Gli ultimi eventi di Nizza – l’uccisione in una chiesa di 3 persone, ad opera di un tunisino transitato per l’Italia – hanno messo ancora una volta in luce la percezione che si ha della Turchia in Italia. Per molti commentatori, infatti, i responsabili sono essenzialmente la Turchia e il presidente Erdoğan, accusati di fomentare in modo più o meno diretto l’estremismo, il fanatismo, il terrorismo. La maggior parte di questi interventi anti-turchi sono avvenuti, come sempre accade, senza alcun contraddittorio: nessuno ha potuto fornire una versione diversa, fondata sui fatti e sul buon senso e non sui pregiudizi e sull’odio. Per questa ragione, diventa ancora più importante questo appello rivolto alla Turchia affinché ripensi il ruolo della comunicazione istituzionale come strumento utile a contrastare l’islamofobia e la turcofobia.
Lo squilibrio è ancor più evidente in Italia: da una parte, c’è una percezione favorevole e amichevole dell’Italia in Turchia; dall’altra, c’è una percezione caricaturale e ostile della Turchia in Italia.I cittadini turchi considerano l’Italia un paese amico; ampi settori dell’opinione pubblica italiana considerano la Turchia un paese nemico. Purtroppo, le istituzioni turche hanno per troppo tempo sottovalutato il problema.
I giornalisti italiani accreditati a Istanbul e ad Ankara hanno spesso diffamato la Turchia; sono stati dati spazi e accordate interviste – ministri, persino il presidente Erdoğan – a chi aveva già mostrato insofferenza e scarsa stima. Sui mezzi di comunicazione italiani vengono accolte posizioni a favore del Pkk, dei golpisti di Fethullah Gülen, di qualsiasi organizzazione estremista purché schierata contro il presidente e il governo della Turchia; vi circolano falsità di dichiarato stampo islamofobo, a volte vecchie di secoli: e l’Islam viene additato come la ragione sia di episodi di violenza contro le donne, sia di attività terroristiche. Esempi invece positivi di sviluppo economico e di manifestazioni culturali di grande richiamo vengono sistematicamente oscurati.
Pur apprezzando la maggiore determinazione mostrata dopo l’istituzione del nuovo sistema presidenziale, ministeri, agenzie statali, istituzioni culturali, governatori e amministratori locali, diplomatici e altri funzionari assegnati all’estero (nel nostro caso specifico, in Italia) dovrebbero fare un ulteriore salto di qualità. Da una parte, dovrebbero offrire in modo regolare informazioni sulle loro attività, scegliendosi interlocutori affidabili; dall’altra, dovrebbero ideare strategie comunicative per ogni singolo paese, coinvolgendo professionisti informati e che abbiano a cuore i rapporti di amicizia bilaterali.
Oggi purtroppo vengono ancora realizzate campagne di comunicazione dalla scarsa incisività, in cui prevalgono immagini da cartolina o banali. Nessuno si occupa di contrastare, in modo sistematico, le falsità e le offese che quotidianamente compaiono sui mezzi d’informazione (tv, radio, social networks).
Quello della cultura e del turismo – l’archeologia, l’arte, i musei, i parchi nazionali – è ad esempio uno strumento utilissimo per fare reciprocamente conoscenza; ma, anche se in passato sono stati realizzati progetti importanti, il grande pubblico ne ha avuto solo vaga notizia. Paesaggi e piatti succulenti non sono sufficienti per far conoscere la Turchia, serve una strategia più articolata, che vada oltre i soliti stereotipi che fanno leva sempre e solo solo sullo stesso target.
Anche i gemellaggi tra città, strumento eccezionale per favorire la cooperazione, non vengono sfruttati a dovere: esistono, ma non producono risultati apprezzabili. Per il bene della Turchia, e dell’amicizia italo-turca, serve una svolta.