Ormai alta nel cielo era la mezzaluna, candida, nivea, stagliata nel tèrso imbrunire del mese nuovo. Struggente il rosso che ai bordi di quell’immensa volta sanguinava amore nel gelido respiro di un animo inquieto. Ad ovest le prime stelle segnalavano l’incombere di una notte di diamanti. Segni.
“Nella creazione dei cieli e della terra, nell’alternarsi della notte e del giorno…vi sono segni per la gente dotata di intelletto.“Corano 2-164
Ho detto a mia moglie di farmi scendere dall’auto perchè volevo tornare a piedi, non lo sapevo ancora ma la luna aveva qualcosa da dirmi e seguii il suo richiamo. L’angelo della morte era lì, sceso a prendersi le sue anime ma non lo vidi subito, nascosto com’era tra il rubino dell’orizzonte. Rubbuka wa Rabbuna Allah, dissi alla luna, Subhanak ya Rabbi, dissi al suo Creatore.
Come un pugile che stenta a riprendersi ancora oggi mi sento stordito. Con lui se n’è andato un pezzo di storia di Perugia, dell’Umbria, dell’Italia e di me. Ognuno ha conosciuto un pezzo di Abu Sumaya, moltissimi non sapevano il suo vero nome, anche io ci misi anni per conoscerlo. Una decina di anni in medioriente mi sono serviti a capire il perchè.
Era il 17 Febbraio del 1995 quando feci la mia shahada in pubblico in via dei Priori alla presenza dei tanti fratelli e del mio primo Imam: Abu Sumaya. Era Ramadan, il 17 di Ramadan e dato che le coincidenze non esistono, presi il nome Arabo di Badr. Lui mi chiamava ancora così.
Via dei Priori era l’unica moschea presente a Perugia, in pieno centro, a due passi da Corso Vannucci, un seminterrato piccolo, pochi metri quadrati ma che accoglieva caloroso tutta la comunità che in quegli anni si stava allargando. Il Venerdì si entrava a stenti. A Ramadan ogni sera si cucinava e si mangiava insieme. All’esigua comunità di Palestinesi, Giordani e Siriani che come studenti erano venuti in Italia, in quegli anni si aggiungeva la prima ondata di Marocchini, Algerini, Tunisini, Egiziani della nuova Italia.
All’epoca pochissime erano le famiglie e le donne, i musulmani erano per la maggior parte giovani uomini soli. Ci vorrà qualche anno, la stabilizzazione, i matrimoni ed il ricongiungimento familiare per mettere le basi di quello che siamo oggi.
A Ramadan dopo Salat Dhuhr ( la preghiera del mezzogiorno) si iniziava a cucinare, un grosso pentolone dove si alternavano riso e pollo, cous cous e pollo, Harira, Shurabah e qualche rara volta anche pasta al tonno e pomodoro (scotta ovviamente come da autentica tradizione alloctona).
Il profumo delle spezie inondava la via e passando di lì era per un attimo come passeggiare in un suq.
Quasi tutte le sere Abu Sumaya era con noi, anche se aveva una famiglia e dei figli, preferiva stare con la sua comunità, ci amava. Tutte le sere era lì per il tarawih. La notte del destino la leggeva tutta lui, masha Allah quanta forza e resistenza e che bella voce.
Le feste dell’Eid, le mie prime erano sempre molto belle, grandi, in centri sportivi o qualche volta all’aperto, erano le uniche occasioni dove la comunità riusciva a ritrovarsi e vedersi così numerosa. Se chiudo gli occhi lo vedo ancora il mio Imam con la sua Ghallabiah immacolata, la sua tunica marrone e la kufi’a sulla testa. In tutte le manifestazioni per la pace c’era sempre, ed in quelle per la Palestina (ancora si facevano in quegli anni) era il primo della fila a sventolare alta la bandiera di una nazione mai nata ma che esiste da millenni.
Fu tra i primi Imam in Italia a sdoppiare il sermone del venerdì con un breve riassunto in Italiano: “ed ora due barole ber i nostri fratelli che non barlano l’arabo” … Quella B non la scorderò mai, un distintivo, una shahada di puro arabismo da sfoggiare con onore, come il mio accento terrone quando parlo qualsiasi lingua.
Non in molte città Italiane l’Islam è visto così bene ed accettato come a Perugia e di questo gli si deve dare credito, come quello di non aver mai permesso ai vari “pazzerelli” di turno di avere una voce nella moschea, almeno nelle sue. E’ riuscito nella sua città a farsi volere bene ed a far accettare l’Islam rappresentando uno dei lati migliori dei musulmani Perugini. Ha concentrato tutto su di lui, forse troppo per qualcuno, ma ha evitato la cacofonia dispersiva di altre realtà. L’Islam a Perugia ed in Umbria era Abu Sumaya e la sua dipartita lascia un grande vuoto che difficilmente potrà essere riempito.
Finita l’Università ormai 20 anni fà lasciai Perugia per il mondo. Il venerdì si pregava già nella nuova grande moschea in Via Settevalli e la comunità era più grande, tante donne, tantissimi bambini. Qualche anno dopo da Damasco i miei futuri suoceri Palestinesi lo chiamarono per chiedere di me, e lui senza esitazione disse: “potete concederla, garantisco io”.
Così come quando per completare le scartoffie burocratiche Siriane mi ritrovai a fare da lui la mia prima shahada scritta, in Italiano ed Arabo, il mio primo documento “ufficiale” dove si testimoniava che fossi musulmano. Quando tornavo da lui tornavo a casa. Non i muri o i tappeti della moschea ma le sue parole, i suoi gesti, i suoi sorrisi e la sua voce erano la mia casa.
“Una goccia di rugiada tra due petali di rosa, ecco la mia casa”
Questo un pò del mio Abu Sumaya, sono sicuro che ognuno ne porti un differente e prezioso ricordo nel cuore. Tenetelo stretto.
Un ultimo messaggio prima del congedo: a voi che lo avete conosciuto ed amato, nel silenzio della notte, pregate per lui e la sua anima, piantante un albero in suo nome, prendetevi cura di un orfano in Palestina (ovunque nel mondo), costruite un pozzo dove ce ne sia bisogno, in suo nome, nel suo ricordo, non c’è cosa migliore che possiate fare per la sua anima.
Alla moglie (dietro un grande uomo c’è sempre una grande moglie), ai figli, ai parenti, agli amici, alla comunità Perugina ed Umbra, a quella Palestinese ed Italiana le mie più sentite condoglianze.
Che Allah abbia misericordia della tua e delle nostre anime ya Imami.