18 Marzo 2020: L’immagine dei camion militari trasformati in carri funebri diventa l’icona di una disfatta sociale e sanitaria, subito ribattezzata come guerra. 18 Marzo 2021: il premier si reca in quegli stessi luoghi istituendo la giornata del ricordo per celebrare i morti della pandemia.
Passa un giorno soltanto e siedono in tribunale i parenti delle vittime bergamasche, intenti a portare avanti una causa contro la Regione e lo Stato. Semplice coincidenza o retorico paradosso?
In ogni caso sembra di vedere un padre ossessionato dai sensi di colpa che decide di celebrare il figlio una volta l’anno con una festa utile a richiamare il senso di unità della famiglia. Per poi andarsene di nuovo per lasciare a soldi e regali la speranza di guadagnarsi la benevolenza filiale. Insomma nulla di nuovo rispetto alla normale retorica celebrativa appesa ai nostri calendari, che di norma si traduce in una semplice domanda: ma è festivo o no? A partire dalla risposta si distingue tra celebrazioni di prima classe a cui ci si affeziona soltanto perché non si lavora e tutte le altre che intasano il calendario in un’ovvia e indifferente dimenticanza collettiva.
A pensarci bene però una novità stupisce: forse per la prima volta si decide di celebrare un evento (attraverso la tragedia delle sue vittime) quando quest’ultimo è ancora in corso. Sfruttiamo allora l’abusata metafora della guerra fino in fondo. Sarebbe come celebrare battaglie, defunti, sconfitte e vittorie durante lo svolgimento di una guerra, mentre i soldati stanno ancora al fronte e i civili sono confinati in una vita di rinunce. Entrambi probabilmente penserebbero: ma come? Fateci vedere coma va a finire e magari capire cos’è successo, prima di iniziare a celebrare. Ridateci la normalità, l’elaborazione del lutto prima di rendergli omaggio. Tra l’altro, proprio ora che stiamo ancora facendo tutti una vita di merda… Insomma suonerebbe come un abuso di retorica dal sapore di una presa in giro.
A guardarlo bene però lo stupore svanisce perché oggi si tenta in ogni modo di santificare il presente sostituendo i santi sul calendario e sublimando il presente in storia. In una società malata d’Alzheimer la celebrazione è diventata l’unica maniera per stimolare artificialmente il ricordo. D’altronde è cosa risaputa che memoria e identità sono in stretta correlazione. Fai fatica a definirti e riconoscere chi sei? Non c’è problema, prendi una casella libera sul calendario, se ancora la trovi, e riempila con una celebrazione collettiva. Vedrai che ne uscirai rafforzato. E così alla liberazione, alla Repubblica e ai lavoratori si sono aggiunte via via la giornata dedicata al risparmio energetico, all’acqua, al ricordo delle vittime di femminicidio, del razzismo o della mafia.
E di tanto in tanto subentra la celebrazione di valori in via di sparizione, come la giornata della poesia, dei musei o di un raro provolone del Molise. Insomma un elenco infinito che compone ormai un muto calendario capace di sovrapporsi e sostituire i giorni dei santi. E la Chiesa non resta a guardare beatificando i suoi santi prima del tempo canonico, così come gli idoli laici vengono santificati un’ora dopo la loro morte.
Un perenne onomastico di diritti, offese e rarità da salvaguardare per non dimenticare mai le falle e le meraviglie del nostro progredire. Tutto nella speranza che italiani, molisani, donne, ambientalisti, pandemici e tutti gli altri ne escano rafforzati nella loro identità, sedendosi intorno a un falò virtuale in cui bruciare la loro solitudine. Allora la memoria celebrativa funziona davvero?
Innanzitutto un aspetto viene dimenticato in una tale frenetica corsa al ricordo: il sovraccarico di ricordi non giova a chi possiede una memoria sana, figuriamoci ad un malato di Alzheimer. Inoltre la memoria ha bisogno di tempo per sedimentarsi, di una lunga distesa di attesa per diventare davvero tale, ovvero un fantasma collettivo capace di creare unità. È cosa contronatura provocarla in tempo reale quando c’è ancora confusione tra l’atto e la sua evocazione, che è sempre frutto dell’immaginario.
Infine l’efficacia della memoria muta a seconda dell’oggetto rammentato. Ricordare una persona morta è un modo per trattenere e omaggiare la vita, celebrare un insieme di defunti equivale ad un’ulteriore sottrazione di vita, capace di trasformare un individuo col suo nome in una vuota categoria retorica declinata in numeri. Così come celebrare una collettività significa ricordarsi che è morta e commemorare un valore aiuta soltanto a sancire la sua definitiva sparizione.
Ma che importa? L’importante è aver accolto un nuovo giorno della memoria in un eterno presente.