Quest’anno Said Awwad ha presentato tre denunce per violazione di domicilio, ma la polizia gli chiede di ‘presentare delle prove.’ Quando ha provato a fotografare una incursione, uomini mascherati provenienti dal vicino avamposto hanno aggredito lui, sua moglie e i loro figli di età compresa fra 1 e 15 anni.
Uno degli aggressori brandiva una sbarra di ferro e ha colpito Rima nella schiena. Poi ha colpito Said sul capo. Gli altri si limitavano a tirare sassi, anche su un SUV pieno di bambini che piangevano e urlavano- il più piccino, un bimbo di 18 mesi, la più grande, una bimba di 10 anni. – Gli aggressori saranno stati una decina; alcuni di loro con il volto coperto.
Difficile immaginare che Rima, che martedì ha ospitato molte persone venute a sincerarsi di come stesse la famiglia, è la stessa persona che per quattro minuti ha filmato una parte dell’aggressione di sabato- un film molto mosso, fatto correndo e fuggendo, fra grida, ansia e paura.
Ora, a casa sua, mentre dà a suo marito la medicina, spiega con un sorriso agli ospiti: “le medicine sono per i bimbi: liquide e con una cannuccia.” Così si nutre anche Said: roba liquida e con una cannuccia.
Said Awwad, quasi 50 anni, ha avuto la tempia e il volto fratturati in cinque punti: tre fratture alla mascella, una sulla tempia sinistra e l’altra alla cavità oculare. Ha anche un occhio nero. Tutto questo è il risultato di due violentissimi calci sferratigli al volto da un giovanotto ebreo giunto insieme ai suoi amici dall’avamposto Mitzpeh yair.
Said soffre molto. Non può aprire la bocca. Dei fili di ferro nella cavità orale gli tengono insieme la mascella; fa fatica a tenere la cannuccia per le medicine sul lato destro della bocca. Per lui anche così è doloroso nutrirsi.
Parla facendo molta fatica: “pensavo che questa volta mi avrebbero ucciso, ma non avevo paura. Pensi che devi affrontarli, e succeda quel che vuole. Sono in piedi fuori dal SUV e sento i bambini dentro che urlano. Questo mi ha dato forza. Se fossi scappato, avrebbero fatto del male ai bambini.”
Rima Awwad, 38 anni, ha un livido nero e blu dove è stata colpita. Dice che adesso le prude un po’. “Quando ero bambina aiutavo i grandi a raccogliere il grano e l’orzo, proprio su questa terra. Prima a mano, poi in seguito con una falce.”
Rima e Said fanno parte della stessa famiglia allargata, del villaggio di Umm Lasafa, est di Yatta nel sud della Cisgiordania. La grande famiglia possiede 268 dunans (66 acri) di terra circa 10 chilometri più a sud, in un’area chiamata Umm al-Arays. “Sono nato in una grotta in questa zona, Qawawis. La famiglia al-Najar la usa ancora oggi,” dice Said.
Nel cuore della loro terra e nella terra delle famiglie di Abu Aram e di Jabarin, su una collina che l’amministrazione civile israeliana ha dichiarato “proprietà statale,” nel 1997 è stato impiantato un avamposto non autorizzato e illegale, che ora è stato retroattivamente legalizzato dal governo nel suo tentativo di rubacchiare altra terra palestinese. Ogni sabato Said e la sua famiglia – i suoi bambini, i suoi fratelli, i figli dei suoi fratelli e qualche nipotino- vengono per passare qualche ora sulla loro terra. Oltre a piantare, seminare e raccogliere, e oltre alla battaglia legale contro gli intrusi, questo è il loro modo per dire che non abbandoneranno la loro terra.
‘Non azzuffatevi con loro’
“Molto spesso mi lamento con la polizia israeliana che dei pastori appartenenti all’avamposto mandano le loro pecore sui nostri campi per mangiare l’orzo e il grano che coltiviamo,” ci dice martedì Said. “Quest’anno ho già presentato tre denunce. Quattro mesi fa ho piantato delle piantine di olivo. Un mese fa le pecore ne hanno mangiato le foglie. La polizia mi ripete sempre, ‘porta le prove.’
“Sabato siamo arrivati sulla nostra terra alle 8 e 30 del mattino. La prima cosa che ho visto è stato un colono col suo gregge che vi pascolava. Ho chiesto a mia moglie di fotografarlo e ho detto a lui: ‘ogni volta che presento denuncia mi dicono che non c’era nessuno. Oggi ti ho colto con le mani nel sacco.’ [Il colono] ha fatto una telefonata proprio di fronte a me, e ha detto, ‘Said mi ha filmato, venite a rompergli il telefono.’
“Capisco molto bene l’ebraico. Ho lavorato in Israele per 30 anni. Ho chiamato il posto di polizia a Kiryat Arba [vicino a Hebron]. Mi hanno detto: ‘Vattene e non lottare con loro. Stiamo mandando un’auto.’ Ho chiamato anche Nasser Nawaj’ah di B’Tselem e mi sono messo il telefono in tasca.
“Ho visto allora dei giovani scendere verso di noi dall’avamposto. I miei figli più grandi erano nel campo (mio fratello li aveva portati lì con l’auto e ce li aveva lasciati). I più piccini erano ancora nel mio grosso SUV e ho detto loro di non uscire.
