Un disabile guarda un bulldozer mentre gli demolisce la casa. Solo qualche decina di metri lo separa dalla struttura il cui secondo piano sta collassando su sé stesso. Il bulldozer colpisce i muri dell’edificio di pietra- che era ancora in costruzione- martellando e fracassando, facendo cadere un altro muro e distruggendone un’altra stanza sul suo piano superiore, trasformando il tutto in un cumulo di macerie.
Il suo proprietario, che aveva investito tutti i suoi risparmi nella costruzione, osserva la devastazione dalla sua sedia a rotelle, circondato da poliziotti di frontiera che hanno l’aspetto violento e minaccioso di sempre.
Non è la prima volta che assiste a questa scena; successe già nel 1999. E neppure è solo la seconda, la terza o la quarta: le autorità israeliane hanno demolito casa sua sei volte. Forse questa è la ragione per cui un gruppo di residenti a Isawiyah, il quartiere di Gerusalemme est i cui residenti ci tengono a chiamarlo “villaggio” – come se volessero ricordare bei tempi che non ritorneranno- sono usciti per stargli vicino nel suo dolore.
Lunedì, questa settimana, Isawiyah. Khatham Abu Riala è stato costretto sulla sedia a rotelle dopo la demolizione di casa sua, del 4 febbraio del 2009. Mentre protestava, inciampò e cadde dal tetto dell’edificio, poco prima che fosse raso al suolo. La caduta per 7 metri (23 piedi) su un terreno roccioso ha offeso la sua spina dorsale, lasciandolo paralizzato dalla cintola in giù- e disoccupato. Prima dell’infortunio è stato autista per la società Superbus; oggi ne sta indossando il giaccone per proteggersi dal freddo pungente di Gerusalemme. Aveva anche trascorso un periodo come autista di camion nel porto di Ashdod.
La disabilità di Abu Riala nei corridoi del comune di Gerusalemme non suscita compassione. I suoi funzionari sono anche indifferenti al fatto che non ci sia modo per i palestinesi di costruire legalmente a Isawiyah. Quasi tutti gli edifici che vi sono stati costruiti dopo il 1967 sono illegali, ma la municipalità di Gerusalemme ha evidentemente scelto di concentrare i suoi sforzi su quest’uomo in particolare, e ha condotto una battaglia senza quartiere contro Abu Riala, che ha cercato per 22 anni di costruirsi una casa su un terreno di sua proprietà adiacente alla casa dei suoi genitori- 22 anni durante i quali la municipalità non ha approvato alcun piano edilizio aggiornato per Isawiyah, e vi ha invece vietato qualsiasi nuova costruzione.
“Le persone si sposano. Nascono i bambini. Dove vivremo? Dovremmo vivere tutti in una stanza? Chiede Abu Riala. “È compito della città preparare un piano edilizio. Mi dicono: vai a Beit Hanina [un altro quartiere di Gerusalemme ancora più fuori, sulla strada di Ramallah]. Ma è qui che ho la terra. Qui sono nato. Perché dovrei andare a Beit Hanina se la mia proprietà è qui?”
L’ultima volta, la quinta, che casa sua è stata demolita da contractors privati che lavoravano per conto della città di Gerusalemme è stato nel dicembre del 2019. A maggio del 2020 ha iniziato a ricostruire, fino a quando le autorità gli hanno detto di smettere. Da allora, la minaccia di demolizione è rimasta sospesa sull’abitazione, la cui costruzione era quasi stata completata.
Ovviamente non stiamo parlando di un insediamento israeliano o di un avamposto, o anche di un nuovo quartiere per ebrei ultra-ortodossi arrivati dall’America. Questo è un villaggio palestinese occupato.
