Ora Timothy Weeks sostiene il dialogo col gruppo militante per porre fine al conflitto afgano che dura da anni.
“Per favore, chiamatemi Jibril”, ha detto Timothy Weeks quando TRT World lo ha avvicinato di recente per intervistarlo su Signal, la app di messaggistica criptata a cui tutti stanno passando in questi giorni.
Weeks, un insegnante di lingua inglese cinquantaduenne, è un ex-ostaggio dei Talebani che ha trascorso tre anni e mezzo imprigionato – la maggior parte del tempo incatenato all’interno di una piccola stanza senza finestre.
Il suo nome da musulmano, Jibril Omar, è dovuto alla sua convinzione che un arcangelo abbia vegliato su di lui durante la prigionia.
Egli, assieme ad un suo collega insegnante americano, Kevin King, è stato rilasciato alla fine del 2019 in cambio di tre comandanti talebani che si trovavano sotto custodia delle forze afgane. Questo scambio di prigionieri ha condotto ai primi colloqui di pace tra l’amministrazione di Kabul ed il gruppo militante.
Secondo le Nazioni Unite, oltre 150.000 persone, molte delle quali civili, sono state uccise durante il conflitto iniziato in seguito all’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA avvenuta oltre 20 anni orsono.
Anche mentre i colloqui di pace continuavano a Doha, i Talebani hanno continuato con attacchi devastanti, anche con attentati suicidi, contro le forze governative afgane.
Nel mezzo di questi massacri, Weeks è tra coloro che hanno conosciuto il lato peggiore dei Talebani. E’ stato però anche testimone di quella che lui chiama perseveranza e fede incrollabile dei suoi combattenti.
La sua storia è quella di un cristiano devoto che voleva, in quanto insegnante, fare del bene a delle persone demoralizzate e abbattute. Invece, è stato trascinato via con un AK-47 puntato alla schiena. E ora guarda all’intera esperienza vissuta come alla volontà di Dio.
Weeks racconta di aver vissuto un’infanzia felice crescendo nella campagna australiana di Wagga Wagga, luogo conosciuto per la nascita di grandi personaggi sportivi come Shane Warne, che ha estasiato il mondo del cricket col suo spin bowling.
“E’ tutto pecore e grano… paesaggio vasto ed immenso”, dice a proposito della regione.
Il suo primo ricordo di quando ha sentito parlare dell’Afghanistan risale alla sua casa di famiglia dove ha trascorso un’infinità di giorni a giocare lungo un fiume coi suoi due fratelli più piccoli.
“La madre di mio padre aveva un tappeto persiano appeso al muro. Raffigurava la scena di un paese del Medio Oriente. Forse proveniva dall’Iran o dall’Afghanistan”, ha raccontato.
L’immagine ricamata mostrava una corte reale con re e principi inginocchiati coi loro archi e i cani da caccia. “Lei mi raccontava delle storie usando quei personaggi. Quindi era come un libro illustrato per me”.
Viaggiatore appassionato, Weeks ha trascorso 20 anni come insegnante di lingua inglese in Thailandia, Palestina e Timor Este, dopo aver conseguito la sua laurea specialistica in educazione presso l’Università di Cambridge, nel Regno Unito.
Dopo essersi imbattuto nell’annuncio per un lavoro presso l’Università americana dell’Afghanistan, ha presentato domanda ed è stato accettato.
Volando da Dubai a Kabul nel 2016, ha potuto vedere le imponenti montagne che si innalzano all’orizzonte e il paesaggio arido tutt’intorno.
A Weeks fu assegnato il compito di dar vita ad un corso di lingua inglese per gli agenti della polizia afgana. Ma non è riuscito a portare a termine questo progetto. Solo poche settimane dopo il suo arrivo, lui e Kevin sono stati rapiti fuori dal cancello dell’università da un gruppo di quattro uomini.
“Venni portato via esattamente dopo 33 giorni, 3 ore e 3 minuti dal mio arrivo – o qualcosa di simile”, ha aggiunto ridendo.
