Mohammed bin Salman potrebbe usare la distensione col Qatar per raggiungere due obiettivi: annunciare il proprio riconoscimento dello stato di Israele e convincere suo padre ad abdicare al trono.
Ci sono voluti tre anni e sei mesi perchè il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman giungesse alla stessa conclusione alla quale alcuni di noi erano già arrivati pochi giorni dopo l’introduzione del blocco contro il Qatar: che sarebbe stato destinato al fallimento.
Il progetto di mettere a tacere la voce di un paese vicino indipendente è fallito nel momento in cui l’allora Segretario alla Difesa degli USA James Mattis e l’allora Segretario di Stato Rex Tillerson, ex-petroliere con legami profondi col Qatar, sono venuti a conoscenza dei piani di invasione della penisola e li hanno fermati.
Col passare delle settimane, la posizione del Qatar si è via via rafforzata. L’esercito turco è arrivato a Doha per formare fisicamente una zona cuscinetto. L’Iran ha concesso al Qatar l’utilizzo del suo spazio aereo. L’embargo non poteva funzionare in nessun modo con un ponte aereo creato attorno all’Arabia Saudita.
Ci sono voluti soltanto pochi mesi perchè il Qatar riuscisse ad organizzare una vasta operazione di lobbying a Washington, annullando o ridimensionando l’influenza del principale lobbista per i sauditi, l’ambasciatore degli Emirati Youssef al-Otaiba, e stabilendo un solido sostegno alla propria. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha nemmeno riconosciuto il fatto che il Qatar abbia ospitato la più importante base aerea del Pentagono nella regione, Al-Udeid, quando ha twittato la sua approvazione del blocco nel 2017.
Alla fine, il principe saudita ha sopravvalutato l’influenza di Trump e ha sottovalutato il potere militare residuo degli USA. Sia Tillerson che Mattis se ne sono andati da tempo, ma la pressione per invertire questo folle atto di incoscienza non si è mai attenuata; col passare del tempo è invece aumentata.
Con l’imminente arrivo di un presidente statunitense ostile come Joe Biden, bin Salman ha intuito che era giunto il momento di porre fine alla sua follia. Oggi, nessuna delle 13 richieste originariamente poste al Qatar dagll’Arabia Saudita e che hanno bloccato il paese è stata soddisfatta. Nè la fine dell’accoglienza verso i membri dei Fratelli Musulmani, né la politica estera sono cambiate. Al Jazeera non è stata chiusa. Le alleanze del Qatar con l’Iran e la Turchia si sono semmai rafforzate.
Sul piano interno, l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al-Thani, viene ora tenuto in maggiore considerazione rispetto a prima per la sua difesa dello Stato, visto che anche il nazionalismo all’interno del Qatar è aumentato. Il Qatar è più autosufficiente e sicuro di sé di quanto non fosse prima del blocco.
‘Il Qatar ha vinto’
Anzi, questo duro colpo ha rafforzato il Qatar. Lo stesso vale per la politica estera turca e iraniana.
“Si potrebbe dire che il Qatar ha vinto”, ha dichiarato al Financial Times Abdulkhaleq Abdulla, docente di questioni politiche a Dubai, che è stato uno dei principali difensori del blocco di tre anni fa. “Il costo della battaglia è stato troppo alto – ci si è resi conto soltanto ora che questa è la pecora nera della famiglia e non possiamo fare altro che sopportarla. Questi sono stati i tre anni e mezzo peggiori nella storia del GCC [Gulf Cooperation Council]”.
Ma queste conclusioni sono, per il momento, solo quelle di bin Salman. E’ interessante però notare coloro che erano assenti alla manifestazione di amore fraterno andata in scena al vertice del GCC di martedì scorso. La mancata partecipazione del principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed si è affiancata all’assenza del re Hamad del Bahrein e del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
Il Bahrein è nel bel mezzo di una disputa di confini sempre più aspra con il Qatar, e l’Egitto rimane scettico sull’intera impresa. Mada Masr ha citato fonti del governo egiziano, affermando che Il Cairo non vede ancora una base sufficientemente solida per aprire una nuova pagina nelle relazioni con Doha. Il Qatar, hanno affermato, sta ancora organizzando una “campagna sistematica contro il regime egiziano”.
Le fonti hanno osservato che nessuna delle richieste fondamentali fatte al Qatar – chiudere Al Jazeera, chiudere una base militare turca, troncare i legami con i Fratelli Musulmani e ridurre quelli con l’Iran – è stata soddisfatta. E’ troppo presto per dire se questo significa una frattura nelle forze contro-rivoluzionarie che sono sempre rimaste compatte da quando hanno appoggiato e insediato Sisi come presidente dell’Egitto, dopo un colpo di stato militare nel 2013.
