La televisione pubblica, la tv in chiaro nella quale la parte del leone la fanno le tre reti rai, le tre reti Mediaset e la 7, cioè le reti televisive che in Italia raggiungono tutti quelli che posseggono un televisore, ha un’influenza enorme sulla percezione della realtà del pubblico televisivo del nostro paese, e un’influenza enorme sulla formazione delle opinioni e della coscienza di una smisurata massa di persone.
A dire il vero, queste reti tv non offrono molto per qualità e varietà dei programmi; film vecchiotti, spesso interrotti da spot pubblicitari, qualche varietà, qualche programma di intrattenimento, numerosi e asfissianti talk show nei quali sono invitati quasi sempre i soliti personaggi che fanno opinione e tendenza e che spesso fanno opinione e tendenza proprio in virtù del fatto che appaiono in televisione; personaggi che in sostanza si autocelebrano e si autopromuovono, e poi ancora pubblicità, tanta pubblicità.
Le sette sorelle tv, insieme alle tre grandi testate giornalistiche rappresentate da Il Corriere, La Repubblica e La Stampa, sono un vero e proprio orwelliano ministero della verità. Va detto però che la carta stampata ha perso molto terreno, perché le nuove generazioni e buona parte delle vecchie, almeno in Italia, non amano la lettura, e i mezzi audiovisivi sono strumenti facili e di pronta soddisfazione.
Per sedersi davanti alla tv, o davanti allo schermo di un computer a trastullarsi con Facebook o Instagram, non c’è bisogno della concentrazione e dello sforzo mentale richiesti anche solo per la lettura di un giornale, per non parlare della lettura di un libro, sia esso un romanzo o un saggio. Nell’Italia d’oggi, e nonostante la concorrenza di internet, la tv la guardano praticamente tutti: dalla casalinga di Voghera di Arbasiniana memoria, fino al più serioso e compiaciuto degli intellettuali.
In occasione di questa maledetta e malefica pandemia, ci è stato più volte ripetuto o perlomeno il messaggio veicolato è stato questo, ai più sfuggendo le profonde implicazioni che possono avere simili affermazioni, di prestar fede solo alle notizie che ci vengono fornite dai grandi network televisivi e dai maggiori quotidiani, gli unici canali informativi che si suppone non possano disinformare; gli unici degni di fiducia, i soli incapaci, come piace dire oggi nella lingua di Shakespeare, di produrre e diffondere “fake news”. Insomma, il ministero della verità di 1984 il romanzo di Orwell.
Nel mondo dell’informazione televisiva, sicuramente non rappresenta il peggio Quante storie, una trasmissione che va in onda su rai3 tutti i giorni escluso il week end, più o meno verso l’una meno un quarto, all’ora di pranzo. La conduce, avendola ereditata da Corrado Augias, il giornalista Giorgio Zanchini. Tutto sommato non è male questo programma, che si prefigge di far conoscere al pubblico televisivo quotidianamente un libro riguardante i più disparati argomenti, un modo per permettere all’autore o agli autori del saggio di turno di promuovere il frutto delle loro fatiche e poi come benvenuta conseguenza, in questo niente di male, di sperare in un impulso alle vendite in libreria.
Venerdì scorso alla solita ora la trasmissione è andata in onda, condotta da Giorgio Zanchini, garbatissimo conduttore, con il ritorno di Corrado Augias, presente in studio a dialogare con Zanchini, e in collegamento video con l’antropologo Marco Aime. Per chi ne fosse interessato il programma può essere facilmente trovato su Raiplay.
Si commentano le elezioni americane. Augias, con la sua simpatica aria da pacioso vecchio zio, ha qualcosa da ridire, lo si intuisce dal tono, sul fatto che gli stati dell’America profonda, quelli per intenderci della Bible belt, la cintura della Bibbia, che stanno al centro degli Stati Uniti, siano tutti a favore di Trump e si colorino di rosso, mentre l’azzurro sia il colore dominante negli stati che si affacciano sulle due coste, quella est e quella ovest, degli Stati Uniti. Perché subito ci informa che i democratici, i progressisti che evidentemente gli piacciono, sono forti nelle città, mentre nelle campagne i conservatori, gli amici di Trump, vanno alla grande perché in quei luoghi pullulano gli zoticoni. Non dice proprio così, ma il sottotesto è quello.
