È esagerato dire che oggi viviamo in una tecnocrazia scientista, si può però affermare che i semi di tale deriva ci sono eccome. La scienza fornisce dati ed eventuali soluzioni teoriche a specifiche problematiche ma è la politica che trasforma la teoria in pratica.
I media dicono che bisogna fidarsi della scienza e che la politica debba essere scientifica (meccanica quasi), e che fra scienza e politica bisogna scegliere la prima. È curioso come tale discorso stia prendendo piede in un contesto in cui i sistemi democratici dovrebbero essere i più maturi al mondo.
La propaganda pro-vax è arrivata fino alla Santa Sede con Bergoglio che raccomanda la vaccinazione, ma nessuno parla delle conseguenze di un vaccino sviluppato in brevissimo tempo grazie all’esperienza SARS ma anche per interessi economici.
Non si parla nemmeno della pericolosa facilità con cui tutti i governi occidentali abbiano dato l’ok ad un vaccino di cui non si conoscono eventuali effetti su fertilità e gravidanza.
I media avrebbero dovuto informare, non spaventare. I governi avrebbero dovuto definire lo spettro delle possibili misure di contenimento, definire meglio le categorie vulnerabili, consultare i cittadini anche via referendum. Questo avrebbe evitato le ondate di critiche e scetticismo, e avrebbe informato e responsabilizzato la popolazione preservando i diritti.
I governi si sono invece affidati ciecamente ai comitati tecnico-scientifici con fare paternalistico e tecnocratico, trattando i dubbi dei cittadini come deliri no-vax. Le aziende farmaceutiche, il cui dio è il profitto, sono state de-responsabilizzate tutelandole da qualsiasi responsabilità legale.
Se la tendenza è quella di spostarsi da una democrazia ad una tecnocrazia, che lo si faccia alla luce del sole e del dibattito aperto ed informato. Se è la democrazia che si vuole preservare invece, che ci si renda conto con quanta brutale facilità essa sia stata scartata al primo sussulto.