Quando Ayasofya è tornata a essere moschea, il 24 luglio, tutto il mondo ha guardato alla città di Istanbul perplesso e allarmato. Vi ha visto non la “bellezza universale e sovrana”, ma una città “mostruosa” come avrebbe detto Edmondo De Amicis. Una Istanbul sporca, su cui aleggia una minaccia oscurantista.
Invece, la metropoli di oggi è moderna, organizzata, pulita e vivibile; la visione apocalittica fornita dei media riflette la Istanbul che esisteva negli anni ’90, poi bonificata grazie a 25 anni di buon governo da parte dell’Akp e di Erdoğan.
Istanbul era allora avvolta da un velo grigiastro, soppressa da una coltre spessa che impediva l’espandersi dello sguardo e nascondeva lo skyline da una sponda all’altra del Bosforo. Non era nebbia, ma una nube tossica: un accumulo perenne di biossido di zolfo sprigionato dalla combustione di carbone nelle abitazioni (per riscaldarsi), dalle emissioni di impianti industriali non a norma. L’aria cittadina era irrespirabile; due quotidiani come Star Gazete e Hürriyet nelle loro raccolte a punti arrivarono a offrire – bastavano trenta kupon ritagliati – delle maschere antigas.
Volendo, sarebbe stata utile anche per sottrarsi al micidiale fetore che esalava dalle “montagne di pattume” (çöp dağları, in turco) accozzate in ogni dove per le strade di Istanbul.
L’immondizia veniva raccolta una volta alla settimana per essere poi “smaltita” – leggasi abbandonata – in discariche abusive, per lo più presso aree forestali; oppure direttamente scaricata in mare. E questi accumuli, sempre più giganteschi, si trasformavano in bombe di gas: uno esplose a Ümraniye nel 1993, causando 39 morti.
L’acqua potabile era invece una rarità. Erano infatti solo due le dighe che rifornivano la città, riempite esclusivamente di acqua piovana. Si faticava a trovare acqua da bere e troppo spesso i rubinetti delle case – anche di quelle più lussuose – erano asciutti. Per questo l’azienda municipalizzata ISKI inviava autocisterne a distribuire acqua nei vari quartieri, sempre a frequenza settimanale. Migliaia di istanbulioti con taniche e contenitori – donne e uomini, vecchi e bambini – aspettavano interminabili ore in fila per caricarsi quanta più acqua possibile; venivano prese d’assalto anche le fontane delle moschee.
L’acqua porta alla mente una visione quasi surreale della quale siamo in molti ad avere memoria: lo stato di abbandono e degrado in cui tergiversavano le sponde di mare e il lembo di Haliç.
Il Corno d’Oro, uno degli scorci più celebrati nelle memorie letterarie e visive di ogni tempo; la baia principio e simbolo della fortuna commerciale e culturale di Costantinopoli ridotta ad una melmaglia maleodorante e putrida.
Splendore in decadenza di una città incapace di rispondere alle esigenze dei suoi allora 7 milioni di abitanti, di offrire servizi: fatiscenza e disorganizzazione delle strutture sanitarie, inadeguatezza dei trasporti e degli impianti stradali, assenza di servizi sociali, scarsità di aree verdi e assenza di strutture ricreative, trascuratezza del patrimonio storico–artistico.
Oggi chi viene a Istanbul esclama sorpreso: “me l’aspettavo sporca, caotica”. Trova invece acqua e aria pulita, una rete efficiente di metropolitane e tram (con due tunnel sotto il Bosforo, uno ferroviario e l’altro stradale) con nuovi progetti già in cantiere per i prossimi anni, wi-fi gratis sugli autobus e nelle piazze, parchi e giardini curatissimi. Il festival dei tulipani, con la città invasa da milioni di fiori, è ormai un evento internazionale che si ripete ad ogni aprile.
Qualche dato certifica il cambiamento epocale. Gli ormai 16/17 milioni di abitanti della vasta area metropolitana hanno a disposizione 58 milioni di metri quadrati di aree verdi (pari a 4.000 campi di calcio), che erano appena 10 milioni nel 1990. Le emissioni di biossido di zolfo sono state ridotte da 219 a 4 milligrammi per metro cubo, grazie all’uso capillare del metano. Il Corno d’Oro è tornato a risplendere e ad accogliere delfini, 411 chilometri di spiagge sono sicure e balneabili (i depuratori attivi sono 80, a fronte dei 2 di 30 anni fa). La raccolta di rifiuti finisce in impianti di conversione che producono energia elettrica, pari al consumo annuo di 300.000 (mila) famiglie.
Sono state smantellate baraccopoli nel cuore della città e sostituite da abitazioni dall’aspetto gradevole, sono stati lanciati festival e fiere di arte contemporanea che hanno raggiunto rilievo internazionale, in ogni quartiere aprono biblioteche e gallerie, sono nati nuovi musei come l’Istanbul Modern che avrà pesto una nuova sede progettata da Renzo Piano, è stato messo in cantiere un nuovo museo civico che racconterà gli 8.500 anni della storia turbolenta della città. I media italiani, riforniti da giornalisti apertamente ostili, creano su Istanbul una propaganda nera, apocalittica: basta mettervi piede per scoprirla di nuovo bellissima.