“I giovanotti che erano giunti dall’avamposto hanno cominciato a tirar sassi al SUV. Ho preso un bastone per affrontarli. Ho detto a mia moglie di spostarsi un poco e di filmare. Gli aggressori si sono sparsi sul terreno. Ma tutto è successo vicino al SUV. Non ricordo esattamente quando, ma ho protetto il mio volto con le mani e una pietra ha colpito la mia mano. La mano non si è rotta ma si è gonfiata e fa male.
“Ho sentito qualche squillo di telefono, ma non potevo rispondere. Dopo ho capito che era la polizia. Un sasso ha colpito la mia tasca e ha rotto lo schermo del telefono. Ho sentito mia moglie gridare ‘mi stanno picchiando.’ Sono corso verso di lei. Il tipo con la sbarra di ferro, lo conosco. Una settimana fa, quando eravamo nel campo, ci ha minacciati. Mi sono avvicinato e lui mi ha colpito alla testa. Sono caduto. Ho cercato di rialzarmi e mi ha colpito ancora alla testa con la sbarra di ferro. Non avevo più in mano il bastone. Non ricordo come e perché l’ho perduto. Sono caduto di nuovo.”
Said è certo che a salvare lui e sua moglie da altri colpi sono stati i loro ragazzi di 12 e 15 anni che rapidamente si sono messi fra gli aggressori e i loro genitori.
Rima è corsa da Said quando è caduto. “Quando ho iniziato a filmare, non mi aspettavo che questo sarebbe successo,” ci ha detto. “Hanno cercato di portarmi via il telefono, poi il tipo mi ha colpita.”
Nel frattempo i bambini più piccoli continuavano a urlare da dentro al SUV. Asil, 10 anni, teneva Alian, che ha 18 mesi. Batul stava nascosto sotto il sedile. Un sasso tirato dagli assalitori ha colpito il SUV con i bambini dentro e ha rotto un finestrino. Dopo di ciò le bambine più grandi hanno tolto le schegge di vetro dai capelli dei più piccini.
Said, steso per terra, era fuori combattimento e ha perso e ripreso conoscenza più di una volta. Quando si è ripreso, era groggy. Ad un certo punto gli aggressori sono ritornati all’avamposto. I ragazzi più grandi hanno visto i soldati vicini alla casa dell’avamposto. Sono corsi verso di loro per dirgli che il loro padre stava sanguinando ed era svenuto.
La gola piena di sangue
Abitanti dei villaggi vicini e militanti del gruppo per i diritti umani Ta’ayush che si trovavano in zona e che erano stati informati dell’aggressione da Nawai’ah sono accorsi sul posto. Durante il cammino sono stati fermati da un posto di blocco allestito dall’esercito, e quando finalmente sono arrivati, i soldati e un uomo che ha detto di essere un agente per la sicurezza dell’avamposto Mitzpeh Yair erano già lì. Erano le 9 del mattino.
I primi a scorgere Said sono stati i soldati. “Mi hanno chiesto chi mi aveva aggredito,” ci ha detto. “Ero male in arnese. Mi hanno coricato per terra. Non potevo sputare e avevo la gola piena di sangue. Mi hanno messo su una barella e portato sul mezzo dell’esercito dove c’era un medico. Mi ha misurato la pressione e ha detto subito che avevo delle fratture.” È arrivata anche la polizia.
L’unità portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato ad Haaretz: “In quel giorno c’era un militare con compiti di protezione nella comunità. Quando il soldato ha visto cosa stava succedendo, ha riportato la cosa agli organi competenti. Un reparto militare che ha ricevuto la comunicazione è giunto sul luogo dopo pochi minuti, quando l’incidente era terminato. Un residente palestinese che era stato ferito ha ricevuto i primi soccorsi da un medico dell’esercito. I soldati sono utilizzati per il mantenimento dell’ordine nella zona e per prevenire l’illegalità, indipendentemente dall’identità dei trasgressori.”
Said conosce il nome del giovane pastore che era nel campo con le pecore, e sa che il pastore e suo fratello con il loro padre sono arrivati all’avamposto Mitzpeh Yair da un altro avamposto che si trova al nord di Ramallah. Ha anche detto il nome di un altro pastore che viveva a Mitzpeh Yair e che ha ugualmente inviato le sue pecore sui campi seminati della famiglia. Said conosce nome e cognome del residente dell’avamposto nelle vicinanze della cui casa gli aggressori si sono fermati dopo l’assalto. Altri dettagli stanno col tempo venendo alla luce.
Oltre al dolore e alla consapevolezza che i fili di ferro dovranno rimanergli in bocca per circa sei settimane prima di essere rimossi, la perdita di denaro pesa notevolmente su Said. Ha dovuto pagare il dieci percento del costo dell’intervento chirurgico (1.800 shekels [546 $] su 18.000 shekels), al quale è stato sottoposto in un ospedale privato a Hebron. I medicinali sono a suo carico. Aggiustare il SUV costerà soldi, così come riparare lo schermo del suo telefonino. Soprattutto, non potrà lavorare in Israele per alcune settimane e in quel periodo perderà il suo reddito.
Martedì mattina, Hussam, il funzionario in carica per le infrastrutture presso l’Amministrazione Civile, ha chiamato Said. “Mi ha incoraggiato a presentare denuncia alla polizia israeliana e mi ha assicurato che tutti i comandanti sono contro a quello che è successo,” dice Said, e aggiunge che non ha idea se la polizia si occuperà seriamente della denuncia e cercherà di scoraggiare altri potenziali aggressori. Sa però che questo sabato molti suoi famigliari e amici staranno all’aperto per un picnic, sulla sua terra.
Articolo di Amira Hass pubblicato sul quotidiano Haaretz