Sembra che la Grande Moschea di Roma non aspettasse altro che la pandemia per poter finalmente chiudere. In questi 10 mesi è stato il luogo di culto più chiuso d’Italia, forse nel mondo. Da due mesi è l’unico completamente chiuso al culto “per” Covid.
Con l’arrivo della pandemia si è palesata tutta l’incapacità dell’ente che gestisce la Grande Moschea di Roma il quale è sembrato non aspettare altro per poter finalmente chiudere. Anche chi non vive a Roma sa benissimo che già prima del Covid la moschea era un’arida e sterile cattedrale nel deserto. Non si ha traccia di pubblicazioni, neanche su supporto digitale, per la divulgazione dei contenuti religiosi che dice astrattamente di voler rappresentare e per i quali pretende di avere una prelazione sulla rappresentanza dei musulmani in Italia.
La sala grande è aperta solo per la preghiera congregazionale del venerdì ed è chiusa per le restanti 34 preghiere settimanali su 35.
I musulmani da tutto il mondo che visitano la capitale rimangono esterrefatti nel vedere la più grande moschea d’Europa deserta in qualsiasi momento della settimana che non sia la preghiera del venerdì.
Eppure la struttura è “in attività” da 26 anni e l’ente che la gestisce è al momento l’unico ente di culto islamico in Italia con personalità giuridica, e lo è dal 1974 come partita di scambio col petrolio saudita ai tempi della crisi energetica del 1973 (molte grandi moschee in Europa sono nate così, la differenza è che in Italia ci sono voluti 20 anni per realizzarla, un aspetto sul quale si sono perfettamente integrati).
La Grande Moschea di Roma non perde neanche mai occasione, soprattutto da quando è chiusa, per ribadire di essere “l’unico ente islamico riconosciuto” ai sensi di una norma che non serve a nulla. A 47 anni da questo “riconoscimento” però, su ogni questione, questo ente sembra sempre al primo giorno di scuola. Con la pandemia è tornata addirittura all’anno zero ed ha “definitivamente” chiuso. Eppure con 120 mila fedeli Roma è la città con più musulmani in Italia i quali però sono abituati a servirsi delle cosiddette “moschee informali” (circa 50 nella città) per le loro 5 preghiere quotidiane e per le relazioni sociali di comunità.
La chiusura in Fase 1 come tutti
Quando tutto il paese è andato in lockdown ai primi di marzo i luoghi di culto hanno dovuto chiudere i battenti. Oltre alla mancanza della liturgia ordinaria, per quanto riguarda le principali ricorrenze religiose, a risentire maggiormente delle misure restrittive sono stati i fedeli cristiani che non hanno potuto beneficiare della messa a Pasqua (12 aprile) e, una decina di giorni dopo, i musulmani per i quali iniziava il mese di Ramadan. In questa fase nessun luogo di culto è stato aperto, quindi neanche le oltre 1200 sale di preghiera islamiche in Italia.
La mancata riapertura in Fase 2 e le Feste non celebrate
Ad un certo punto è arrivata la fase 2 della gestione della prima ondata della pandemia ed il 15 maggio sono stati redatti i protocolli per la riapertura dei luoghi di culto delle varie confessioni, con validità a partire da lunedì 18 maggio e quindi in tempo utile per l’ultima settimana del mese di Ramadan. La Grande Moschea di Roma, che al Viminale aveva fatto il tifo per la non riapertura, a differenza della maggior parte delle sale di preghiera islamiche in Italia e nella capitale decise di non riaprire dichiarando la sua sostanziale incapacità a gestire le misure da rispettare.
Il 24 maggio è stato il giorno della Festa della Fine del Ramadan e, vista l’affluenza, come tipicamente accade anche a Roma i musulmani si sono organizzati in varie piazze per celebrarla. La Grande Moschea sorge su un terreno di 30 mila metri quadri (per San Pietro son 41 mila, poi viene direttamente il Duomo di Milano con 11 mila metri quadri), potrebbe ospitare molti fedeli anche all’aperto, ma nonostante la bella stagione è rimasta ancora chiusa al pubblico per questa importante ricorrenza. Riaprirà poi timidamente il 26 maggio ma per la Festa del Sacrificio del 31 luglio, quando anche per il caldo il virus era clinicamente irrilevante, la Grande Moschea di Roma è stata sostanzialmente l’unico posto in Italia dove non si è celebrata neanche la seconda delle uniche due Feste del calendario liturgico islamico.
Se per la festa del 24 maggio c’erano musulmani che approvavano la scelta di non aprire, anche nel timore di diventare gli untori agli occhi del resto d’Italia, il 31 luglio si è palesata la totale incapacità della struttura di gestire il culto al quale dovrebbe essere votata. E’ stato un po’ come se per il Natale appena trascorso, quando tra l’altro vigevano misure molto più restrittive rispetto al mese di luglio, il Papa avesse deciso che sarebbe stato meglio chiudere San Pietro per incapacità gestionale.
Gli unici chiusi in zona gialla
Con l’arrivo della seconda ondata della pandemia l’Italia è stata divisa in zone di diverso “colore” ma anche nelle zone rosse i luoghi di culto sono rimasti aperti al pubblico, con le dovute restrizioni. La regione Lazio è sempre stata in zona gialla e quindi nessuno si sarebbe mai aspettato che la Grande Moschea di Roma continuasse a scappare dalla sua funzione.
Il dpcm del 3 novembre istituiva le zone con decorrenza dal 6 novembre, che era un venerdì, e per i luoghi di culto non cambiava assolutamente niente. Il 4 novembre la Grande Moschea fa invece sapere che si era riunita il giorno prima, in contemporanea col Consiglio dei Ministri che lasciava aperti i luoghi di culto, ed aveva deciso che sarebbe rimasta completamente chiusa a tempo indeterminato… per il covid!
Più precisamente il 4 novembre dichiarava di chiudere fino ad inizio dicembre ma ai primi di gennaio è ancora chiusa, dopo 2 mesi, e con la terza ondata alle porte è ipotizzabile che anche per il Ramadan nel 2021 questa struttura sarà inutile al culto islamico anche se il Governo non dovesse disporne la chiusura.