Dopo sei settimane di conflitto la Russia ha mediato la pace tra Armenia e Azerbaijan. La pace prevede il ritiro delle forze armene da gran parte del territorio che aveva acquisito dopo la prima guerra del Nagorno Karabakh scoppiata negli ultimi anni ’80 e finita con il cessate il fuoco del 1994. L’Armenia manterrà circa due terzi del territorio del vecchio oblast del Nagorno Karabakh che ritorna ad essere un’enclave in territorio azero e sarà collegato attraverso il corridoio di Lacin che già è sorvegliato da “peacekeeper” russi.
L’Armenia ha sicuramente incassato una durissima sconfitta militare e politica. Dal punto di vista militare, ha subito gravissime perdite e le sue forze armate hanno potuto fare ben poco dinnanzi ad un più moderno esercito azero.
Dal punto di vista politico l’Armenia dagli anni ’90 aveva potuto contare sul sostegno militare e politico della Russia, che mantiene una presenza militare nel paese, e quello della diaspora armena in Europa (particolarmente in Francia) e negli Stati Uniti. Eppure, il presidente del consiglio Nikol Pashinyan, arrivato al potere grazie alle proteste del 2018, aveva perso la fiducia incondizionata di Mosca e, nella crisi globale del Covid-19, non è riuscito ad attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale.
La pace raggiunta lo scorso 9 novembre, in realtà, è molto simile alla proposta fatta dal Gruppo di Minsk (composto da Stati Uniti, Russia e Francia) formulata a l’Aquila il 10 luglio 2009 che chiedeva la restituzione all’Azerbaijan di tutto il territorio circostante l’oblast del Nagorno Karabakh fatta eccezione per un corridoio che unisca la regione all’Armenia.
Erevan, forte del suo appoggio internazionale, aveva rifiutato i termini della proposta, che era l’unica accettabile da entrambi i paesi e sostenibile secondo il diritto internazionale. Oggi, l’Armenia, ha dovuto accettare anche la perdita delle provincie di Hadrut e Shusha, oltre che il ritiro (che dovrà completarsi entro il 1° dicembre) da tutto il territorio circostante al Nagorno Karabakh.
A vincere questo conflitto è stato senza dubbio l’Azerbaijan e il presidente Aliyev che nel 2003 sostituì il padre Haydar alla guida del paese.
Dopo la sua elezione a presidente, Ilham Aliyev ha favorito la crescita economica del paese grazie ai giacimenti di idrocarburi che iniziarono a raggiungere i mercati internazionali grazie all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum e, molto presto, il TANAP che unirà Baku alla Puglia. Tra il 2003 e il 2015, così, il PIL azero è aumentato di ben cinque volte.
La Turchia è divenuta la piattaforma delle esportazioni dell’Azerbaijan e un partner fondamentale per Baku.
Aliyev, però, si è guardato bene dal creare una dipendenza del paese da Ankara. Anzi ha condotto una politica estera autonoma: non ha mai riconosciuto, ad esempio, la Repubblica turca di Cipro del Nord ed ha mantenuto ottime relazioni con Israele, contento di poter osservare da vicino l’Iran—alleato dell’Armenia.
Più di 19 miliardi di dollari investiti in Turchia attraverso la SOCAR
Inoltre, attraverso la SOCAR (State Oil Company of Azerbaijan Republic) ha investito in Turchia più di 19 miliardi di dollari in raffinerie e società di distribuzione. Baku ha anche curato buone relazioni con diversi movimenti nazionalisti in Turchia che hanno sempre sottolineato la vicinanza culturale dei due popoli turchi.
Alleata di Baku, la Turchia in questa guerra ha dimostrato ancora una volta di possedere una tecnologia militare che la rende superiore nei conflitti regionali. I droni prodotti dalla turca ASELSAN e venduti all’Azerbaijan hanno reso la tecnologia bellica russa dell’arsenale armeno desueta.
Le forze armene del Nagorno Karabakh, come appare sui terrificanti video postati dall’esercito azero su Twitter, non avevano alcuna difesa contro i droni armati turchi (ma neanche contro quelli kamikaze di fabbricazione israeliana) e non hanno potuto fare altro che abbandonare le loro postazioni e ritirarsi.
Al Presidente Erdoğan conveniva sostenere con tutta la retorica possibile l’Azerbaijan facendo leva sul nazionalismo turco che accomuna tutte le forze politiche nel paese. Erdoğan, che da tempo perde consensi, ha pensato di guadagnare forza con la sua retorica di leader regionale e costringendo i partiti dell’opposizione ad appiattirsi alla politica di forte sostegno verso Baku.
La Turchia trae, però, ben pochi vantaggi a livello geopolitico da questa guerra. Anche se Aliyev ha chiesto un dispiegamento di forze turche sul lato azero del confine con il Nagorno Karabakh, sembra difficile che questo dispiego sia significante a favorire l’espansione dell’influenza turca verso oriente.
La Russia, infatti, non tollererebbe alcuna presenza straniera nei paesi che fanno parte della fascia di sicurezza che proteggono il paese dal mondo esterno. Azioni in direzione opposta di Georgia e Ucraina sono costate l’intervento militare russo e la perdita di territorio.
E la Grande Madre Russia, invece, si è rafforzata ancora di più in questo conflitto che ha permesso per 44 giorni e, poi, ne ha mediato la tregua. L’Armenia, che fino ad oggi era arroccata sulle sue posizioni intransigenti, ha dovuto cedere ma difficilmente potrà rinunciare al suo rapporto privilegiato con Mosca.
Il paese che si è espresso più a favore di Yerevan è stata la Francia, ma non è andata al di là di retorica e accuse alla Turchia. La situazione non cambierà in futuro, l’isolamento dell’Ucraina docet. La Russia, invece, garantisce l’integrità territoriale dell’Armenia (garanzia che non si estendeva al Nagorno Karabakh) e, dal 9 novembre, garantisce i termini della pace e sorveglia l’unico corridoio all’enclave. Adesso anche l’Azerbaijan si sente ancora di più legato alla Russia, da cui dipende la pace e stabilità della regione.
Questa guerra, che come tutte le guerre ha provocato vittime e dolore, potrebbe aprire una nuova pagina nella regione. La normalizzazione delle relazioni tra Yerevan, Baku ed Ankara potrebbe favorire l’economia della regione. L’Armenia, però, dovrebbe abbandonare la sua retorica ed accettare i confini, riconosciuti dal diritto internazionale, sia con la Turchia che con l’Azerbaijan. La Russia, che ha rinnovato il suo vlast, il suo dominio nell’area, non ne sarebbe molto contenta anche perché favorirebbe la Turchia—un partner di Mosca in Siria, ma di certo non un alleato.