Adesso non è come in primavera quando nelle città spettrali circolavano solo ambulanze e furgoni colorati, con i loghi dei grandi corrieri e spedizionieri, o dei supermercati. Ora anche nelle città più rosse, il traffico è ripreso se non aumentato: chi può evita il trasporto pubblico. Ma i furgoni sono rimasti.
Non più padroni incontrastati della strada, parcheggiano dove possono, sui marciapiedi, sulle strisce pedonali, agli incroci. Driver affannati saltano giù carichi di scatoloni: nuovi Babbi Natali, suonano ai citofoni, imprecano se nessuno risponde, mollano gli scatoloni negli androni: hanno i minuti contati dall’algoritmo.
Intanto la mia piccola libreria di quartiere ha affisso un cartello: “Cessata attività”. E, benché i negozi siano aperti, la portinaia del mio palazzo compra online i vestiti dei bambini. Abbiamo imparato come si fa, abbiamo scoperto quanto è conveniente, abbiamo visto come è facile.
Adesso aspettiamo spasmodicamente, ogni giorno, l’arrivo del nostro Babbo Natale con il suo furgone e i suoi scatoloni marroni, al posto della slitta e dei pacchi infiocchettati.
La pandemia sta dando una mano ad una tendenza già in atto prima: riuscire ad eliminare, dalla complessa attività del comperare, ogni piacere che non sia legato direttamente al possesso dell’oggetto. Il piacere del toccare, accarezzare, sfogliare.
Il piacere dell’ambiente, delle voci, degli incontri fortuiti. Il piacere stesso di camminare verso il luogo dove troverò l’oggetto del desiderio, o di andare a zonzo aspettando che sia un oggetto ad attirare il mio sguardo. Il piacere dello scambio. Tutti quei piaceri collaterali gratuiti che ci distraggono dal godimento del possesso comperato.