Israele gli da solo 10 minuti per evacuare: 41 bambini palestinesi lasciati senza casa

Martedì scorso l’Amministrazione Civile ha concesso alle famiglie che vivono nel villaggio di Khirbet Humsa nel nord della valle del Giordano solo dieci minuti per togliere i loro averi dalle tende. Fatma Awawda, 23 anni di età, teneva in braccio Larin, la sua bimba di 1 anno. Si era paralizzata alla vista delle jeep militari e degli operatori dell’amministrazione in giacche fluorescenti che da queste scendevano, dei bulldozer, dei soldati, e da tutte quelle urla.

Ma si è ripresa in fretta per poter prendere quanto più possibile dalla tenda che era casa sua. Che prendere per prima cosa? La bombola del gas? La culla? Vestiti e coperte? La stufa? I giocattoli di plastica arrivati in un pacco “CARE”? Le cipolle e le patate? Il riso? Ha messo Larin nel sedile posteriore della malandata Subaru della sua famiglia. Lì starà al caldo e al sicuro, e io avrò le mani libere, ha pensato.

Larin non era la sola a dover essere messa al riparo nell’auto: quattro agnelli appena nati, troppo giovani per essere mandati in collina con le altre pecore, sono stati messi nel baule. Poco dopo, uno degli operatori dell’amministrazione civile ha preso la bimba portandola fuori dall’auto e l’ha data a uno degli adulti. Le chiavi erano sulla macchina. Un soldato vi è entrato e l’ha fatta partire. Gli agnelli erano ancora nel baule. 

“Gli uomini si sono messi a rincorrere l’auto, gridando al soldato di fermarsi,” ha detto Awawda venerdì, tre giorni dopo che l’ordine di demolizione era stato eseguito, lasciando 11 famiglie- 74 persone, incluso 41 bambini senza casa. Gli agnelli sono stati recuperati. L’auto squestrata. 

Un altro bambino di due anni si è fatto la pipì addosso mentre guardava il bulldozer fare a pezzi la struttura di fortuna che era stata casa sua. Il pianto disperato dei bimbi è stato soffocato dal rumore della demolizione. Mohammed di appena due anni e mezzo gridava a un soldato, “vattene, vattene!” Sua madre, Ansar Abu al-Kabash, diceva che sua cugina era nata solo il giorno prima. “Non ha ancora un nome. Durante la demolizione ho fatto sedere mia cognata di lato, col bimbo in braccio. Sono andati altrove, ora. Non potevano stare qui nella tenda che ci hanno dato, nel mezzo di tutta questa spazzatura.”

Venerdì, suo figlio Ismail di quattro anni doveva ancora calmarsi e continuava a piangere. Mohammed era ancora furioso. La loro sorellina Hadil di tre mesi, distesa in una piccola culla nella tenda di emergenza che la famiglia aveva ricevuto, si è unita alla loro infelicità aggiungendo le sue grida disperate. 

Per il numero di persone trasformate in senza tetto, questa è la più ampia operazione di demolizione eseguita dall’amministrazione civile dal 2010. Per il numero di strutture che sono state abbattute, è la più estesa opera di demolizione dal 2016. Sono state abbattute 11 tende e capanne utilizzate come abitazioni, ventinove tende e rifugi per le pecore (circa 1.000 animali), altri dieci ovili, tre stalle, nove tende usate come cucine, dieci toilette portatili, due pannelli solari, ventitré serbatoi, oltre a mangiatoie e abbeveratoi per le pecore.

Acqua preziosa è stata versata. Sacchi di cibo per animali sono stati guastati. Due trattori e la Subaru di Awawda sono stati confiscati. La dichiarazione del Coordinatore per le attività governative nei Territori circa “un’azione di contrasto messa in atto contro sette tende e otto ovili” non corrisponde alla vera portata della distruzione.

Alcuni degli abitanti dicono che il convoglio di jeep militari è apparso alle 10 del mattino. Altri pensano che fossero le 11. Qualcuno ricorda di aver visto sei bulldozer e scavatori, altri pensano che fossero quattro. Qualcuno dice che la forza di demolizione si è fermata la prima volta nella seconda delle quattro tendopoli erette da questa comunità di pastori. Le tendopoli sono sparse da ovest a est, a distanza di due chilometri l’una dall’altra. Altri sostengono che la forza è arrivata nel terzo accampamento e poi si è divisa.

Ma tutti ricordano che la prima cosa che gli uomini della comunità hanno fatto è stata correre ai recinti per farne uscire le pecore e farle andare verso le colline circostanti. “Il problema è che è la stagione degli agnelli,” dice Abu al-Kabash. “Che ne sarà degli agnelli? Dove li terremo? Come potremo occuparci di loro?”

