Anche il più integralista dei cinefili è destinato a capitolare davanti al potere delle serie televisive. Una volta iniziata la prima puntata, lo sguardo non si stacca più, gli episodi vengono voracemente divorati. Sul divano, in poltrona, in bagno, sul letto, in viaggio le stagioni passano nel giro di poche ore. Come mai?
Un film resta un’immersione profonda ma estemporanea, uno strappo al tessuto del quotidiano e in un tempo che è già sincopato e frammentato dal digitale, non si ha voglia di ulteriori cesure. Ecco allora arrivare in soccorso le serie, che invece sanno accompagnare e assecondare il filo della narrazione, mischiando il loro tempo col ritmo delle abitudini. Niente di nuovo ovviamente.
È quel che da decenni fa la tv, soprattutto attraverso le sue costole narrative, rappresentate prima dalle telenovelas e poi dalle fiction. Ma qualcosa cambia nonostante tutto. Una volta sopravanzata ma non accantonata da internet, la televisione si avvia a perdere il suo classico ruolo da focolare domestico; un luogo preciso in una casa specifica di fronte al quale trascorrere parte del tempo libero e scandire le fasi della giornata.
È evidente come oggi siamo diventati tanti piccoli prometei digitali, dei nani mitologici che il fuoco se lo portano sempre dietro. Oppure capovolgendo la prospettiva, si potrebbe dire che oggi è il focolare a inseguire l’individuo. Non serve raggiungere un posto particolare e nemmeno attaccare la spina. La luce del monitor riscalda il flusso di pensieri in ogni momento della giornata. Ecco allora subentrare il fascino straordinario dei racconti seriali, capaci di appendere a un filo le diverse immagini, sparpagliate e accumulate nella propria personale caverna.
Le serie hanno la capacità di unire il presente al futuro legandoti sempre a quel che c’è dopo e anche la peculiarità di rinviare in maniera ipertestuale l’una con l’altra, creando un percorso labirintico, da cui è impossibile uscire.
Ma le serie non sono le vecchie e posticce telenovelas, poi diventate fictions in cui la semplicità del linguaggio, da ritardato affettivo e spesso ai limiti del kitsch, ha sempre avuto la funzione di far convivere lo spettatore per mezz’ora al giorno con un’altra famiglia, su cui leggere e trasferire la personale consistenza dei problemi o delle gioie quotidiane.
Insomma una specie di piccola catarsi bovina oppure una sorta di voyeurismo per procura attraverso cui si spiano dei vicini esemplari nel bene e nel male, col vantaggio che possono esser annientati premendo un semplice tasto del telecomando.
No, le serie hanno un loro linguaggio, il cui antesignano estetico è forse il feuilleton, ovvero i romanzi a puntate che nel corso dell’Ottocento, venivano pubblicati su quotidiani e riviste. La differenza principale, oltre ovviamente alla diversità espressiva del linguaggio cinematografico rispetto a quello letterario, sta nell’indifferenza verso l’autore.
Nella serie raramente è importante il regista (almeno che non sia una firma già molto prestigiosa e buona da vendere) e neanche l’attore è decisivo, a differenza del cinema. Quel che è fondamentale sono il soggetto, la sceneggiatura, il genere e l’atmosfera di fondo, capaci di proiettare lo spettatore nei bassifondi della criminalità, nei deliri della fantascienza, nei contorsionismi della psicologia o nella logica della saga.
Non c’è dubbio allora che le serie sopperiscano allora a una precisa mancanza di questi tempi: la ritualità capace di scandire i tempi del proprio quotidiano, che diventa anche un modo di raccontare a sé stessi le proprie azioni. Nella frammentazione degli istanti le serie riescono ad ossigenare la funzione narrativa dell’individuo, diventano un orologio che permette di condensare il proprio tempo quotidiano, altrimenti sparpagliato e dissolto.
In un’epoca in cui vengono a mancare anche le grande narrazioni (ideologiche, storiche, culturali, scientifiche…) queste piccole narrazioni, venute fuori come funghi, sono per forza destinate a vincere e ad annettere i propri rivali, dal momento in cui il capitale di produttori e distributori ha iniziato ad acquistare il meglio della manovalanza in uscita dal mondo della televisione e del cinema.
Per questo e anche per l’indiscutibile comodità della loro fruizione e della qualità dell’intrattenimento, le serie si avviano a soppiantare definitivamente il cinema, che nel frattempo si fa sempre più scadente e omologato. Con la consapevolezza che le serie rispolverano la chimica del glutammato, in via di sparizione dalle tavole: amplificano il gusto dello sguardo e generano un’assuefazione, che è molto vicina alla dipendenza.