Verso le montagne e oltre
La notte del 9 agosto 2016, l’autobus di Weeks e di Kevin era appena uscito dal cancello dell’università quando si fermò bruscamente.
Weeks svenne subito, dopo che la sua testa aveva colpito il sedile che aveva davanti. Quando ha ripreso conoscenza poco dopo, ha visto un uomo con la divisa militare, allacciata con quello che ha poi capito in seguito essere una cintura esplosiva.
I due accademici erano accovacciati in un’automobile che sfrecciava attraversando Kabul. “Ci siamo fermati in mezzo al nulla. Era deserto e roccioso e ho pensato che mi avrebbero giustiziato, così mi sono rifiutato di scendere”, ha raccontato Weeks.
Nelle otto ore successive, i rapitori, assieme ai due ostaggi, hanno camminato lungo un terreno roccioso. Weeks ha affermato di essere stato fortunato ad aver indossato gli stivali. “Kevin, che era più vecchio di me e un po’ in sovrappeso, aveva davvero difficoltà a camminare”.
Poi sono stati caricati su un’altra auto e condotti in un luogo desolato. Dopo alcuni giorni, la banda ha consegnato gli ostaggi ai Talebani.
Weeks ha dichiarato che dopo il suo rilascio, durante un incontro tenutosi a Washington, i funzionari della CIA gli hanno detto che tre dei quattro rapitori iniziali erano stati arrestati. Uno era stato ucciso. Non sa quanto i Talebani abbiano pagato la banda, ma vi sono stati numerosi casi di criminali che hanno rapito stranieri in Afghanistan in cambio di un riscatto.
Nei successivi tre anni e mezzo, Weeks e Kevin sono stati portati in luoghi diversi per ben 33 volte. Non ha modo di confermarlo, ma ritiene che siano stati tenuti in varie città o villaggi su entrambi i lati del confine, compresa la regione tribale del Waziristan, in Pakistan.
“Uno dei posti in cui ci hanno portato mi ricordava la Svizzera, con le sue montagne e i piccoli villaggi, le strade tortuose e le incredibili nevicate. In seguito ho guardato delle foto e sembravano luoghi del Waziristan”, ha detto.
I momenti più stressanti erano durante le precipitose corse per i trasferimenti. Quello era anche il momento in cui i militanti talebani picchiavano Weeks. “A volte stavamo in piccoli camion Toyota per 20 ore, sotto un mucchio di coperte, che serpeggiavano lungo delle vie secondarie”.
Le situazioni violente dei Talebani erano di solito il risultato di una confusione nell’interpretazione degli ordini ricevuti.
“La maggior parte delle volte non capivamo quel che volevano facessimo. Per Kevin era particolarmente difficile perchè lui è parzialmente sordo. Quindi potete capire la difficoltà quando alle 4 di mattina, all’arrivo degli elicotteri, ricevi istruzioni a bassa voce, hai la testa coperta da un passamontagna e sei in catene”.
“Le guardie erano davvero paranoiche quando era il momento di muoversi. Sussurravano a Kevin ma lui non capiva. Me lo chiedeva nuovamente, io ripetevo e le guardie mi picchiavano”.
Più tardi, Weeks ha imparato abbastanza bene la lingua Pashto per poter avere una semplice conversazione con le guardie.
Le forze speciali statunitensi (US Navy Seals) hanno compiuto almeno due tentativi per liberarli, ha detto. Ci sono andati vicini durante un’operazione quando erano detenuti a Ghazni, una città dell’Afghanistan.
“Ci trovavamo all’interno di un edificio quando sono arrivati i Seals, c’erano molti colpi di mitragliatrice e polvere. Naturalmente i Talebani non ci hanno detto che erano i Navy Seals. Hanno detto che era Daesh (ISIS)”.
All’inizio della sua odissea uno dei comandanti talebani disse a Weeks che sarebbe stato liberato entro dieci giorni. Ma l’Australia, come gli Stati Uniti, ha adottato la politica di non pagare i riscatti, pertanto la sua prigionia si è prolungata per mesi e poi per anni.
