero politico, filosofico, teologico e sociologico. Questo articolo vuole delineare i suoi contributi più importanti come omaggio alla sua memoria, e come invito agli studiosi di Islam – dentro e fuori dalla comunità musulmana – di accoglierne il lascito ed ereditarne la missione.
Campanini, in una delle sue ultime interviste, amava definirsi un “libero pensatore” più che un filosofo; fin dalla sua gioventù coltivava l’amore per la figura di Giordano Bruno, un occidentale che trascende l’Occidente, un ribelle del pensiero.
Proprio Giordano Bruno fu lo sprone che lo portò allo studio dell’Islam, tramite la lingua araba, approcciata già nel 1980 in un periodo di irrequietezza intellettuale – tratto che, in realtà, lo accompagnava ancora durante la nostra amicizia, cominciata solo pochi anni fa.
Dallo studio dell’arabo, durante un viaggio in Egitto, Campanini venne in contatto con il Corano, del quale elaborò abbastanza presto un’ermeneutica filosofica già presente in nuce nel suo primo libro, un commentario della surat al-Kahf (“La Sûrah della Caverna. Meditazione filosofica sull’Unicità di Dio”, La Nuova Italia, 1986).
L’approccio filosofico-teologico, inizialmente elaborato autonomamente da Campanini, lo porterà a scoprire la figura di al-Ghazali (1056–1111), autore di cui fu anche traduttore. Campanini non apprezzava solo al-Ghazali da un punto di vista teorico; più volte mi spronò a rivolgermi ai suoi insegnamenti nel mio cammino spirituale, con quel suo atteggiamento sempre a metà tra insider e outsider, ma dalla spiritualità profonda, e dal grande affetto.
Il complesso legame di Campanini con l’Orientalismo.
Come suoi maestri annoverava Alessandro Bausani (d. 1988), Hasan Hanafi (b. 1935) e Nasr Abu Zayd (d. 2010), figure che è difficile vedere accomunate come punti di riferimento. Eppure, Campanini frequentava regolarmente tutti e tre, nelle loro case. In un’intervista recente spiegava così l’influenza dei tre: “Bausani mi ha insegnato a guardare all’Islam con un approccio favorevole ma sempre scientificamente critico. L’approccio fenomenologico di Hanafi ha modificato totalmente le mie visioni della religione e della politica. L’apertura mentale di Abu Zayd mi ha aiutato a migliorare la mia maniera di leggere il Corano”
Uno dei punti su cui Campanini insisteva era che gli studiosi dell’Islam e gli stessi musulmani non vivessero “chiusi nella torre d’avorio” della cultura, invitandoli a perdere ogni tratto di insularità e ad aprirsi al mondo internazionale.
I testi di Campanini sono troppo numerosi per essere citati uno per uno. Da una manciata di mesi avevamo festeggiato l’uscita del suo cinquantesimo libro con una torta alle ciliegie, e alla mia domanda: “Qual è il prossimo?”, Massimo mi rispose elencando almeno una decina di titoli.
Alcuni dei titoli correntemente in stampa, per ambito tematico.
Partendo con il Corano, “Il Corano e la sua interpretazione” (Laterza, 2004) è un testo fondamentale per i corsi universitari di islamologia. L’ebook “Corano: per iniziare” (Laterza, 2015), pensato per gli assoluti neofiti, fa da contraltare allo specialistico “L’esegesi musulmana del Corano nel secolo ventesimo” (Morcelliana, 2008), uno dei pochi testi in italiano sull’esegesi moderna del Libro.
Allo stesso tema si dedica anche “Le perle del Corano” (BUR, 2000), traduzione e curatela dell’opera di al-Ghazali, fornita di un’introduzione metodologica sull’approccio al Corano di Ghazali. Altra traduzione ghazaliana è “La bilancia dell’azione” (UTET, 2005), mentre di Averroè Campanini aveva tradotto “Il trattato decisivo” (BUR 1994), “L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi” (UTET 1997), e aveva scritto un’introduzione alla figura del filosofo-teologo: “Averroè” (il Mulino, 2007).
Altra opera introduttive è “I sunniti” (il Mulino, 2008), nella quale a fianco dell’interesse coranico e teologico Campanini affronta anche l’altro grande tema della sua opera, quello politico. A questo riguardo, consiglio “Islam e politica” (il Mulino, 2015), “Ideologia e politica nell’Islam. Tra utopia e prassi” (il Mulino, 2008) e il compendio “Storia del pensiero politico islamico. Dal profeta Muhammad ad oggi” (Mondadori, 2015).
Campanini fu anche autore imprevedibile; alcuni suoi testi sono incatalogabili in una sola disciplina, è il caso di “Il Profeta Giuseppe: Monoteismo e storia nel Corano” (Morcelliana, 2007), nel quale filosofia, storia della letteratura e coranologia si affiancano, svolgendosi a vicenda.
Infine, considero il testo “L’Islam, religione dell’Occidente” (Mimesis, 2016) il lascito filosofico globale di Campanini. La possibilità di un Islam che appartenga storicamente e filosoficamente al pensiero occidentale significa aprire alla possibilità di un contributo islamico all’identità dell’Occidente.
Il contributo di Campanini non può certo dirsi concluso; un certo numero di libri e articoli sono al momento in pubblicazione, tra cui il suo “Manuale di Teologia” (Mondadori, 2021), che avevamo appena terminato di scrivere a quattro mani e nel quale, come lo stesso Massimo scriveva appena un giorno prima di venire a mancare, molte sue posizioni teologiche passate erano state riviste.
L’analisi della sua traiettoria teologica, in particolare, sarà un importante compito degli studi islamici futuri; Campanini non ha mai cercato infatti di comunicare una meta, ma un percorso. Come Martin Heidegger, da entrambi amatissimo, scriveva ad intestazione delle sue opere: “Vie, non opere”.