I risultati definitivi di queste elezioni, venerdì scorso, erano ancora lontani da essere definitivi, e pare che qualche elemento di incertezza permanga tutt’ora, anche se molto probabilmente Biden, nonostante le resistenze del vecchio presidente a concedergli la vittoria, sarà il nuovo capo dello Stato americano. Che Augias manifesti simpatie e inquietudini per Biden non stupisce nessuno poiché le sue idee, che sono idee comme il faut, progressiste e democratiche, sono piuttosto note. Il centro delle città vota a sinistra e le periferie meno colte e urbanizzate votano a destra, e in questo, anche se è un’analisi un po’ grossolana, c’è sicuramente del vero.
Secondo argomento in agenda, l’attentato di Vienna. Qui Augias, il vecchio zio bonario ma serio, dà il meglio. Ovviamente non è un islamofobo sullo stile di una Fallaci, rip, o di un Magdi Cristiano Allam, e quindi non ricorre ai soliti stilemi tipici di chi vorrebbe diffondere odio e inimicizia nei confronti dei musulmani; gli argomenti che sfodera però sono forse più sottili, ma in un certo senso non meno scontati e anche più insidiosi.
Ed ecco quello che Augias nella sua prolusione televisiva dice: “No, non è così, la cultura islamica non è inferiore, è solo indietro di quattro secoli, quello che succede nel mondo islamico, compreso il fanatismo religioso, cinque secoli fa succedeva qui, la cultura islamica, mi permetto di dire, è stata bloccata dal precetto religioso, non è un giudizio di valore, è storico, è un giudizio storico, lo misuriamo sul fatto che noi abbiamo acquisito questo livello di tolleranza reciproca e di condanna del fanatismo soltanto da un paio di secoli, diciamo dalla fine del settecento, prima del settecento ci massacravamo, i popoli europei si sono fatti a pezzi gli uni con gli altri in nome di due diverse fedi o di due diverse correnti all’interno di una stessa fede, è storico, lo rivendico con forza non è un giudizio culturale.” Zanchini e Aime, presente in video, tentano una flebile difesa d’ufficio e poi si passa ad un altro argomento.
L’Islam, il mondo islamico, un miliardo e mezzo, forse due miliardi, di musulmani nel mondo sono stati liquidati da questo signore con poche parole; abbassati al livello di tribù globale che ancora non sa gustare dei preziosi frutti della democrazia, che non tollera e che ha al suo interno pericolose frange estremistiche. Quando persone come Augias in televisione, quella televisione della cui potenza pervasiva e propagandistica si è parlato all’inizio di questo articolo, dicono queste cose senza un serio contraddittorio, passano tranquillamente sul fatto, magari in perfetta buonafede, cioè senza rendersi pienamente conto di quello che stanno dicendo, che il migliore dei mondi possibili, di cui cantano le lodi e che additano ad esempio, nasce in Europa dopo un lungo processo iniziato verso la fine del tredicesimo secolo, processo che passando attraverso il cosiddetto rinascimento e la riforma protestante accelera sempre di più fino alla rivoluzione francese. Tolleranza? Fine dei massacri? Fine del fanatismo?
La Rivoluzione francese del 1789 trasformerà la Francia in un mattatoio a cielo aperto, si renderà responsabile del primo genocidio della storia moderna, il genocidio del popolo vandeano. Sì, ma si dirà, passato il momento della crisi rivoluzionaria, seguirà un’inarrestabile marcia verso le magnifiche sorti e progressive. Purtroppo non è così, visto che la Storia occidentale, la Storia guidata dagli ideali di laicità che tanto piacciono agli Augias, quella Storia che ha rifiutato Dio e ha relegato la religione a puro sentimento privato, ha visto guerra e sterminio senza fine, montagne di cadaveri: il fascismo europeo, il comunismo, due guerre mondiali spaventose; e solo una ventina d’anni fa migliaia di musulmani in Bosnia sono stati macellati da armi cristiane-ortodosse. L’ideologia diceva Karl Marx è falsa coscienza.