Quando siamo arrivati a Isawiyah martedì mattina tardi, l’operazione era già stata compiuta e le forze di polizia avevano già lasciato il villaggio. Abu Riala stava seduto sulla sua sedia a rotelle sul terreno roccioso di fronte alle rovine di casa sua, circondato da pochi uomini che erano arrivati per confortarlo e cercare di sollevargli un po’ lo spirito, come per un lutto. Fra di loro c’era l’attivista sociale Mohammed Abu Hummus, il cui corpo è segnato dalle pallottole con la punta di gomma che la polizia israeliana ha sparato su di lui per anni nelle dimostrazioni contro le demolizioni di case e altre iniziative di protesta.
La casa di Abu Riala si trova sul lato orientale di Isawiyah, di fronte al deserto. Suo nipote viveva con la moglie e il loro solo figlio al pianterreno della struttura, che per qualche ragione non è stato preso di mira, mentre il secondo piano era stato assegnato a Abu Riala, sua moglie e due figli. Solo su quel piano poteva avere accesso la sedia a rotelle di Abu Riala, perché l’edificio sorge sul pendio di una collina.
Le lastre di cemento e le sbarre di ferro si sono accumulate davanti all’ingresso del pianterreno e bloccano ora completamente l’entrata. Risultato: il nipote di Abu Riala, sua moglie Maha, che attende un bimbo, e il loro figlio di 3 anni Karam, sono anch’essi senza un tetto sulla testa. E anche se le macerie che bloccano l’entrata dell’appartamento fossero rimosse, sarebbero comunque impossibilitati a entrare a causa delle crepe e dei buchi sul soffitto di casa. Inoltre, anche avvicinarsi al devastato piano superiore è pericoloso per i giovani che ora vagano fra le rovine.
Ottimo risultato per la municipalità.
Abu Riala nacque nel 1978 ed è cresciuto in quella che è oggi la casa dei suoi genitori, e che si trova vicino all’edificio recentemente demolito; lui e la famiglia vi si sono trasferiti durante la costruzione della sua casa. La casa della sua infanzia si trovava un tempo circondata da un paesaggio rurale, con suo padre che coltivava cocomeri e pomodori in un campo poco lontano. “Qui siamo cresciuti nella natura,” ci dice.
È sposato con Hiba e hanno un figlio, Anas, che ha 14 anni e una figlia, Dania, più giovane di un anno. Lunedì, il giorno della distruzione, era anche il compleanno di Anas. Il solo momento in cui gli occhi di Abu Riala si sono inumiditi mentre gli parlavamo è stato quando ha ricordato che suo figlio aveva chiesto domenica come avrebbero festeggiato il suo compleanno. Ora lo sanno.
Giovedì scorso, la polizia di frontiera e dei funzionari municipali sono arrivati davanti a casa loro e l’hanno fotografata. Quello è stato un cattivo presagio. Sono tornati la domenica. Quella sera, basandosi su informazioni ottenute nella municipalità, due capi villaggio di Isawiyah, Khader Abayat e Omar Zumzum, hanno assicurato Abu Riala che la sua casa non sarebbe stata demolita il giorno successivo. “Puoi dormir tranquillo stanotte e non ti preoccupare. Non ci sarà alcuna demolizione domani,” gli hanno detto i due capi villaggio (mukhtar, ndt).
Nonostante ciò Abu Riala ha avuto una notte insonne. Alle 4 e 30 del mattino si è recato nella locale moschea per la preghiera dell’alba. Era felicissimo di constatare che non c’era movimento nel villaggio; non vedeva funzionari di polizia, bulldozer, funzionari del comune. “Mi sono detto, ‘Dio, i due mukhtar avevano ragione. Non ci sarà demolizione oggi.” È andato a casa. Ma alle 7 e 20 suo fratello Jawad l’ha chiamato dalla fabbrica di plastica di Kiryat Malakhi dove lavora. Jawad ha detto a suo fratello che fotografie di poliziotti e di bulldozer all’entrata di Isawiyah erano state postate sui social media.
