La liberté de monsieur Macron

Mentre col nuovo progetto di legge si criminalizza ogni protesta nei confronti dell’applicazione del concetto di laicità, il presidente francese pretende che vengano rimossi gli articoli critici nei confronti delle sue politiche persecutorie svelando la vera natura della sua battaglia.

A sentire Macron sembrerebbe che lo scontro in atto tra la Francia e il mondo islamico, sia in buona parte dettato dalla sua volontà di difendere ad oltranza la libertà d’espressione, considerata un valore fondante dell’identità francese e quindi punto d’onore irrinunciabile.

Questa narrazione sarebbe ulteriormente suffragata dal contenuto del nuovo progetto di legge contro il “separatismo islamico”, che prevede, tra le altre cose, pene molto pesanti e anche l’espulsione dal paese per chi protesterà con un funzionario pubblico in base alle sue convinzioni religiose. Questo secondo Macron e i suoi ministri, sempre al fine di evitare pressioni indebite che possano inibire la libertà d’espressione.

Il ministro dell’interno Darmanin ha fornito l’esempio di un caso concreto per l’applicazione della legge: un genitore che si lamenterà con un insegnante che ha mostrato in classe delle vignette blasfeme commetterà reato e potrà anche essere espulso dalla Francia se straniero.

Cosa dire invece di un presidente della Repubblica che telefona alla redazione di un giornale straniero per pretendere che un articolo critico nei suoi confronti venga rimosso, censurato?

Il 2 novembre il Financial Times ha pubblicato un editoriale firmato dalla sua corrispondente da Bruxelles Mehreen Khan in cui si sosteneva che la guerra dichiarata da Macron al “separatismo musulmano” ha creato una forte divisione in Francia e ha determinato un clima di fobia nei confronti dei cittadini musulmani francesi.

A quel punto il gabinetto di monsieur le president si è permesso di fare forti pressioni sull’editore per far rimuovere l’articolo e non pago, ha preteso la pubblicazione di una sua lettera sul giornale in cui criticava l’editoriale.

L’articolo è stato rimosso con la conseguenza paradossale che il lettore può ora leggere la risposta di Macron ad un articolo che non c’è più.

Stessa sorte è toccata all’articolo del sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhvar, l’articolo dopo esser stato pubblicato è stato rimosso in quanto secondo il caporeddattore di Politico.eu, “non soddisfaceva gli standard editoriali”. Nel suo articolo titolato: “La pericolosa religione francese del secolarismo” Khosrokhvar sosteneva che “la forma estrema di laicità della Francia e la sua adesione alla blasfemia” ha alimentato il radicalismo all’interno della sua minoranza musulmana marginalizzata. Il sociologo in un successivo articolo pubblicato da un altro giornale ha scritto che questo episodio di censura è la dimostrazione stessa che la laicità francese è divenuta una religione in se perchè coloro che la criticano devono affrontare gravi conseguenze.

Sempre per dimostrare il suo amore per la libertà di stampa, Macron ha chiamato un editorialista del New York Times per lamentarsi del fatto che la stampa anglosassone stesse, con le sue critiche “legittimando la violenza”, lo ha raccontato lo stesso Ben Smith in in un articolo pubblicato sul NYT.

Un’accusa di una gravità inaudita, soprattutto se viene da un capo di Stato che considera che il suo paese sia in guerra, basti pensare che sulla base di accuse di questo tipo con la nuova legge che il governo francese vuole approvare, si può finire direttamente in prigione.

Risulta chiaro quindi come la concezione della libertà di stampa e di espressione in generale sia lontana da quella sancita dal primo emendamento americano ed assomigli di più a quella di certi regimi in cui la lesa maestà è peccato mortale e la libertà consiste nel poter illimitatamente tessere le lodi del presidente.

Macron, il suo governo e il suo partito non solo hanno difeso Charlie Hebdo ma hanno anche promosso la diffusione di vignette molto offensive nei confronti di 6 milioni di cittadini musulmani francesi e 1.8 miliardi di musulmani nel mondo, argomentando che la laicità non riconosce nessuna tutela speciale per i sentimenti e le convinzioni religiose dei cittadini. Al contempo però l’inquilino dell’Eliseo non ha esitato a censurare chi, su prestigiose testate internazionali, ha osato contestare la sua politica.

Così facendo ha reso evidente che la libertà d’espressione non è illimitata bensì, anche in Francia, considera tabù la blasfemia nei confronti della religione di Stato, e del suo profeta protempore. Pertanto se Financial Times e Politico.eu fossero state organizzazioni islamiche francesi sarebbero state prontamente sciolte d’imperio dal solerte ministro dell’interno Darmanin, sorte che è toccata a all’ONG Barakacity e al Collettivo francese contro l’Islamofobia, la cui unica colpa è stata quella di denunciare le politiche persecutorie contro i musulmani francesi.