La guerra tra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabakh ha riportato sulla ribalta mediatica gli armeni di Turchia: gli ultimi discendenti della nutrita minoranza ottomana, oggi stimati in circa 50.000 e residenti per lo più a Istanbul. La scena immortalata e data in pasto a tv e social: un corteo di automobili – esibendo bandiere azere, magari urlando slogan poco amichevoli – che sfreccia davanti al Patriarcato armeno e in un altro quartiere storicamente legato agli armeni. Poi nient’altro.
Gli armeni di Turchia sono cittadini turchi formalmente a pieno titolo, ma i traumi mal digeriti della storia rendono la convivenza a volte problematica. La convivenza è pacifica, ma a volte gli armeni sono bersaglio di violenza e ostilità in varie gradazioni: dall’assassinio del giornalista Hrant Dink maturato in ambienti nazionalisti nel 2007 a episodi sporadici e sostanzialmente innocui di vandalismo come scritte offensive.
Il genocidio degli armeni del 1915
Il nodo è ovviamente quanto accaduto nel 1915: le deportazioni condite di atrocità che hanno provocato centinaia di migliaia di morti. Gli armeni considerano quegli eventi un genocidio: e quest’interpretazione è quella ormai prevalente nella storiografia internazionale. La Turchia ha però sempre negato la volontà dei Giovani Turchi allora al potere di sterminare un intero gruppo etnico, enfatizzando al contrario la necessità militare delle operazioni condotte – le deportazioni – per disinnescare la minaccia separatista degli armeni che erano in combutta con gli invasori russi.
Anzi, per lungo tempo anche la parola “genocidio” è stata tabù in Turchia: utilizzarla poteva procurare guai con la giustizia, in virtù del famigerato articolo 301 del codice penale (in base al quale sono stati processati lo stesso Dink, gli scrittori Orhan Pamuk ed Elif Şafak).
Con l’arrivo al potere di Recep Tayyip Erdoğan e le riforme dei primi anni 2000 le maglie della repressione si sono lentamente allentate, anche in virtù della normalizzazione cercata con l’Armenia: anche se la riapertura del confine prevista dal protocollo del 2009 non si è mai materializzata.
Già nel 2014, l’allora primo ministro – per la prima volta – ha presentato alla comunità armena le sue condoglianze per le sofferenze patite nel 1915; l’anno successivo, in occasione del Centenario, un suo testo è stato letto in occasione di una messa di suffragio per i caduti al Patriarcato, alla presenza del ministro per gli Affari europei.
Sempre nel 2015, c’è stata piena libertà di commemorare gli eventi di 100 anni prima come “genocidio” (soykırım, in turco), di scrivere libri e indire conferenze accademiche con questa parola nel loro titolo. Per il Centenario, si sono riunite n riva al Bosforo alcune migliaia di persone: armeni turchi, armeni della diaspora discendenti dei sopravvissuti, intellettuali turchi; con slogan, striscioni, cartelli, ritratti, musica struggente e fiori hanno ricordato le vittime in altri luoghi simbolici della città.
Gli armeni di Turchia hanno piena libertà di culto, ovviamente nella loro lingua: e molti quartieri di Istanbul ospitano numerose chiese delle varie denominazioni ortodossa, cattolica e protestante; sono sempre in funzione, sono aperte ai visitatori. È ormai riconosciuto il ruolo della famiglia Balyan – architetti armeni – nella costruzione dei più bei edifici dell’800 ottomano, dalla moschea di Ortaköy al palazzo imperiale di Dolmabahçe, entrambe in riva al Bosforo. E il governo ha persino pensato, con fondi pubblici, al restauro e alla riapertura al culto di 2 importanti chiese armene: quella sull’isoletta di Aktamar sul lago di Van, quella di Surp Vortvots Vorodman a Istanbul.
Nel frattempo, la fondazione dedicata a Hrant Dink ha avviato un vasto programma per il recupero della memoria storica degli armeni di Turchia e più in generale delle minoranze non-musulmane, a Istanbul e nel resto della Turchia: cura pubblicazioni, organizza conferenze , ha recentemente lanciato una app plurilingue con itinerari per visitare luoghi storici della capitale ottomana legati alle minoranze.
Tra queste conferenze, quella più importante è stata organizzata nel 2013: dedicata al tema a dir poco sorprendente dei musulmani turchi che scoprono di essere discendenti di armeni, in gran parte di vittime della “grande tragedia” del 1915. Questi “armeni islamizzati” ritrovano le loro origini (c’è chi racconta della mamma anziana e malata di Alzheimer che all’improvviso comincia a parlare armeno), studiano la lingua e cambiano persino nome scegliendone uno armeno: ma in molti casi rimangono nella fede islamica e per questo – armeni musulmani e non cristiani? – al Patriarcato si rifiutano di registrarli come formalmente membri della comunità. Scherzi beffardi della storia.