Volevo lasciar passare almeno un giorno, tanto per fare un po’ lo snob e non accodarmi alla solita, ennesima, celebrazione, ma mi sembra che tra COVID e Draghi/Rousseau, ieri questo anniversario non se lo sia filato nessuno. Già perché ieri era l’11 febbraio, e tra 8 anni saranno centenari i Patti Lateranensi.
Due italiani del tempo, sua eccellenza Benito Mussolini e sua eminenza Pietro Gasparri, un romagnolo mangiapreti e un marchigiano clericale, due primi ministri insomma, uno del re e l’altro del Papa, firmarono nel Palazzo del Laterano un patto assurdo e scellerato, opportunista e politicante che ancora ci pesa addosso.
L’antefatto è noto, ma ricordarlo brevemente non sarà inutile. La congiura anglo-franco-massonica, che nel 1860 aveva portato la micro monarchia sabauda, fino ad allora confinata nel nord ovest della penisola e in Sardegna, a impadronirsi di quasi tutta la penisola italiana aveva eroso lo Stato Pontificio, fino a ridurlo all’attuale Lazio e manco tutto.
Ma Roma era lì in mezzo e la sua conquista era fortemente simbolica oltre che politicamente ineludibile, tanto che Cavour il vero artefice dell’Unità d’Italia vi si spese fino alla vigilia della sua morte. Pochi mesi prima infatti, nel Parlamento di quello che era ancora il Regno di Sardegna ebbe a dire: “La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno Italico”.
Passarono pochi anni e nel 1870, dopo che il Papa venne abbandonato da tutti i suoi alleati, 65mila armati “italiani” marciarono su Roma. Avevano di fronte 13 mila avversari, tra regolari pontifici e foreign fighters: francesi, austriaci, bavaresi, olandesi, irlandesi e spagnoli.
Non ci fu quasi partita, la maggior parte degli ufficiali del Papa si arresero o non combatterono e la resistenza degli zuavi pontifici servì più che altro alla retorica dei vincitori.
Bilancio finale complessivo 47 caduti e 200 feriti. Roma valeva bene un tal prezzo.
Mastai Ferretti, Pio IX il Papa, la prese malissimo, si dichiarò prigioniero degli italiani e si rinchiuse nei palazzi vaticani.
Rifiutò sdegnosamente la Legge delle Guarentige che definì un “mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria”; lo Stato italiano da parte sua soppresse tutte le facoltà di Teologia dalle università italiane e stabili che seminari fossero sottoposti a controllo statale. Insomma tra i due erano storie tese.
Pio IX rimase così fino alla sua morte e dopo di lui ci rimasero un Leone, un altro Pio, un Benedetto è ancora un Pio che appunto regnava in quel febbraio, 11, del ‘29 e che diede fine all’ostilità, tutta politico-diplomatica tra Santa Romana Chiesa e il Regno d’Italia in gestione fascista.
Con quei Patti che poi divennero il Concordato tra Stato e Chiesa venivano fissati i rapporti che i cittadini italiani, in quanto cattolici, potevano e dovevano avere con il loro Stato. Ma non solo loro, riguardava anche gli altri (allora non si parlava certo di noi musulmani, ma c’erano italiani protestanti, ebrei, ortodossi), già perché la religione cattolica era assurta a religione di Stato e, per dirne un’altra, il suo insegnamento era “fondamento e coronamento” di tutte le altre materie in ogni ordine o grado scolastico.
Poi finito il fascismo, finita la monarchia, con una di quelle svolte che hanno sempre contraddististinto la politica italiana, e che ancora continuano, anche i laici e il PCI presenti nella Costituente recepirono quel Concordato e infatti nella sua stesura originale, la Carta recitava all’Art. 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.”
Parlando della battaglia politica tra i costituenti che accompagnò la discussione di questo articolo Alessandro Natta, mio concittadino e parlamentare comunista ininterrottamente dal 1948 per dieci legislature fino al 1992 mi disse testualmente: “Abbiamo accettato l’art. 7 e abbiamo fatto bene, perché l’Italia non aveva certo bisogno di una guerra di religione.”
Forse si, e dal suo punto di vista certamente si, ma nonostante la miglioria craxiana a distanza di altri 72 anni, questo catafalco clerico-fascista-realpolitik comunista, incombe ancora sul nostro presente e sul nostro futuro di cittadini e di credenti musulmani.