Le tensioni su Yemen e Israele
Certamente, vi sono motivi per uno scontro tra il mentore bin Zayed e il suo protetto, bin Salman. Uno è lo Yemen: chi è il vero responsabile dell’intervento guidato dall’Arabia Saudita che bin Salman ha lanciato nel marzo 2015 – i sauditi o gli emirati? Le milizie finanziate e fedeli agli Emirati Arabi Uniti hanno preso il controllo del sud, lasciando ai sauditi una guerra irrisolta con gli Houthi nel nord.
Un secondo motivo di tensione è Israele. Nel guidare la normalizzazione con Israele, gli Emirati si sono chiaramente proposti come il principale partner di Tel Aviv tra i paesi del Golfo. Il vanto di Otaiba, secondo il quale gli Emirati Arabi Uniti e Israele hanno le due forze militari più capaci nella regione, ha rappresentato una provocazione per Riad e Il Cairo.
Scrivendo un editoriale, la prima volta in assoluto per un diplomatico del Golfo su un quotidiano israeliano, Otaiba si è vantato l’anno scorso, ancor prima che avvenisse la normalizzazione: “Con i due eserciti più capaci della regione, le preoccupazioni comuni su terrorismo e aggressioni, e un rapporto profondo e duraturo con gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi Uniti e Israele potrebbero formare una cooperazione più stretta ed efficace nel campo della sicurezza. Essendo le due economie più avanzate e diversificate della regione, l’espansione dei rapporti commerciali e finanziari potrebbe accelerare la crescita e la stabilità in tutto il Medio Oriente”.
La pretesa degli Emirati di essere il principale partner di Israele potrebbe causare problemi al futuro re dell’Arabia Saudita. Un altro illustre assente dal vertice del GCC è stato l’attuale re saudita, Salman.
Oltre a gettare l’osso al nuovo presidente degli Stati Uniti, bin Salman potrebbe anche coltivare le sue oscure ragioni per fare pace col Qatar. Sa che così facendo conquisterà, anche solo temporaneamente, la relativa quiescenza dei media controllati dal Qatar, principalmente Al Jazeera Arabic, che ha il pubblico più ampio di tutto il mondo arabo.
Regno spaccato
La copertura di Al Jazeera dei tumultuosi eventi che hanno scosso il mondo arabo ha vissuto fasi alterne. Anche prima del blocco, ad esempio, non ha dedicato al bombardamento omicida dello Yemen da parte degli aerei da guerra sauditi la stessa attenzione che aveva dedicato alla rivoluzione egiziana del 2011.
Mentre produttori e giornalisti sono più liberi di riferire rispetto alla maggior parte dei loro colleghi dei media controllati dall’Arabia Saudita, dagli Emirati e dall’Egitto, lo Stato del Qatar ha ancora le mani sul controllo del volume. Ci sono molti esempi, tra cui la decisione di minimizzare la copertura del processo a Loujain al-Hathloul, l’importante attivista saudita recentemente condannato a cinque anni e otto mesi di carcere.
Bin Salman potrebbe utilizzare questa distensione col Qatar per raggiungere due obiettivi: annunciare egli stesso il riconoscimento di Israele, e convincere suo padre ad abdicare e a cedergli il trono.
Non vi è dubbio che bin Salman pensi che questo sia il momento di fare entrambe le cose. Fin dall’inizio della sua campagna per diventare re, l’instaurazione di strette relazioni clandestine con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata la chiave del rapporto di bin Salman con il consigliere presidenziale americano Jared Kushner e con suo suocero, Trump.
Sulla questione della normalizzazione con Israele il regno è spaccato, dall’alto in basso. I pezzi grossi della politica estera della famiglia si oppongono ancora pubblicamente, in particolare l’ex-capo dei servizi segreti sauditi, il principe Turki al-Faisal. Anche lo stesso re, al quale il principe Turki rimane vicino, si oppone, e la questione avrà un forte impatto sul popolo saudita.
Futuri disordini
Un primo passo verso la risoluzione di questo problema è neutralizzare o smorzare il volume dei media arabi che potrebbero scontrarsi con bin Salman. Questo dipende principalmente dal Qatar, il ché potrebbe spiegare perchè lo stesso Kushner fosse presente al vertice del GCC.
Nonostante tutto il dolore che possa comportare, il premio è enorme e Biden, un sionista impegnato, lo apprezzerebbe moltissimo. Consegnare l’Arabia Saudita nelle mani di Israele rappresenterebbe un vero e proprio premio all’alleanza che si sta costruendo sopra e intorno alle teste dei Palestinesi. L’Arabia Saudita rimane, a dispetto delle sue dimensioni e della sua ricchezza, una “vera” nazione araba.
Se da un lato la risoluzione della crisi col Qatar è da accogliere con favore, dall’altro i motivi per farlo potrebbero scatenare ulteriori disordini nel mondo arabo.
Articolo di David Hearst pubblicato su Middle East Eye, traduzione a cura di Aisha T. Bravi