Nel giugno del 2017 i Talebani hanno reso pubblico un video di Weeks nel quale lo si può vedere mentre chiede aiuto al governo australiano, dicendo che è solo ed impaurito.
Dopo la punizione arriva la ricompensa
Sono stati tempi difficili per settimane. Un comandante talebano lo picchiava regolarmente, probabilmente come reazione all’uccisione di altri combattenti talebani durante una delle operazioni di liberazione fallite.
Veniva continuamente tenuto legato con catene di ferro, a differenza di Kevin che veniva lasciato libero per la sua età e per i suoi problemi di salute. “Dovevo tenere pulito il pavimento e lavare i vestiti. Se i vestiti erano sporchi mi picchiavano. Mi davano un secchio di acqua gelida per lavarli in pieno inverno”.
C’erano epidemie da topi e formiche che potevano provocare “uno shock anafilattico”.
Ma dopo un anno il comportamento delle guardie ha cominciato a cambiare. Gli ostaggi sono stati trasferiti in una cella relativamente più vivibile, con una finestra e, per la prima volta, Weeks riusciva a vedere le montagne.
“Le nostre condizioni erano peggiorate. Io pesavo 55 chili e Kevin non era tanto più pesante. Sembrava uno scheletro”. I Talebani speravano probabilmente in uno scambio e si erano resi conto che le cattive condizioni degli ostaggi avrebbero portato una cattiva pubblicità, dice.
Da una monotona dieta di melanzane e riso, ai prigionieri venivano ora offerti uva e melograni provenienti dai campi vicini. Questo è stato un grande sollievo per Weeks.
Si ricorda del momento in cui si era stancato di sopravvivere per giorni con una dieta a base di piselli, e aveva implorato le guardie per qualche uovo. “Affermavano che stavano mangiando le stesse cose che mangiavamo noi. Ma non era vero. Al mattino sentivo l’odore mentre cuocevano le uova”.
Non era un atteggiamento molto islamico quello tenuto dalle guardie talebane.
Dopo tutto, non è forse in un Hadith (detti del Profeta Muhammad) che i Sahaba (compagni del Profeta) diedero ai prigionieri di guerra lo stesso pane che mangiavano loro stessi?
Annoiato dalla routine, Weeks chiese alle guardie di procurargli dei libri. “Ero affamato di letteratura”. Gli unici libri in inglese che mi hanno portato erano testi islamici stampati nell’Urdu Bazar di Karachi. Weeks li divorò – soprattutto l’esegesi del Corano.
Una mattina ha visto quattro militanti talebani che trasportavano una cyclette. Il cambiamento nel comportamento delle guardie e le sue migliori condizioni avevano fatto capire a Weeks quanto fosse stato fortunato, ha detto.
“Dovevo dimostrare la mia gratitudine (a Dio). Avevo bisogno di fare qualcosa”, Weeks si ricorda di essersi ripetuto. Ha cominciato a contemplare l’idea di accettare l’Islam in prigionia.
Ma perchè l’Islam? Non avrebbe potuto dimostrare la propria gratitudine rimanendo un cristiano? La stessa domanda si sono posti i membri della sua famiglia, tra cui i suoi nipoti, attivisti della chiesa nel loro paese, in Australia.
Sì, avrei potuto dimostrare la mia gratitudine rimanendo cristiano. Ma una delle cose che mi ha assolutamente stupito è stata la fede dei Talebani. Avevano una fede impenetrabile e incrollabile che non possiamo vedere nel mondo occidentale.
A poco a poco Weeks ha imparato come eseguire le preghiere quotidiane e le abluzioni che le precedono. Il 5 maggio 2018 si è ufficialmente convertito.
“Pensavo che le guardie talebane avrebbero reagito positivamente, invece hanno minacciato di uccidermi”.
Weeks ha dichiarato che il suo dramma si è concluso bruscamente così come era iniziato. Lui e Kevin sono stati rilasciati nel novembre 2019. L’esercito americano ha inviato due elicotteri Black Hawk per riportarli a casa.
