In un comunicato, il Collettivo Francese contro l’Islamofobia annuncia di essersi appellato al Consiglio per i diritti umani dell’ONU per lanciare l’allarme sul trattamento senza precedenti che i musulmani francesi stanno subendo da parte del governo:
“Dieci anni fa, lo scioglimento del CCIF era chiesto solo da gruppuscoli identitari dell’ultra-destra, che la nostra associazione ha fatto più volte condannare per incitamento all’odio e apologia di terrorismo. Per aver scelto il diritto, era stato accusato da questi gruppuscoli di fare del “jihad giudiziario”; questo perché non potevano sopportare di essere condannati dal paese del quale pretendevano di voler procedere alla Reconquista. All’epoca l’espressione era ridicola.
Questa accusa di “jihad giudiziario” è oggi stata accolta dalla classe politica al potere, classe politica che nel 2017 pretendeva, per farsi eleggere, di essere una diga contro l’estrema destra. Lo scioglimento del CCIF è oggi richiesto dal ministro dell’interno in persona, Gérald Darmanin, in nome del progetto contro i “separatismi”, progetto che noi già nel febbraio del 2020 abbiamo denunciato, nel momento in cui questa parola era stato introdotta nel dibattito pubblico dal presidente Emmanuel Macron, in un discorso sulla Riconquista repubblicana. Abbiamo mostrato come questo discorso poteva provocare esattamente quello che pretendeva combattere: il ripiegamento e il rifiuto.
Cosa è successo in dieci anni? In che modo il pensiero identitario e razzista, erede del fascismo e del totalitarismo, si è ritrovato nel cuore stesso dello Stato, nel suo governo e nel suo senato?
In che modo idee ancora giudicate di estrema destra sono state legittimate nel dibattito pubblico?
Questo è in sostanza tutto il processo dell’islamofobia che denunciamo, in particolare dal 2015, dallo stato di emergenza, e che ci è valso oggi questo attacco politico. Non sapendo come reagire agli attacchi terroristici, il governo ha, ogni volta, voluto dare dimostrazioni di forza, quasi sempre illegali, prendendosela in maniera deliberata e violenta con dei musulmani, il più delle volte innocui, presentati come “islamisti”.
Questa strategia è stata non solo inefficace- il terrorismo non è scomparso-, ma allo stesso tempo nociva e pericolosa, perché essa risponde esattamente all’agenda dei terroristi. Ne convalida il modello e ne conferma i discorsi.
Per aver difeso migliaia di persone fisiche e giuridiche colpite da misure discriminatorie e ingiuste, oggi tocca a noi pagarne il prezzo. Come per un buon numero di casi che difendiamo, la messa sotto accusa del CCIF non rispecchia una realtà fattuale, né una realtà giuridica, ma una volontà politica: criminalizzare la lotta all’islamofobia.
Oggi vi sono serie domande da porre ai servizi di intelligence, i cui mezzi sono stati in questi ultimi giorni maggiormente rivolti contro associazioni a torto indicate come “separatiste” piuttosto che verso le avvisaglie di terrorismo postate su Twitter dal terrorista di Coflans, già diversi mesi prima dei fatti.
Si tratta, da parte del ministero degli interni, di un diversivo molto sofisticato per negare la sua responsabilità e il suo fallimento nel garantire la sicurezza di tutti i cittadini.
L’abbiamo detto, e questo è stato molto prontamente dimostrato dalle diverse inchieste e pubblicazioni mediatiche: il CCIF non ha assolutamente niente a che fare con la campagna di attacchi che è sfociata nell’ignobile attentato di Coflans-Sainte-Honorine ( Omicidio Paty). Il semplice fatto di doverlo ricordare è un insulto alla nostra squadra, ai nostri aderenti e a tutti i nostri partner, che sanno come lavoriamo.
I fatti sono semplici in questa storia: diversi giorni dopo la diffusione e la circolazione del video, siamo stati interpellati dal genitore autore del video per dare inizio ad una causa per discriminazione, basata sul fatto che l’insegnante avrebbe chiesto agli allievi musulmani di lasciare l’aula durante la presentazione di una caricatura del profeta Mohammad nudo. La prima cosa che abbiamo fatto, è stata chiedere a questo genitore di ritirare subito questo video e di interrompere immediatamente ogni comunicazione su questo argomento, in attesa che una persona dell’assistenza si mettesse in contatto con lui per iniziare il procedimento di verifica dei fatti, cosa che poi non è stata possibile perché era accaduto l’irreparabile.
Tenendo conto di questi fatti, ci rivolgeremo alla giustizia ogni volta che saremo diffamati o che il nostro onore sarà sporcato da accuse false. Accusandoci, senza prove, di essere responsabili o anche solo collegati a quest’atto abominevole, il ministro dell’interno ha firmato per la fine dello stato di diritto.
In questi momenti oscuri, si deve fare una scelta: o si fa il gioco divisivo dei terroristi prendendo di mira i musulmani, oppure ci si allea, lottando contemporaneamente contro il terrorismo e contro ogni forma di razzismo.
Con queste dichiarazioni sullo scioglimento del CCIF, queste personalità politiche fanno il gioco dei terroristi, dividendo la società e obbligando le persone a scegliere fra la lotta al terrorismo e lotta al razzismo, invece di riunirle per lottare contro entrambi. Aggirando la legge, e presumendo di voler “trasmettere dei messaggi” per mezzo di atti politici, Gérald Darmanin agisce al di fuori e contro la legge repubblicana. In questo modo, le perquisizioni non sono più uno strumento di controllo della criminalità reale, ma un mezzo di intimidazione politica.
Con la scusa che le leggi attuali non gli permetterebbero di “lottare contro l’islamismo”, il ministro dell’interno infrange la legge aspettando di modificarla. È un grande scacco, che apre la via all’estrema destra nella sua ricerca del potere. Se si dice ai musulmani che non hanno più diritto a difendere i loro diritti, significa che i terroristi e i razzisti hanno vinto. Si mette in gioco la libertà di tutti.
La campagna che è condotta in particolare contro il CCIF, e contro altre associazioni come la moschea Omar, “Apprendre & Comprendre”, Barakacity o Ummah Charity, si inserisce in una dimensione politica losca. Quella dimensione secondo cui, da molti anni, il potere in carica sviluppa una strategia repressiva e persecutoria, tesa ad uccidere politicamente ogni contestazione…proprio in nome della «libertà d’espressione».