Hold Up – Retour sur un chaos è un documentario francese, realizzato da Pierre Barnerias, uscito da pochi giorni su alcune piattaforme digitali, già censurato su vimeo e in odor di censura anche altrove.
Come mai? Il documentario rappresenta nel suo insieme la summa di tutti i frammenti teorici della controinformazione, spesso inclini alla cospirazione e al complotto, circolati in questi mesi sul web e tra una parte esigua dell’opinione pubblica.
In Francia sta suscitando reazioni sdegnate e critiche, ma comunque una sorta di dibattito.
In Italia ci si è limitati a un’accoglienza mediatica piuttosto superficiale. Il Corriere della sera e altre testate hanno riassunto il loro approccio già nei titoli, riassumibili in un documentario negazionista che piace alle dive francesi (tra cui S. Marceau, J. Binoche e M. Cotillard).
Insomma il solito taglio sbrigativo che da una parte usa l’immagine femminile come maschilista segno di discredito, e dall’altra ripropone l’ormai consolidato uso erroneo e manipolatorio del termine negazionista.
È proprio una tale ottusa univocità dell’opinione pubblica, pronta ad attaccare etichette e sempre restia a prestarsi ad alimentare un legittimo dibattito critico, che fa sorgere dei dubbi sulla buona o malafede politica nella gestione di questa crisi.
Il film è forse delirante, discutibile dal punto di vista estetico, molto debole in alcune scelte narrative ma è tutt’altro che negazionista. Ovvero non nega l’esistenza del virus e le conseguenze che ne derivano, piuttosto cerca di indagare, in maniera spesso superficiale a dire il vero, su cosa ci possa esser dietro questa crisi pandemica e di conseguenza avanti, nel futuro.
Nel divario tra buona e malafede si concentra lo snodo principale di Hold Up, che si basa su un assunto implicito: questa situazione imprevista è stata gestita in maniera costantemente emergenziale, con molte ed oggettive falle politiche, sanitarie e sociali.
Un assunto da cui deriva la domanda implicita di fondo (e mai dichiarata nel film): questa gestione è stata portata avanti in buona fede o in malafede? Nella prima parte il documentario descrive i diversi errori politici e le loro possibili conseguenze negative: il terrorismo psicologico operato dai media, gli ininterrotti e destabilizzanti decreti legislativi emergenziali, la restrizione troppo drastica delle libertà individuali, la chiusura indiscriminata di diverse attività in sé non pericolose da un punto di vista sanitario…Fin qui restiamo nella buonafede e l’analisi critica è piuttosto condivisibile.
Un graduale crescendo della già cupa colonna sonora, che si fa man mano apocalittica, sta ad indicare che la narrazione cambia di tono, allorché inizia a tessere l’ipotesi della malafede, ovvero di una trama invisibile, così riassumibile: siamo manipolati da politici, in parte consapevoli e in parte anch’essi manipolati da un’élite aristocratica mondiale, capace di muovere i fili di ogni democrazia locale.
In sintesi, l’attuale crisi è il prodromo dell’immane sforzo di una élite tesa a ripristinare l’aristocrazia nella democrazia, conservando il privilegio di pochi attraverso la maggioranza, manipolandola (non una grande novità, in realtà…) È da questo momento in poi che le testimonianze diventano più discutibili e si apre la voragine del cosiddetto complottismo.
In questa voragine cade anche quel che può esser definito lo strano meccanismo dell’alibi. Come dimostrare l’idea di fondo circa l’esistenza di un élite manipolatrice che agisce attraverso la paura, il vaccino e la numerizzazione degli individui? Questa sorta di progetto fantascientifico che va sotto il nome di transumanismo è suffragato dal fatto che alcune delle personalità più influenti, i soliti Bill Gates, A. Fauci (ministro della sanità statunitense, in aperto conflitto con la gestione Trump), J. Attali (eminenza grigia e onnipresente della politica francese) e altri, da anni andavano profetizzando che la prossima grande guerra e sfida mondiale, sarebbe stata generata da una pandemia.
Questo fa di loro dei colpevoli. Il graduale avversario di tale profezia dimostrerebbe che loro ne erano già a conoscenza oppure che l’hanno addirittura controllata sin dall’inizio. Qui emerge la dubbia logica dell’alibi: dovrebbe proprio esser da coglioni spargere tanti indizi di un misfatto poi attuato. Perché farlo? Sono come gli assassini, che sicuri della loro intoccabilità, lasciano un indizio accanto alla vittima? Oppure si son creati un alibi: mica sono così coglione da farmi vedere con la persona uccisa fino ad un’ora dalla sua morte? Appassionati o no di Maigret e dei tanti gialli contemporanei, di certo questo metodo della profezia è un po’ scarso per determinare dei colpevoli e non regge più di tanto, da un punto di vista fattuale.
