Che lo si voglia ammettere o no la chiusura totale è di fatto un’ammissione di impotenza da parte del nostro sistema dirigenziale nel gestire l’epidemia in corso.
Alle porte di un secondo paventato possibile lock down, crediamo sia giusto porsi qualche domanda al riguardo.
In termini generali, riconoscere la sconfitta di fronte al nemico è un momento importante in mancanza del quale sarà difficile disporsi in modo adeguato per trovare un approccio migliore al problema. Entrando più nello specifico, ci piace suddividere il problema su due piani diversi ma che giocano un ruolo concomitante all’interno delle strategie anti-COVID finora messe in campo.
Rivolgiamo la prima critica al mondo scientifico internazionale che dovrà per l’appunto riconoscere la propria insufficienza in termini di conoscenza.
Abbiamo diverse interpretazioni discordanti e contraddittorie in termini epidemiologici e una sostanziale inabilità terapeutica vera, fatta eccezione per le estreme misure di supporto delle funzioni vitale che rappresentano appunto un supporto e non una terapia in senso stretto. Nonostante la nascente opposizione alla visione dominante nella comunità scientifica, vedi ad esempio, il processo di apertura a visioni più ampie del problema è troppo lento affinché si possa sperare nella proposta di strategie alternative a breve termine.
L’illimitata fiducia nell’avanzamento tecnologico nasconde una volta di più una sostanziale arretratezza nella conoscenza. Si è assimilato come solito l’immagine della scienza con quella della tecnologia e quella della sicurezza con il numero dei controlli effettuati.
Possiamo sperare che sarà questa l’occasione per la comunità scientifica per aprirsi ad un approccio di prospettiva più ampia della gestione della salute individuale e collettiva almeno nel prossimo futuro. L’essersi appiattiti strategicamente esclusivamente sulla confezione di un vaccino è stato un errore strategico innegabile, frutto di una visione miope. Deboli accenni di autocritica sembrano iniziare a profilarsi all’orizzonte, ne è un esempio l’editoriale del direttore della rivista scientifica The Lancet.
Il secondo piano della critica va fatta alla classe politica, che può innegabilmente addure come proprio alibi quello di avere seguito le direttive degli esperti, ma di fronte alla debacle rappresentata dal secondo lockdown, essa ha il dovere di vigilare sull’efficacia dei consigli seguiti e trarne delle conseguenze.
Perseverare nell’errore è una responsabilità politica. In questi giorni assistiamo in alcune regioni d’Italia alla crisi del sistema sanitario per numero di casi tutto sommato modesto o cmq ampiamente preventivabile. I responsabili di tutto ciò che non è stato fatto nei mesi di attesa della seconda ondata andrebbero individuati e prontamente messi di fronte alle proprie responsabilità.
Ovviamente questo in Italia non è mai avvenuto a causa del fatto che la nomina dei suddetti è sempre stata di pertinenza della politica stessa. È ora di spezzare questo circolo vizioso a favore del merito. Il problema della gestione delle emergenze non è e non può essere solo esclusivamente economico.
L’insufficienza della medicina sul territorio ad esempio, trova di fatto nella inamovibile lobby dei medici di base uno degli ostacoli maggiori a qualsiasi auspicabile miglioramento della situazione.
Ci chiediamo perché, in un modo oramai totalmente liberalizzato, non sia possibile per i cittadini scegliere liberamente da chi essere curato con i soldi che lo Stato spende per ciascuno.
In sintesi l’establisment scientifico internazionale e quello politico del nostro paese hanno bisogno di essere rinnovati alla luce di una crisi che prima di essere sanitaria è attitudinale e di sistema.
Se perderemo l’occasione che si è creata in seguito alla crisi, che come risvolto della sua gravità ha mostrato i limiti del nostro sistema di governo, saremmo destinati a vivere nuove e verosimilmente più frequenti crisi del nostro sistema socio economico, le quali troveranno sempre più occasione nel terreno fertile di una classe dirigenziale che risulterebbe, a questo punto, oltre che inadeguata anche ottusa.