La scorsa settimana eravamo nel campo profughi di Al-Aroub, in cerca di uno spazio aperto dove sederci per il coronavirus, ma non siamo riusciti a trovarlo. In un campo in cui ogni casa tocca l’altra, in cui le strade hanno l’ampiezza appena sufficiente per un uomo e sono piene di rifiuti, non c’è un posto all’aperto dove potersi sedere.
Roba da sogno un giardino o una panchina; non c’è neppure un marciapiede. Questo è il posto dove vive Basel al-Badawi. Un anno fa, i soldati hanno ucciso suo fratello, davanti a lui, senza motivo. Due settimane fa, Basel è stato strappato dal suo letto in una fredda notte e portato via a piedi nudi per essere interrogato. Ci siamo seduti dentro l’angusta casa della sua famiglia e ci siamo resi conto che non c’era un altro posto “fuori” dove poter andare. Mentre eravamo lì, i soldati israeliani hanno bloccato l’entrata del campo, cosa che di tanto in tanto fanno, arbitrariamente, e il senso di soffocamento è potuto solo aumentare.
Questo è il mondo di Basel, e questa è la sua realtà. Ha 16 anni, non ha più il fratello, ed è stato strappato dal suo letto, a notte fonda dai soldati. Non ha un posto dove andare se non a scuola, che è chiusa alcuni giorni alla settimana per via del Covid-19. Ora Basel è libero, ha più fortuna di altri bambini e di altri adolescenti. Di questi, circa 170 sono detenuti in Israele. Altri bambini sono stati colpiti da proiettili, sono stati feriti e a volte uccisi, senza far distinzione fra bambini e adulti – un palestinese è un palestinese – o che si distingua fra una minaccia mortale e un “disturbo all’ordine pubblico.”
Venerdì hanno ucciso Ali Abu Alia, un ragazzo di 15 anni.
Si è trattato di un colpo mortale all’addome. Non è possibile restare indifferenti alla vista delle fotografie del suo volto innocente, e poi alla sua ultima foto – in un sudario, il suo volto scoperto, i suoi occhi chiusi, mentre lo portano al cimitero del suo villaggio.
Ali, come faceva ogni settimana, era andato con gli amici a dimostrare contro avamposti degli insediamenti illegali di Kokhav Hashahar, e che si appropriano di quel che resta della terra del suo villaggio, al-Mughayr. Non c’è nulla di più giusto della lotta di questo villaggio, non c’è nulla di più odioso dell’uso letale della forza contro i dimostranti, e il colpo di fucile al torace di Ali non ha giustificazione.
In Israele, naturalmente, nessuno ha mostrato interesse questo weekend per la morte di un ragazzo, solo un ragazzo.
Fino a quest’anno scolastico, circa 50 bambini appartenenti alla comunità di pastori di Ras a-Tin hanno frequentato la scuola a al-Mughayir, il villaggio del ragazzo deceduto. Dovevano percorrere circa 15 chilometri (9,3 miglia) ogni giorno, andata e ritorno, per andarci. Quest’anno i loro genitori, con l’aiuto di un’organizzazione umanitaria della Commissione Europea con base in Italia, hanno costruito per loro una modesta ma graziosa scuola nel villaggio.
L’Amministrazione Civile israeliana minaccia di demolirla e nel frattempo tormenta insegnanti ed allievi con visite a sorpresa per controllare, Dio ce ne scampi, se i servizi igienici sono collegati a una tubatura dell’acqua- in un villaggio che non è mai stato collegato alla corrente elettrica o alla rete idrica.
I ragazzi di Ras a-Tin conoscevano Ali, il loro vecchio compagno di scuola, ora morto; però non conoscevano Malek Issa, di Isawiyah, a Gerusalemme est, un bambino di 9 anni che ha perso un occhio dopo essere stato colpito da un proiettile di gomma sparato da un agente di polizia israeliano. Giovedì, il dipartimento del ministero di giustizia che esamina le accuse di cattiva condotta alla polizia, ha annunciato, dopo 10 mesi di intensa indagine, che nessuno sarà incriminato per la sparatoria. È bastato che i poliziotti coinvolti dichiarassero di essere stati fatti oggetto di una sassaiola, e forse un sasso avrebbe colpito il ragazzo. Ma nessun video mostra lanci di pietre, e non c’è alcunaprova di ciò.
Gli assassini di Ali possono anch’essi dormire tranquilli: nessuno li perseguirà. Tutto quello che hanno fatto è stato uccidere un ragazzo palestinese.
Questo e altri incidenti come questo accadono in Cisgiordania in periodi tranquilli.
Questo è il terrore perpetrato dallo stato.
Quando sentiamo di incidenti simili che accadono sotto feroci dittature – bambini tolti dal letto a notte fonda, un ragazzo colpito all’occhio, un altro ucciso – sentiamo i brividi lungo la schiena.
Sparare sui dimostranti? Sparare ai ragazzini? Dove mai accadono cose come queste? Non in qualche remota terra, ma solo a un’ora di macchina da casa vostra; non in qualche oscuro regime, ma nell’unica democrazia.
Cosa pensereste di un regime che permette che si spari su dei ragazzini, che li porta via mentre dormono e abbatte le loro scuole? Questo è esattamente quello che dovete pensare del regime di Israele.
Traduzione dell’articolo di Gideon Levy su Haaretz “Premium Israel’s war on palestinian children “