Restando sul livello dei contenuti, c’è un’altra falla evidente: la superficiale attenzione prestata alla Cina. Qualora questa crisi attuale fosse l’inizio di un riequilibrio del potere mondiale, come poter tralasciare il ruolo diretto o indiretto della predestinata potenza mondiale del prossimo futuro?
Sono invece più interessanti l’intervista al biologo, premio nobel, Luc Montagnier e ad una sua collega cinese, che con forza hanno sostenuto l’origine umana del covid 19, che secondo loro sarebbe stato senz’altro prodotto in laboratorio. È questo infatti un aspetto ancora ambiguo, su cui ci sono opinioni scientifiche contrapposte e molti dubbi. La parte più documentata e perciò meglio narrata dal documentario riguarda il controverso caso dell’idrossiclorochina, un farmaco antimalarico che è stato sperimentato con molto successo dall’ormai celebre dottor Raoult in Francia per curare le infezioni da covid. Ebbene dopo l’entusiastico appoggio iniziale di Macron, l’amore di Trump, questo farmaco è stato prima vietato e poi sabotato, tramite un mancato rifornimento di scorte, a seguito di uno studio pubblicato su una delle più prestigiose riviste scientifiche anglosassoni, Lancet, che metteva in guardia sulla sua tossicità. Studio che in maniera piuttosto bizzarra verrà smentito poco tempo dopo dalla rivista stessa. Il documentario mostra inoltre un’ulteriore serie di implicazioni commerciali e politiche, gravitanti intorno all’uso di tale farmaco, ragion per cui lo strano caso dell’idrossiclorochina risulta di gran lunga la parte più efficace dell’inchiesta. Resta però una domanda: perché sarebbe stato politicamente sabotato questo farmaco? Lasciamo la risposta all’immaginazione di chi legge…
Dal punto di vista estetico bisogna invece specificare due aspetti: il paradosso del documentario e delle testimonianze dell’invisibile. Per quanto riguarda il primo punto, bisogna esser consapevoli del fatto che il documentario (anche quello d’inchiesta) è un genere cinematografico, che si basa sulla ripresa di immagini, documenti e testimonianze montate insieme per costituire una narrazione. Il racconto conduce così lo spettatore a costruirsi un senso, che nel caso dei documentari-inchiesta, corrisponde alla tesi dell’autore.
Il documentario è perciò incline a diventare un artificio costruito per fingere la realtà ed imporla. E la realtà è ben altra cosa dalla verità.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, il materiale narrativo di Hold up è tessuto intorno alle sole testimonianze e questo crea un malinteso di fondo. Da un punto di vista letterale, per testimoniare qualcosa bisogna esser presenti durante l’accaduto e riportare la propria versione. In un mondo che, come tutti sanno, è retto da meccanismi invisibili di cui scorgiamo soltanto la superficie, nessuno può dirsi testimone di una verità, ma solo di quella infinitesimale rappresentazione di cui è stato partecipe e che ci restituisce.
Per questo motivo, basare le prove della propria narrazione soltanto sulle testimonianze di alcune personalità, compreso qualche premio nobel, è una scelta perdente: in un regime di democrazia delle opinioni è e sarà sempre la maggioranza a restituirci e imporci la versione dei fatti. Alcune opinioni, per quanto prestigiose possano essere, sono comunque condannate ad esser un granello di sabbia nel deserto dell’informazione o meglio della disinformazione. La maggioranza è l’ufficialità che scrive la storia.
Nonostante i suoi discutibili meriti estetici, resta la sensazione che un’ulteriore occasione andrà perduta per la tanto amata e decantata democrazia. Un documentario di questo tipo andrebbe mostrato in prima serata, se non altro per esser attaccato e smontato in maniera pertinente e non perché piace alle dive francesi negazioniste, così come dovrebbero avere più spazio opinioni, riflessioni e dati critici sui media, tendenti invece ad un’oggettiva narrazione univoca.
Purtroppo il documentario ha un altro limite oggettivo, dura quasi tre ore. In genere i documentari d’inchiesta o presunti tali, hanno la capacità di generare una gran quantità di bile nello spettatore, che subito dopo la visione, preso da rabbiosi slanci rivoluzionari, vorrebbe scendere in piazza per fare qualcosa. Poi riflette, fa uno sbadiglio e invece dei piedi per muoversi, preferisce usare le mani per dedicarsi a qualche autonoma ricerca digitale.
Dubita e si infervora ma alla fine, giorno dopo giorno il senso di realtà, retto dalla sacra opinione della maggioranza, finisce con l’imporsi e la bile passa. Ma almeno resta un maggiore senso critico. Invece la lunghezza di Hold Up, comprensiva anche di un fricchettone francese che a torso nudo ha percorso per protesta le strade di mezz’Europa, alcuni pianti o inopportune grafiche da cartone animato, lascia assorbire la bile già durante la visione, attraverso un po’ di noia e il conseguente cibo assimilato. Così alla fine si riprendono a contare contagi, terapie intensive, morti. E tutto ricomincia da capo.