I furbetti delle mascherine Ffp2, sulla rotta dalla Cina all’Italia, hanno fatto tappa a Istanbul. O almeno è quanto sostengono alcuni organi di stampa: Il Corriere della Sera, Open, altri a ruota ormai anche in tv.
Nell’articolo “Mascherine Ffp2, il test choc: «Modelli “certificati” si rivelano quasi tutti non a norma”, apparso il 28 Febbraio per l’appunto sul Corriere, viene rilanciata un’accusa già esaminata dal quotidiano in lingua tedesca Dolomiten e avanzata “da una società internazionale che si occupa di import export sull’asse Italia-Cina.”
In cosa consiste questa accusa? Nel fatto che, secondo una serie di test fatti in proprio e poi controllati da un laboratorio, alcune delle mascherine non sarebbero a norma: cioè, non proteggerebbero dal contagio del covid come invece indicato. La società è rimasta anonima, né sono stati forniti dettagli sui risultati di questi test: bisogna solo fidarsi.
D’altra parte, il quotidiano milanese ha esplicitato che “la maggior parte dei dispositivi difettosi — sono circa una ventina i modelli testati — è stata certificata con il marchio CE2163. Il codice è quello della Universalcert: un laboratorio di Istanbul, in Turchia.”
La notizia è stata ripresa dal quotidiano online Open, che ha avanzato ulteriori ipotesi: “Il rischio che si corre […] è quello relativo alle truffe da parte di aziende che sfruttano illecitamente il marchio.” La Universal Certification, infatti, ha risposto facendo presente che il suo compito è quello di certificare il materiale che gli viene messo a disposizione, con successivi controlli a campione: non può analizzare tutte le mascherine una per una, né soprattutto impedire contraffazioni del marchio. In sintesi: se anche delle mascherine risultassero effettivamente difettose, non è detto che siano i turchi i responsabili.
Open ha poi ricostruito un altro passaggio essenziale, quello dei test: perché “la società non svolge tutti i test sulle mascherine e […] parte delle analisi vengono subappaltate ad altre società. Non solo, alcuni dei laboratori dove vengono effettuati i test per i turchi si trovano proprio in Cina.” Ma, spiega l’autore dell’articolo David Puente, è tutto in regola: “la società turca non compie un illecito nei confronti dei regolamenti europei”, perché sono formalmente previsti sia l’attività di enti certificatori in paesi che non sono membri dell’Unione europea sia il subappalto (anche questi laboratori cinesi sono certificati).
La stessa Universal, in un comunicato stampa in cui risponde punto per punto ad accuse e insinuazioni, spiega che “tutti i servizi dell’azienda, attiva da 16 anni, sono conformi agli standard europei e internazionali e sono accreditati dall’Ente nazionale turco di accreditamento (TÜRKAK), che ha sottoscritto accordi multilaterali di reciproco riconoscimento. Tutti i servizi di Universal Certification sono inoltre monitorati dalle autorità di sorveglianza e vengono costantemente valutati dagli enti autorizzativi.”
Tutto chiarito? Fine di questa antipatica vicenda? Beh, no: le attenzioni ricevute hanno istintivamente spinto i potenziali acquirenti ad allontanarsi da questi prodotti, con danni che potrebbero protrarsi nel tempo. Ma poi c’è stata la giornalista Marta Ottaviani, che addirittura con un “rullo di tamburi”, sul suo canale youtube, ha rilanciato in grande stile quello che chiama “il fattaccio”. Nel suo messaggio, ha commentato l’articolo del Corriere aggiungendo ulteriori accuse – ma non circostanziate – e invitando al boicottaggio.
Attacca la Ottaviani: “c’è poi da chiedersi perché questa Universalcert abbia certificato queste mascherine in maniera sbagliata”; non crede “all’errore umano”, ma pensa ad altri motivi. Quali? Li esplicita: “non dimentichiamoci che la Cina è un partner molto importante per la Turchia”.
Implicitamente, ci vede un dolo: nessun errore ma favoritismo sull’asse Ankara-Pechino. In ogni caso, per lei il colpevole di eventuali non conformità delle mascherine – che devono però emergere da test trasparenti – è chiaramente l’azienda turca, errori o responsabilità altrui (dei produttori, di truffatori) non sono contemplati.
E poi chiude con una raccomandazione: richiama il marchio CE2163 delle mascherine apparentemente difettose, raccomandandosi che “se vi capitano tra le mani, evitate di acquistarle”.
Tra l’altro, identica certificazione viene data a mascherine anche di produttori italiani e anche a prodotti merceologici ben diversi: tutti così trasformati in bersagli indiscriminati!