Qualche pecora ha partorito in seguito sulle colline. Trovare un riparo per le pecore e per gli agnelli appena nati era il compito più urgente, perché il sostentamento delle famiglie dipende dalle pecore. È il loro modo di vivere, al quale non rinunceranno.

La ricerca di pascoli ha portato le famiglie di Awawda e di Abu al-Kabash, originarie del villaggio di Samu’a nelle colline a sud di Hebron, nel nord della valle del Giordano. La migrazione verso nord è cominciata negli anni 70 e 80, quando i pascoli vicini a Samu’a e Yatta hanno cominciato a ridursi e accedervi era diventato più difficile per i divieti militari e le costruzioni israeliane. Nel 1948, le famiglie di Samu’a avevano già perso una bella fetta della loro terra che era rimasta nel lato israeliano della linea verde. Per la crescita della popolazione, il limitato rifornimento di acqua permesso da Israele ai palestinesi, frequenti siccità e l’espansione degli insediamenti, sempre più allevatori di ovini si sono trasferiti al nord, nelle zone di Jenin e di Tubas.

Le famiglie di Abu al-Kabash e di Awawda hanno in affitto terre che appartengono a gente di Tamun e di Tubas. Su questa terra avevano eretto semplici abitazioni, e vi coltivano anche grano e orzo per il loro fabbisogno. 

Ma Israele ha dichiarato l’area una “Firing Zone” (Zona di Fuoco, ndt) ed è questa la spiegazione di COGAT (acronimo per, coordinatore delle attività governative nei territori, ndt) per giustificare le massicce demolizioni e restrizioni imposte da Israele alle costruzioni e al movimento dei palestinesi in Cisgiordania. La sola Firing Zone 903, dove si trova Humsa, comprendeva 80.000 dunans (circa ventimila acri) di terra dei palestinesi nella Cisgiordania settentrionale. Dal 2018 i residenti di Humsa hanno dovuto sgomberare almeno una ventina di volte a causa delle esercitazioni militari in zona. “Israele non ci ha lasciato nessuna terra da coltivare. Senza le nostre pecore diventiamo dei mendicanti,” dice Yusuf Abu Awad. “Israele non vuole che noi abbiamo una fonte di reddito. Ci vuole a lavorare per gli israeliani.”

La demolizione di ogni accampamento è durata circa mezz’ora. Aisha Abu al-Kabash, una donna di sessant’anni, suocera di Ansar, che fa fatica a camminare, dice che gli operatori dell’Amministrazione Civile hanno portato via una parte di quello che contenevano le sue tende nel secondo accampamento. Quello che non hanno preso è stato distrutto o seppellito sotto i resti delle tende. Umm Walid al-Kabash, del terzo accampamento, dice fra le lacrime: “Se solo ce l’avessero detto prima, avremmo potuto mettere in salvo più cose. Il tabun per cuocere il pane è stato anch’esso distrutto.”

Parenti dei residenti di Humsa, che non vivono lontano, hanno cercato di accorrere per vedere cosa stava succedendo non appena hanno sentito, ma sono stati fermati dai soldati. I loro bambini hanno attraversato a piedi le colline per avvicinarsi alla scena. Anche i fotografi sono stati fermati dai soldati, cosicché non ci sono immagini della demolizione. Solo la muta testimonianza del cumulo di macerie: mucchi di canne e tele sgualcite, pannelli di compensato, reti, semplici arredi, tessuti, box per bambini che muovono i primi passi (martedì questi erano stati messi all’interno delle tende di emergenza che erano state donate alla comunità) torsi di mais (cibo per le pecore) sparsi per terra. Le famiglie si sono affrettate ad avvolgere cibo e qualche loro oggetto in spessi fogli di plastica per proteggerli dalla pioggia che quella notte ha cominciato a cadere.

Dopo che la massiccia demolizione è stata resa nota, venerdì una folta delegazione dell’Unione Europea si è recata in visita ai luoghi. I ministri degli esteri di Belgio, Gran Bretagna, Irlanda e Lussemburgo hanno condannato e detto che la demolizione è stata fatta in violazione della legge internazionale. Ma Ansar ha detto: “Che novità sarebbe? Non sanno cos’è Israele? Non sanno che Israele vuole liberarsi di noi e far arrivare qui al nostro posto altri coloni?”

 

Articolo di Amira Hass pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz

Traduzione a cura di Carlo Delnevo