E’ sabato pomeriggio del 28 Novembre 2020 a Koshobe, un villaggio nella zona di Jere, vicino a Maiduguri, nord est Nigeria. Il sole caldo e secco bacia la fronte dei contadini intenti a raccogliere a mani nude nei campi i frutti di mesi di lavoro.
La zona ha un terreno fertile e tanta acqua: il posto ideale per seminare. Sono quasi tutti musulmani in queste aree e dato che vicino all’equatore le giornate non hanno grosse variazioni durante l’anno, la gente prega insieme ad ore stabilite, sempre le stesse, tutto l’anno.
Hanno da poco pregato l’Asr ( la preghiera del pomeriggio) come di consueto intorno alle 14 e si stanno affrettando prima che arrivi imperterrito il tramonto. La chiamata alla preghiera del Maghreb (quella della sera) risuona come la sirena delle fabbriche a fine turno e si cerca di finire prima. Le moschee sono a cielo aperto qui, improvvisate ai bordi delle strade, dei campi, basta mettere due tappeti per terra, un imam ed è fatta.
Si lavora a testa bassa, in silenzio, con un pezzo di noce di Cola o di Goro in bocca da masticare, accompagnati dal fruscio del vento e da qualche litania di lettori del Corano in lontananza. D’un tratto un ronzio distante irrompe in quella pace, non presagisce nulla di buono. La polvere si alza alta nel cielo all’orizzonte, non ci sono strade, solo terra battuta.
Il ronzio si fa sempre più vicino e si riconoscono i rumori delle moto: piccole, economiche, efficienti, cinesi, ricordano le rudimentali moto europee di una volta, se ne trovano in giro per tutto il così detto terzo mondo. In Nigeria sono uno dei mezzi di trasporto più usati per brevi tragitti, all’interno delle grandi città o tra villaggi vicini. Sono tante, il rumore diventa frastornante ed i contadini alzano la schiena per scrutare oltre il campo, sono ormai a pochi metri.
Appena arrivati ai bordi del villaggio i centauri iniziano a sparare in aria per spaventare la gente che inizia a scappare gridando senza in realtà avere nessun posto dove andare. I più fortunati in questi casi fuggono nella foresta, se c’è n’è una vicina, per giorni, terrorizzati dai racconti o da quello che hanno visto i loro occhi. Quello che segue è cronaca sentita tante volte, un rito macabro ormai consueto in queste zone dimenticate da tutti.
43 contadini vengono legati e sgozzati, uno ad uno, una decina di donne rapite, i pochi averi della gente portati via. A fine giornata i dati ufficiali del governatore della zona parlano di 110 morti. Forse sono di più, difficilmente meno, i dati ufficiali anche qui seguono gli interessi di chi li deve annunciare.
Pochi giorni prima nello stato di Zamafra, a nord ovest questa volta, altri banditi erano entrati in una moschea durante la preghiera del venerdì e ne erano usciti con cinque morti e 30 rapiti.
Ma chi? Boko Haram? Lo Stato Islamico in West Africa (costola fuoriuscita da Boko Haram)? Gang Criminali di predoni? Spedizioni di un villaggio contro un altro? Di una tribù contro un’alta? Cambia qualcosa? E se facessero alla fine tutti parte della stessa realtà ma con nomi e bandiere diverse, di convenienza?
Lo Stato sta perdendo contro questo banditismo organizzato. Il 2019 è stato il peggiore da anni in termini di morti, e il presidente Buhari, osannato nel 2015 quando è stato eletto con una maggioranza schiacciante soprattutto al Nord, sua terra natale, promettendo di combattere corruzione e criminalità è al centro di polemiche sempre più forti, accusato di inerzia e di incompetenza dai suoi stessi elettori.
Rimangono due milioni di sfollati interni, decine di migliaia di morti, villaggi distrutti, aree agricole abbandonate ed il terrore che accompagna chi decide di rimanere o semplicemente non ha un posto dove andare. No, non sono questi i Nigeriani che arriveranno sulle coste italiane, ma questa è un’altra storia.