Dopo qualche minuto ha sentito la polizia di frontiera cercare di aprire la porta di ingresso di casa sua. Otto poliziotti erano alla porta. Gli hanno ordinato di lasciare la casa e di allontanarsi con la famiglia, la demolizione stava incominciando. Abu Riala ci dice che ha provato a spiegare che i suoi bambini stavano ancora dormendo, ma inutilmente. I poliziotti gli hanno detto, “demoliamo questa struttura, e poi puoi chiedere il permesso di ricostruire.”
Ho passato 22 anni a chiedere un permesso. “Non c’è permesso. Costruire è vietato. Staremo seduti altri 22 anni con le gambe incrociate, e aspetteremo che la municipalità completi il suo nuovo piano edilizio,” dice disperato.
Ciò che più ha fatto arrabbiare Abu Riala, aggiunge, è stato il comportamento dei demolitori. “Ridevano. Non avete vergogna? Perché ridete in un momento come questo? Il loro messaggio era questo: ti abbiamo spezzato. È la vita delle persone che state demolendo.” Quindi Abu Riala si è seduto con sua moglie Hiba, i loro due figli e la suocera, e hanno guardato la distruzione. È iniziata alle 7 e 30, e alle 11 e 30 era terminata.
Ci dice che i suoi bambini da allora sono sotto shock. Ai tempi delle demolizioni precedenti erano molto piccoli. Dania chiede quando potrà avere una cameretta sua. Anas vorrebbe festeggiare il suo compleanno. “Piangevano, e io ho dato loro fazzoletti per asciugare le lacrime,” dice il loro papà. “Il buldozzer divorava la pietra e divorava il mio cuore.” Nel corso degli anni, dice, ha speso 650.000 shekel (circa 197.000 dollari) nella sua lotta per costruire una casa sua, sulla sua terra, al 31 di via Tarin al-Madras.
Il portavoce della municipalità di Gerusalemme, Yaron Lupo, ha rilasciato a Haaretz la seguente dichiarazione: “Questa costruzione è stata edificata senza permesso, ed è stato emesso un ordine amministrativo di demolizione, eseguito lunedì. È una demolizione ripetuta di una costruzione già smantellata in seguito ad un ordine di demolizione nel 2019, ed è stata ricostruita. Sono state eseguite due demolizioni e non sei come affermato. Le demolizioni sono state eseguite in seguito ad un ordine amministrativo e in osservanza della legge, in seguito ad un’autorizzazione e a numerose istanze legali, nel quadro della lotta contro le costruzioni abusive in tutta la città, e a maggior ragione nel caso di infrazioni ripetute per lo stesso edificio, in aperta sfida ai tribunali e alla legge.”
Aviv Tatarsky, un ricercatore che si occupa di temi di pianificazione per conto della non profit Ir Amin, ha detto: “Edificare senza permesso è ciò che viene imposto alla famiglia di Abu Riala, così come ad un’ampia porzione degli abitanti di Isawiyah, dalla politica israeliana. Un anno fa, 30 anni dopo che l’originale piano edilizio per il quartiere era stato approvato, e 15 anni dopo che gli abitanti di Isawiyah preparassero un nuovo piano di loro iniziativa, la municipalità di Gerusalemme ha annunciato che ne avrebbe presentato uno nuovo. Tuttavia, il ministero dell’interno non ha fretta di approvarlo, e nel frattempo le famiglie continuano a perdere le loro case.”
Secondo i dati forniti da Ir Amin, 216 edifici sono stati demoliti a Gerusalemme est nel 2020, dei quali 144 erano abitazioni residenziali. Nel solo gennaio scorso, 24 strutture sono state demolite, 17 delle quali erano residenze private.
La notte successiva alla demolizione della casa di Abu Riala, le forze di polizia sono entrate a Isawiyah e con loro sono ritornate nel villaggio le immagini di tensione e di violenza.
Articolo di Gideon Levy pubblicato sul quotidiano Haaretz