“Da una grande nuvola di polvere sono apparsi sei componenti delle forze speciali e si sono diretti verso di noi, uno di loro mi si è avvicinato e mi ha messo un braccio intorno, mi ha tenuto stretto dicendo ‘Stai bene?’ e poi mi ha accompagnato verso il Black Hawk”, ha dichiarato appena dopo il rilascio.
“Dal momento in cui ho avvistato i due elicotteri Black Hawk e sono stato messo nelle mani delle forze speciali ho capito che il mio lungo e tortuoso calvario era giunto alla fine”.
Nell’ultimo anno Weeks ha sostenuto attivamente gli sforzi di pace attraverso il suo account Twitter. Ma i suoi tweet, la maggior parte dei quali in Pashto, sono a favore del gruppo militante. Il suo profilo di Twitter riporta l’immagine della bandiera talebana. Chiama il gruppo col suo nome ufficiale, Emirati islamici dell’Afghanistan, che i militanti utilizzano per ottenere legittimità.
La gente spesso lo accusa di soffrire della Sindrome di Stoccolma e che egli sia stato sopraffatto dagli anni trascorsi in prigionia.
“Ovviamente ne ho risentito, soffro di PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress) cronico grave. Ma ho visto alcuni dei migliori psicologi e nessuno di loro mi ha diagnosticato la Sindrome di Stoccolma”.
Weeks ha detto di non amare i Talebani e, a volte, di aver odiato il modo col quale veniva trattato. “Sapevo molto bene che sarebbe stata sufficiente una sola parola del comandante e le guardie mi avrebbero giustiziato”.
Mentre era tenuto in ostaggio, la madre di Weeks morì. Inoltre, subito dopo il suo rilascio, gli è stato diagnosticato un cancro alla prostata in stato molto avanzato e ha subito sette interventi chirurgici negli ultimi 10 mesi.
“Le persone che mi definiscono un burattino dei Talebani non capiscono quel che ho sofferto in termini di salute e di danni personali”.
In questi giorni Weeks sta lavorando come attivista part-time cercando di aiutare i rifugiati afgani in altri paesi, come la Turchia. Nelle foto, lo si può vedere indossare il tradizionale berretto pashtun, durante i suoi viaggi.
Il suo ex-collega di università, Kevin, ha sempre mantenuto un basso profilo da quando sono stati rilasciati.
Weeks ha detto che non perdona la violenza perpetuata dai Talebani.
“Mi sono impegnato a sostenere i Talebani nei negoziati, non nelle violenze o negli attentati suicidi. Non dò assolutamente nessun supporto per questo. Sto cercando di fare del mio meglio per garantire che rimangano al tavolo dei negoziati”.
“Se posso avere anche solo un piccolo ruolo nel portare la pace in Afghanistan, allora sarò felice”.
L’anno scorso Weeks si è recato a Doha, in Qatar, per partecipare alla prima sessione dei colloqui di pace tra i Talebani e gli Stati Uniti, su invito del gruppo militante. “Avevo fatto una promessa a me stesso, e cioé di portare all’attenzione di tutti la questione dei prigionieri di guerra dopo il mio rilascio”, ha detto a proposito della sua decisione di partecipare all’incontro.
Qui ha incontrato Anas Haqqani, un comandante talebano che è stato rilasciato in cambio di Weeks e Kevin. “Siamo stati scambiati per costruire la fiducia. Quindi era logico che lo incontrassi”.
Anas, fratello minore di Sirajuddin, il leader della temuta Haqqani Network, è venuto all’aeroporto per riceverlo. “Sono stati piuttosto sorpreso nel vederlo. Lo giudico come un uomo che ha passato una esperienza traumatica come la mia, anzi molto peggiore. Ci unisce il fatto di essere stati entrambi dei prigionieri. Parliamo di cose che sono accadute durante la nostra incarcerazione, come la mancanza di riposo”.
A Doha, alcuni funzionari talebani si sono avvicinati a Weeks scusandosi.
“E’ stato bello, ma non cambia il fatto che ho passato l’inferno”, ha detto.
“Ma credo che se non avessi passato tutti questi guai, non avrei accettato l’Islam”.
Articolo di Saad Hasan pubblicato su TRT World