Viaggio al termine della notte, il l capolavoro di Louis Ferdinand Destouches, meglio noto come Céline, è uno dei libri più importanti del ventesimo secolo, uno degli atti d’accusa più forti e impietosi che si possono leggere contro la guerra e contro la modernità che quella guerra, la prima guerra mondiale, aveva prodotto.
La rivoluzione non scoppia improvvisamente nel 1789 in Francia, come un fiore fecondato dai filosofi illuministi, artefici di una temperie culturale nuova, e dal malumore di una classe borghese e cittadina stanca di produrre ricchezza e di possedere denaro senza una corrispondente ed adeguata rappresentanza politica.
La rivoluzione arriva in Europa dopo un processo durato secoli, un processo i cui esordi gli storici collocano ormai concordemente alla fine dell’epoca medievale, verso la fine del tredicesimo secolo, quando il medioevo cristiano comincia il suo lento ma inesorabile declino. La rivoluzione in Occidente è dunque un lungo processo le cui luci aurorali si possono già intravedere nelle novelle dissacranti del Boccaccio e di Chaucer quando il clero comincia ad essere oggetto di satira e la visione sacrale del mondo lentamente ma inesorabilmente scolora.
La rivoluzione, ci dicono i suoi cantori e in questo non hanno tutti i torti, attraverso il rinascimento, lo scisma protestante e la nuova cosmologia copernicana, colloca l’uomo al centro dell’universo e della vita, e vi sposta lentamente alla periferia il sacro, il divino. Dalla rivoluzione, intesa come processo secolare che si svolge in Europa e di riflesso nelle altre Europe che sono le Americhe, e una parte almeno dell’Oceania, nascerebbero solo progresso, tolleranza, una vita liberata dall’oscurantismo e dalla superstizione; le famose magnifiche sorti e progressive di cui canta, sarcasticamente, il Leopardi nella Ginestra. Ma è davvero così?
Sicuramente la rivoluzione che è filosofica, politica, e unendo scienza e tecnica, anche industriale, e la modernità che ne consegue porta il continente europeo in una posizione dominante da un punto di vista economico, politico e culturale rispetto a tutti gli altri continenti e alle altre civiltà anche millenarie del pianeta. Gli altri continenti e le altre civiltà ne subiscono la forza, la imitano, e, con la parziale l’eccezione del mondo islamico, vi si sottomettono.
Il liberalismo e la democrazia odierni ne sono sicuramente i frutti più conseguenti, ma frutti non meno diretti e conseguenti del processo rivoluzionario sono il nazionalismo, il fascismo e il comunismo; tutte ideologie nate nella modernità e che avendo la rivoluzione nel loro DNA, pur in apparenza così antitetiche fra loro, hanno radici comuni e ciò che maggiormente le accomuna è il laicismo, cioè quella visione della società che colloca ogni idea di sacro, ogni idea di Dio all’estrema periferia sociale, in un ambito strettamente privato, che tollera con fatica e addirittura irride ogni idea metafisica, e spesso, come ad esempio nel caso francese, l’idea laicista è esasperata ed estremizzata al punto che ogni manifestazione di appartenenza religiosa vi è vietata o quantomeno scoraggiata.
Ma per capire quanto sia inesatta e fallace l’idea secondo cui il mondo moderno, il mondo nato dai lumi e dalla rivoluzione sia un mondo che abbia risparmiato al genere umano le morti e gli orrori della guerra e ogni altro tipo di orrore legato all’intolleranza, basta dare un’occhiata anche rapida e superficiale alla storia successiva alla rivoluzione francese. Il mondo che ne è il frutto, è un mondo che ha messo la dimensione sacrale e religiosa in un angolo, e con essa, secondo la vulgata più diffusa, avrebbe messo in un angolo oscurantismo, intolleranza e superstizione.
La dura e semplice evidenza storica ci dice che nessun giardino di rose ha seguito per il genere umano l’avvento della nuova era, l’avvento del migliore dei mondi possibili. Al contrario la modernità, l’epoca in cui tutti noi viviamo, ha dato alla Storia umana, magari anche solo per una semplice questione di superiorità tecnica, una serie di orrori prima sconosciuti e impensabili. Il mondo che sorge dopo l’avvento dei lumi è un mondo che ha conosciuto tra l’altro due guerre mondiali, Auschwitz, la Kolima, Hiroshima, Nagasaki e qui ci fermiamo, ma sarebbe facile continuare.
Alla fine del secondo capitolo del capolavoro di Louis Ferdinand Destouches, meglio noto come Céline, Viaggio al termine della notte, uno dei libri più importanti del ventesimo secolo, Princhard, un professore di Storia e Geografia militarizzato che aveva rubacchiato al fronte scatole di conserva e altri alimenti, nella speranza di farsi processare ed essere dichiarato indegno di vestire la divisa e sperare così che nel frattempo la guerra finisse e a lui fossero risparmiate la dura vita ed il terrore del fronte, si lancia in una prolusione memorabile; uno degli atti d’accusa più forti e impietosi che si possono leggere contro la guerra e contro la modernità che quella guerra, la prima guerra mondiale, aveva prodotto; atto d’accusa che, anche per il piacere di rileggerlo ancora una volta, riportiamo integralmente qui sotto nella sua parte finale. Peccato che la traduzione annacqui inevitabilmente la stupefacente potenza espressiva del francese di Céline. Consigliamo vivamente a chi ne abbia la possibilità di leggerlo nella sua versione originale.
