Scontro di civiltà, così Huntington nel 1996 descriveva il processo che per lui avrebbe portato ad il cambiamento dell’ordine mondiale da uno Occidentale ad uno sino-islamico. Da allora quel concetto si è insinuato nella letteratura e nel discorso mediatico e politico culminando con la visione di un mondo bianco e nero, un mondo dove da un lato c’è l’Occidente e dall’altro tutti gli altri.
Certo, per uno Stato essere Occidente non significa solo trovarsi una determinata parte del mondo, prova ne è la visione che l’Europa e l’America hanno dei cosiddetti paesi dell’Europa dell’Est, esotica e bizzarra quasi quanto il ‘Medio Oriente’. Essere Occidente significa aderire ad una ideologia dai tratti liberali e secolari. Oggi tutto questo sta assumendo una nuova sfumatura per cui chiunque abbia una posizione non progressista viene immediatamente tacciato di bigottismo.
Certo, gli estremismi ci sono in ogni ideologia e si trovano in tutto lo spettro politico. Ma quello che sta avvenendo in questi anni è diverso. Forti dell’eredità politica e storica che è riuscita a sconfiggere i fascismi, la sinistra si è investita in Occidente del ruolo di rappresentate ultimo dello stesso. Occidente per la sinistra oggi significa progressismo e se ciò viene a mancare, immediatamente le armate del politicamente corretto, e della cancel culture vanno all’attacco.
Lo abbiamo visto con l’imposizione dell’uso di alcuni pronomi al posto di altri in Canada con la famigerata legge C-16, criticata aspramente dall’intellettuale Jordan Peterson e che lo ha portato alla fama. Lo abbiamo visto anche in Italia con la proposta di legge Zan, che porta con sé non solo misure contro la discriminazione ma anche una forte stretta alla libertà di espressione, una strategia politica classica che vede la presentazione di un pacchetto unico contenente elementi positivi per mimetizzare il cuore della questione ed evitare il dibattito aperto ed informato, che nel caso del movimento LGBT è fin ora mancato.
Si fanno passare leggi a livello nazionale per poi chiudere la porta del cambiamento a livello legale soppiantando le leggi nazionali con quelle internazionali al grido di “violazione dei diritti umani”, anche quelli pericolosamente labili, fragili e liquidi in un contesto secolare. Questo è solo una piccola parte del problema strutturale e ben più ampio.
Prendiamo il caso francese. Il régime negli ultimi decenni è stato caratterizzato da un secolarismo estremista anti-religioso che ha visto l’oppressione sistematica dei musulmani. Questa oppressione è iniziata con leggi apparentemente generiche ma de-facto specificatamente anti-musulmani come il divieto dei simboli religiosi, che ha (in barba ai diritti delle donne) bloccato l’accesso al mondo del lavoro a innumerevoli donne di talento che in loro coscienza vogliono conservare la propria identità islamica e che si sono ritrovate molestate da uno Stato bullo che ha chiesto loro di denudarsi per poter accedere al mondo del lavoro. Un vizio quello del chiedere alle donne di denudarsi per mostrare fedeltà all’autorità ben caro alla Francia, che sviluppò questo perverso vizio ai tempi del colonialismo in Nord Africa.
Dove sono i sostenitori dei diritti umani?
La domanda, in relazione al discorso fatto fin ora, è dunque: dove sono i critici ed i sostenitori dei diritti umani fuori dalla comunità islamica? In sintesi, non esistono.
La Francia era stata già ammonita dall’ONU per violazione dei diritti umani per la legge contro gli indumenti islamici, dunque il precedente di violazione di diritti umani ce lo abbiamo proprio qui, dietro casa. Nessuna forza politica o sociale fuori dalla comunità islamica si è però espressa contro l’oppressione strutturale che ha visto discorsi islamofobi e demonizzazioni a livello istituzionale e governativo, discorsi che hanno incitato violenze, culminando più di recente con una proposta di legge fascista che ad hoc targhetizza i musulmani come categoria, parliamo della proposta di legge contro il fantomatico ‘separatismo islamico’.
