Muovendosi tra le strade cittadine, chiunque avrà pensato almeno una volta: ma quanto sono diventate tristi le persone! Il primo pensiero va alla tristezza igienica della mascherina, diretta evocatrice di malattia e delle luci al neon di un ospedale.
Un pallore che si spande nella vita di questi ultimi mesi, colonizzati da parole autunnali come distanza, chiusura, sospetto, tampone.
Tristezza e rassegnazione paiono allora inevitabili, ma la passeggiata vuole proseguire, la vista si rialza e l’attenzione ricade sul volto degli altri. Sopra la mascherina lo sguardo non ha altra scelta che incrociare il proprio simile e si capisce che sono proprio gli occhi ad esser l’epicentro della tristezza.
Isolati dal contorno del volto, primo piano inevitabile dell’attenzione, gli occhi sono diventati il solo dettaglio da cui riconoscere il viso di una persona. Un conoscente da evitare e si inducono gli occhiali ad appannarsi oppure, in loro assenza, si abbassa semplicemente il capo e si prosegue veloci; qualcuno da salutare e ci si ferma, a distanza di un metro, col sorriso colto attraverso la mascherina che si allarga per poi restringersi.
Il passo procede e si lascia raggiungere da un dubbio: gli sguardi sopra la mascherina sono davvero diventati tristi oppure lo sono sempre stati? E non ce ne siamo mai accorti? Forse un volto senza bocca è davvero triste in sé. In effetti è proprio la bocca ad incamerare aria e cibo, restituendo aria e parole: per questo la bocca è il principio della vitalità, animale e umana. Escluderla dal campo visivo significa oltrepassare il principio di vitalità per lasciarsi al gioco di specchi degli sguardi, che si limitano a riflettere il paesaggio interno ed esterno, senza poter agire. Piuttosto che esser lo scontato specchio dell’anima, gli occhi sono il riflesso del mondo circostante e l’attuale geografia urbana, privata del suo caotico e vitale movimento, rinvia un’aria cruda e cupa.
Che dire poi del naso a metà nascosto, di norma associato anch’esso al respiro, ora diventato stampella della distanza igienica su cui poggia la mascherina, dimenticando così di essere disegno verticale che conferisce carattere ed espressione al volto.
Nonostante la nostalgia di nasi e bocche, la passeggiata continua, fiera di restare una delle poche azioni ancora concesse, e una maggiore attenzione ti porta a vedere che non tutti hanno lo stesso sguardo. Trovi quello spiritato, fisso davanti a sé, una specie di cataratta ossessiva pronta a puntare un obiettivo invisibile ai più. Puoi incontrare anche il suo contrario, lo sguardo che salta incontenibile da un oggetto all’altro, con abilità da giocoliere. La maggior parte degli sguardi sosta però nel mezzo, in una semi-mobilità languida che si sposta con triste lentezza da un oggetto all’altro.
La tristezza maschile è diversa da quella femminile.
In questa staticità una differenza di fondo si fa strada: la tristezza maschile è diversa da quella femminile. Quella maschile è statica, sta dove la trovi e tutt’al più si fa specchio di crucci e problemi che la alimentano. Quella maschile è una tristezza bovina, un inciampo espressivo, che non riesce a suscitare altro sentimento che la compassione. Se si eccettuano gli sguardi maschili contigui alla sfera sessuale, inclini a un languore femmineo o al suo contrario di repressa eccitazione, questa sì specchio dell’anima, è impossibile scorgere altri tratti, come la malinconia, la lontananza, il mistero, la grazia, la sfuggevolezza.
Sostituite lo sguardo maschile con quello femminile e come per miracolo, tutti quei tratti e altri ancora rifioriranno. Non dipenderà forse questa differenza dalla personale e arbitraria prospettiva maschile? Può darsi, ma chissà forse una distanza di genere può provare a chiarirla. Il principio di vitalità, la donna ce l’ha connaturato al suo corpo, con la sua capacità di generare vita, che nello sguardo trova un semplice affaccio; il volto dell’uomo invece privato della bocca e della sua capacità di fagocitare vita e azione, resta spoglio ed inane. Senza movimento l’uomo non può generare nulla; nascosto il respiro, ingabbiata la sua vitalità.
Così se lo sguardo maschile è sempre riflesso, quello femminile sa anche esser proiezione. In questa diversità risiede anche l’essenza dell’erotismo. L’uomo guarda e riflette le sue pulsioni in modo letterale; la donna guarda e rinvia pensieri dai significati lontani. Lo sguardo dell’uomo è sempre presenza da vedere, quello della donna spesso assenza da immaginare.
Quando il tempo riporterà in strada nasi e bocche, respiro e vitalità, la passeggiata tornerà ad esser un’antica attività da perditempo e forse uomini e donne torneranno ad assomigliarsi, solo un po’.