…Luigi XIV lui almeno, che si ricordi, se ne sbatteva alla grande del buon popolo. E Luigi XV faceva lo stesso. Se ne ripuliva il contorno sfinterico. Non si viveva bene a quei tempi, certo i poveri non hanno mai ben vissuto, ma non si metteva a sbudellarli la testardaggine e l’accanimento che hanno i nostri tiranni d’oggi. Non c’è riposo vi dico io per i piccoli, se non che nel disprezzo dei grandi che non possono pensare al popolo che per interesse o sadismo… I filosofi, sono loro, tenetene ancora conto ora che ci siamo, che hanno cominciato a raccontare delle storie al buon popolo…Lui che conosceva solo il catechismo! Si sono messi, lo proclamarono, ad educarlo…ah! Ne avevano delle verità da rivelargli! E di belle! E passi faticosi! Che brillavano! Da restarne stupefatti! È così! Ha cominciato a dire il buon popolo, è proprio così! È davvero così! Moriamo tutti per questo! Altro non chiede che di morire il popolo! È fatto così. “Viva Diderot!” hanno urlato e poi “Bravo Voltaire!” Ecco finalmente dei filosofi! E viva anche Carnot che organizza così bene le vittorie! Evviva tutti quanti! Ecco almeno dei tipi che non lo lasciano crepare nell’ignoranza e nel feticismo il buon popolo! Loro gli mostrano le strade della libertà! Lo emancipano! Non si è trascinata la cosa! Innanzitutto, che tutti sappiano leggere i giornali! È la salvezza! Dio buono! E velocemente! Basta analfabeti! Non ne vogliamo più! Solo soldati cittadini! Che votino! Che leggano! E che si battano! E che marcino! E che mandino baci! Con questo regime, il buon popolo fu presto assolutamente maturo.
E allora l’entusiasmo di essere liberati a che dovrebbe servire? Danton non era per niente eloquente. Con qualche urlaccio ben indirizzato, che li si sente ancora, l’ha mobilitato in un amen il buon popolo! E fu la prima partenza dei primi battaglioni di emancipati frenetici! Dei primi coglioni votanti e imbandierati che Dumouriez accompagnò a farsi bucherellare nelle Fiandre! Per quel che lo riguardava Dumouriez, arrivato troppo tardi a questo piccolo gioco idealista, del tutto inedito, preferendo tutto sommato la grana, disertò. È stato il nostro ultimo mercenario…il soldato gratuito era una novità…così nuova che Goethe, benché fosse Goethe, arrivando a Valmy ne rimase stupefatto.
Davanti a queste coorti stracciate e appassionate che si erano appena fatte sbudellare spontaneamente dal re di Prussia per la difesa dell’inedita finzione patriotica, Goethe ebbe la sensazione che gli restavano ancora molte cose da imparare. “Da oggi, egli annunciò, solennemente, seguendo le abitudini del suo genio, inizia una nuova epoca!” Pensa te! in seguito, essendo il sistema eccellente, ci si mise a fabbricare eroi in serie, che costarono sempre meno, grazie al perfezionamento del sistema. E tutti ci si sono trovati bene. Bismark, i due Napoleoni, Barrès e la cavallerizza Elsa*, la religione della bandiera sostituì velocemente la celeste, vecchia nuvola già sgonfiata dalla Riforma e condensata da molto tempo in salvadanai episcopali. In altri tempi la moda fanatica, era “Viva Gesù! Al rogo gli eretici!” ma rari e in fin dei conti volontari gli eretici…mentre ormai, dove siamo, è per orde immense che le grida: “al muro le scorzonere senza fibra! I limoni senza sugo! Gli innocenti lettori! A milioni, faccia a destr!” Provocano le vocazioni.
Gli uomini che non vogliono né sventrare, né assassinare nessuno, i Pacifici puzzoni, che li si prenda e che li si squarti! E li si trucidi anche in tredici modi e ben studiati! Che per insegnar loro a vivere gli si strappi innanzitutto le trippe dal corpo, gli occhi dalle orbite, e gli anni della loro sporca vita bavosa! Che li si faccia per legioni e legioni ancora, crepare, che diventino zufoli, che sanguinino, che fumino negli acidi, e tutto questo perché la Patria sia più amata, più gioiosa e più dolce! E se ci sono qua degli immondi che si rifiutano di comprendere queste cose sublimi, devono solo andare a seppellirsi subito con gli altri, non del tutto, ma nell’angolo più nascosto del cimitero sotto l’epitaffio infamante dei vili senza ideale, poiché avranno perduto, questi ignobili, il magnifico diritto a un po’ d’ombra del monumento aggiudicatario e comunale innalzato per dei morti perbene nel viale del centro, e poi avranno perduto anche il diritto di raccogliere un po’ d’eco del Ministro che verrà questa domenica ancora a urinare dal Prefetto e dopo pranzo a fremere con il muso sopra le tombe …
*La cavalière Elsa è un romanzo di Pierre Mac Orlan (Gallimard 1921) ma anche un’opera teatrale liberamente adattata da Paul Demazy e recitata da Marguerite Jamois nel 1925. Quest’opera era rimasta nella memoria di Céline che con un anacronismo la fa citare ad un personaggio temporalmente collocato anni prima nella prima guerra mondiale.