I musulmani devono certamente prendere parte della responsabilità: poco attivi a livello sociale, poco attivi in politica, con complessi di inferiorità che li porta ad auto-marchiarsi come perpetui immigrati anche se non lo sono. Spesso soddisfatti della macelleria halal, mentre di loro viene fatta carne da macello già dal XX secolo per motivi geo-politici, cioè per il petrolio.
Vittime della strategia classica del demonizzare per sottomettere, i musulmani hanno sviluppato negli ultimi decenni un impeto di impegno sociale ancora embrionale ma almeno presente. Sono dunque i musulmani a dover prendere responsabilità del proprio destino, investendo il loro intelletto, il loro cuore e i loro talenti nell’Occidente che è anche casa loro.
Lo stesso Occidente che ha ben poco da guadagnare nel tutelare i musulmani in termini di real politik è oggi come un carro guidato da cavalli che spingono in direzioni diverse e che per non spezzarsi abusa del cavallo della comunità islamica.
Il potenziale inespresso cinese ed islamico
Huntington aveva ragione su una cosa, il potenziale inespresso cinese ed islamico. C’è una profonda differenza però fra i due, il primo mira alla dominazione mondiale in barba a qualsiasi diritto e guidati dal demone dell’estremismo materialista che fece milioni di vittime per realizzare la distopia marxista ad ogni costo ed oggi procede in nome del capitalismo di Stato senza morale. Come un virus, il cui obiettivo non è funzionale ma solo fine alla diffusione di sé ed alla sopravvivenza.
L’Islam è diverso per altri motivi, la post-colonizzazione ha visto una scissione fra governi e comunità islamiche e i governi dei paesi a maggioranza islamica ormai divenuti in molti casi dittature secolari, come quelle di Ben Ali in Tunisia ma anche quella di Mubarak in Egitto e con cui l’Occidente tanto ha flirtato negli anni per ragioni geopolitiche.
L’Occidente oggi è ad un bivio, investire sui musulmani che reputano l’Occidente la propria casa e avere accesso ad un enorme potenziale umano inesplorato e che ha dietro la forza di secoli di civilizzazione, o perire vittime dell’intossicazione e dell’ebrezza ideologica e del liberalismo estremista.
Solo così l’Occidente potrà essere ricordato nella Storia come una storia di successo. Certo, c’è molto di cui discutere e dibattere, ma i musulmani oggi lottano per la sopravvivenza. Sono le istituzioni, i media e la società a dover accettare l’invito al dialogo ed al dibattito informato con l’Islam.
Questo scambio con l’Islam non può essere di natura dominante, non può vedere una parte che vuole soppiantare l’altra e non può vedere l’auto messa in discussione da ognuna delle parti. L’Islam non deve divenire liberale e progressista né la società deve diventare islamica. Bisogna instaurare uno scambio basato sugli interessi comuni, sui valori comuni, e su una voglia comune di non avere uno scontro di civiltà ma un incontro.
Certo i dibattiti potranno essere scomodi, ma sono necessari.
L’Islam è pronto a mettere in discussione le proprie premesse legittimatorie, l’Occidente che è anche casa dell’Islam deve essere pronto a fare lo stesso.
L’alternativa è la prospettiva di un nuovo incubo come quello dei nazismi che il secolo scorso vide fra le vittime gli ebrei e che oggi vede le vittime i musulmani.
Che l’Italia e l’Europa mostrino segni di reale apertura rispettosa, che si inizi dunque a criticare il pericoloso seme del régime francese e che i musulmani d’Occidente lavorino per aiutare la propria casa a curarsi dalla malattia che la opprime caratterizzata da odio, bigottismo, estremismo e quel liberalismo progressista ed estremista – anch’esso dalle caratteristiche fasciste sempre più prominenti – promuovendone le qualità di eccellenza come l’idea di Stato di diritto, la giustizia, la ricerca della pace, e lo sforzo della ricerca della verità con gli strumenti scientifici, filosofici ed umanistici.