Il 24 ottobre tenetevi liberi. Finalmente Khabib Nurmagomedov mette in palio la sua cintura di campione del mondo contro Justin Gaethje, campione ad interim. Vestitevi leggeri, perché ci sarà da sudare per la tensione. Entrambi i lottatori rappresentano l’apice delle arti marziali miste.
Entrare nella UFC è difficile, far parte dell’élite, della top ten vuol dire essere straordinari, ma essere temuti davvero è una sensazione unica. Per meriti diversi, sia Justin, sia Khabib si sono guadagnati tale reputazione.
Justin è quello che viene definito un “brawler”, che letteralmente significa attaccabrighe, picchiaduro. Il suo stile è tipico di chi, fiducioso della propria superiore potenza, è disposto a farsi colpire, pur di poter contrattaccare. La dialettica che Justin stabilisce con l’avversario è una democratica ed equamente condivisa conversazione: un gancio a te, un montante a me, se non fosse che Justin possiede la terrificante possibilità di mandarti KO. Ve lo possono confermare sia Barboza che James Vick.
È l’uomo più violento nello sport più violento. Quasi un’esteta, proteso a magnificare la dimensione dell’intrattenimento, rendendo giustizia al suo soprannome “The Highlight”.
Tuttavia, Justin, sotto la guida di Trevor Wittman, nell’ultimo incontro contro Tony Ferguson ha rivelato uno stile ben più raffinato e dosato, molto simile ai vari Yoel Romero e Israel Adesanya.
Invece di gettarsi ciecamente nella zuffa, ha dimostrato una pazienza a lui insolita. Nello scarto di secondo in cui Ferguson estendeva il braccio, Justin spostava la testa appena fuori traiettoria e, sfruttando la guardia sguarnita dell’avversario, sferrava colpi micidiali al volto di Ferguson, che alla fine era irriconoscibile.
Il brawler si sta evolvendo in un samurai, che, mano all’elsa, attende che sia l’avversario a sfoderare per primo la spada svelando una vulnerabilità, in cui affondare il fendente fatale.
Se Justin Gathje ci ha abituati a un dialogo democratico, Khabib preferisce il soliloquio.
Il suo è un flusso continuo di posizioni. Il Dagestano è talmente consapevole del gioco, da essere sempre due o tre passi in anticipo, qualsiasi direzione prenda la lotta a terra.
L’ammirazione per la sua tecnica è ancora maggiore, se avete avuto una minima esperienza nel grappling (judo, jiu-jitsu, sambo, etc): dopo i primi due minuti ad agitarvi a caso sotto la pressione schiacciante di una cintura nera, potrete provare un vago assaggio della forza di un campione del mondo.
Khabib è riuscito a sublimare tecniche di base, padroneggiandole fino a un livello di maestria insuperabile. Immaginate lo sgomento degli avversari: dopo aver visto e rivisto ore e ore di filmato, sai che devi evitare a tutti i costi di essere vicino al reticolo della gabbia, sai che si lancerà sulla gamba singola e salirà al torso, sai che al suolo ti afferrerà il polso su cui ti appoggi per appiattirti sulla schiena, sai che non devi offrirgli la schiena. E sai che non ci sarà nulla di nuovo. Eppure, è tutto inutile.
Ci sono una manciata di atleti al mondo che hanno un’aura totalizzante: quando ci sono loro, sembrano gli unici sul campo di gioco.
Messi, quando accelera, è letteralmente l’unico corpo animato nello stadio, mentre gli altri appaiono come a rallentatore. Micheal Jordan in area pareva avere la più assoluta libertà di espressione, censurando ogni tentativo di bloccarlo nel suo implacabile slancio verso il canestro. Lo stesso vale per Khabib, che impone a tal punto la propria volontà, da sembrare l’unico fighter nell’ottagono.
Questo avviene quando l’abilità diventa puro istinto. Non c’è tempo di reazione o esitazione. Il corpo si aggiusta automaticamente senza la mediazione di un pensiero conscio. È il più alto livello di intelligenza cinestetica.
Ovviamente, questo incontro ci dirà molto su entrambi i combattenti: il wrestling di Justin verrà messo alla prova come mai prima. La determinazione di Khabib, sempre in grado di spezzare mentalmente l’avversario, avrà un formidabile contendente incapace di tirarsi indietro.
Justin anela alla ricchezza da campione, per poter garantire il prepensionamento alla madre impiegata nel servizio postale americano. Khabib, invece, con un nome d’eccezione come Gaethje nel lungo novero di vittorie, onorerà il lascito del padre Abdulmanap, i cui consigli per la prima volta non saranno a disposizione del figlio.
Che vinca il migliore, ma, come ha dichiarato CR7 qualche giorno fa, preghiamo che Khabib “will win in sha Allah”.