È un anno ormai che ci siamo inchinati ad accendere un cero sotto l’altare dell’industria farmaceutica, pregando e inneggiando al concepimento del vaccino liberatore. Partorito con prematura fretta il vaccino è sopraggiunto veloce dalle vette dei laboratori fino alle nostre vene, lasciandoci intravedere la felicità di un ritorno alla normalità. È bastato poco, molto poco affinché passasse repentinamente da oggetto d’adorazione a plasma di isterie e controversie.
In verità c’è poco di cui stupirsi. Avendo abbreviato il normale iter di sperimentazione (di norma sei-sette anni), era già scritto che il prodotto sarebbe stato testato in itinere, lasciando perciò spazio nel corso del tempo ad alcuni effetti sfuggevoli alle lenti della ricerca. E non siamo che all’inizio. Basti inoltre soffermarsi un istante sull’etimologia del termine farmaco (dal greco phármakon, che significa anche veleno) per capire quanto fosse scontato che, tra le viscere della statistica e del caso cui sottostà la meccanica corporale, s’annidassero rischi e controindicazioni. Insomma, volgarmente detto, era prevedibile che ci scappasse qualche morto.
Da qui all’isteria, dall’informazione all’azione, è stato però fin troppo breve il passo delle scelte politiche e individuali, sempre più orfane della riflessione. Una volta iniziato il vortice dell’informazione, impossibile fermarlo. Il vaccino ammazza più del covid…Oddio, ora che l’ho già fatto, che devo fare…Tutto colpa di quel lotto con le fiale marce! E così all’infinito. Dopo aver assimilato il mal di gola a un anticipo di morte, ora si è aggiunto il vaccino a sollecitare un atteggiamento vigile sulla pesantezza delle gambe, sul battito cardiaco e qualunque altro sintomo evocatore di una cacofonica parola: trombosi.
Prima qualche paranoico solitario si infliggeva la condanna di ricercare in internet la sintomatologia di un fastidio fisico qualunque, ergendosi a personale medico del senso comune; ora lo fa una popolazione intera, fomentata da media ottusi e infantili. Il risultato è una psicopatologia di massa in cui l’informazione ormai si è fatta carne, mentre il corpo è diventato uno dei tanti scarti del ciclo infinito dell’informazione.
Cosa fare allora per chi è chiamato a prendere delle decisioni? Gli Stati per il momento si sono limitati a sospendere l’azione (la somministrazione) per delegare la reale decisione alla primaria e autorevole fonte dell’informazione, ovvero agli organismi scientifici di riferimento. Scelta coerente con l’insieme di decisioni effettuate nell’arco dell’intero disgraziato anno. Nel frattempo il siero vaccinale continuerà a scorrere placido tra le vene e fino alla sua definitiva assimilazione sarà intercorsa un’infinita quantità di informazioni, che inevitabilmente si sovrapporranno alla percezione del proprio corpo.
È allora evidente come il problema sia a monte, nella velocità dell’informazione che corre il doppio rispetto alla scelta e all’azione. Immaginatevi di fare una lenta passeggiata, in cui nulla accade se non il libero scorrere di qualche idea. Poi ci si connette un istante e un mare di informazioni ci invade. Il tempo si accelera. Si spalanca un iato tra il ritmo dei propri passi e l’incedere incessante delle informazioni.
Una volta dentro, ci troviamo in un tempo che è diventato come una continua sintesi di una partita di calcio. Azioni importanti a raffica una dietro l’altra, un’emozione dietro l’altra capaci di abolire la durata e attesa. Un tempo sintetico, emotivo e sincronico che rende impossibile la distanza e quindi l’analisi. È cosi che nasce il ciclo dell’informazione-azione, privo della riflessione, che ha invaso ogni questione di dominio pubblico: oltre all’emergenza sanitaria, si pensi al terrorismo (ora misteriosamente scomparso), ai meccanismi dell’economia, etc…
Normalmente il comportamento umano nasce da una sequenza rappresentabile come una scala al cui vertice si trova l’ambiente esterno (trasformato in informazione), a cui fa seguito la riflessione, per poi scendere sul gradino della scelta e infine cadere nell’azione. Una linea verticale che va dalla testa ai piedi, utile anche a dare un minimo di prevedibilità alle azioni altrui. No, nella società dell’informazione pare siano stati rimossi i gradini di mezzo e anche l’intera scala. Non si scende e non si sale. Restano l’informazione e l’azione che si impastano l’una nell’altra. Una spirale che segue il battito di un costante stimolo-risposta che ostacola ogni tipo di pianificazione.
Eccoci allora tornare all’attuale isteria di massa, figlia di un infantilismo collettivo, che ha estromesso la riflessione. Con una differenza di fondo però: il bambino agisce e basta; noi cosiddetti adulti, appartenenti alla società della conoscenza, ci informiamo in un ambiente virtuale e agiamo nel nostro habitat reale. Informazione e azione sono allora i due codici binari di una catena che scorre all’infinito, lasciandoci alla mercé del palinsesto mediatico del momento.