Scansare un fosso, tappare una buca. Il lessico quotidiano dei romani che circolano tra le fatiche delle loro strade, a cui basta aggiungere il classico: mettere una toppa, per arrivare al cuore della faticosa politica italica. Arrivano mani a gettare asfalto, a impilare cemento, così la superficie della strada si appiana un momento e la corsa riprende veloce. Deviazioni e proteste tacciono, ristori e redditi di emergenza fioccano. Si procede e si avanza, non si muta.
I passaggi stradali aumentano e poi c’è il tempo disgraziato che di caldo scioglie e di freddo allaga. Un temporale di imprevisti, fin troppo prevedibili, che scoperchia le buche, anzi le allarga. Un piccolo intoppo diventa una falla. Sciacalli fiorentini dal viscido ghigno si affacciano sul precipizio per specchiarsi una volta ancora nella felicità del potere. Si promettono mondi senza buche, si minacciano cadute di governi. Al di là del fosso però nessun orizzonte diverso viene immaginato, se non lo spauracchio di un presente già troppo fosco. I cittadini si lamentano ma continuano timidamente a circolare, deviati nel percorso, ottusi nella direzione.
I governanti dimentichi della possibilità di una lontana ricostruzione, si prodigano nel mettere nuove toppe, cosicché sul manto della strada appena ripianata possano crescere i fiori dei loro sondaggi. Remota alla vista, la voragine continua ad allargarsi finché un ultima goccia non farà traboccare l’asfalto e i cittadini saranno infine obbligati a cambiar strada, se non vorranno definitivamente deragliare.
Nulla di nuovo, si dirà. Le vie di Roma sono quelle dell’Italia. Un’archeologia eterna sovrastata da una modernità fatiscente, ruotante da decenni intorno al sole cristiano dello spirito democratico, capace di reincarnarsi in facce politiche sempre nuove, costantemente vecchie. Trame di compromesso, spregiudicate sempre nel nascondere e mai nel fare, capaci di avvalersi di un unico strumento: il cemento. Tramontato quello, è caduta qualunque idea di costruzione. Le crepe si son allargate, perfino ponti sono franati e l’idea resta fissa: ripianare, tappare, inseguire.
Ma non finisce qui. Infatti le buche romane e le falle italiane adesso incontrano per strada un nuovo ostacolo, un tornante battezzato come variante. Il primo dei tanti mutamenti di un virus; che lui muti è cosa secondo natura, che l’ostinazione della politica resti sempre nella stessa direzione è anch’essa cosa secondo natura, umana stavolta. Infatti in un tale reticolo di strade mal lastricate si è scelto sin dall’inizio di inseguire il virus nemico, mossi dalla volontà, irrazionale o forse maligna, di annientarlo nel minor tempo possibile. Vaccini come colate d’asfalto e costanti divieti di circolazione per preservare la strada e continuare la caccia.
Si poteva ambire alla neutralizzazione, lasciarlo circolare per strade di nuovo trafficate, rendendolo via via inoffensivo come un ladro libero di impugnare armi sempre più spuntate. Invece no, offesi dalla sua presenza, fondi e intelligenze si son da subito riversati sul desiderio di distruggerlo. Soldi sparsi tra la cittadinanza per evitare proteste, che non saranno capaci di produrre nulla se non altre proteste. Intelligenze volte non alla cura, ma alla prevenzione dell’incuria. Ospedali diventati labirinti di isolamento, dove igienizzare la malattia anche dall’ultima presenza d’affetto.
E così il virus continua a correre, leggero, orgoglioso e mutante in mezzo a strade sempre meno trafficate. E tra uno svincolo e un bivio potrebbe incontrare fratelli e nuovi alleati per destabilizzare corpi umani, infiacchiti dalla sedentarietà. Come se la caccia al re dei criminali lasciasse al contempo in libertà batteri, virus e decadimenti cellulari apparentemente minori. Al primo colpo di movimento umano finalmente smascherato e scostumato, questa infinita schiera di nemici, nascosta alla vista e lontana dalla ricerca, potrebbe penetrare nei corpi come una banda di ladri notturni per consolidare il furto della salute.
Intanto noi restiamo ad inseguire tra un tornante e una variante, tra l’ingombro della minaccia sanitaria e la fiacchezza delle promesse politiche. Aumentiamo la velocità, annaspiamo, rincorriamo ma non è che gira e gira, si torna sempre allo stesso punto?