Il caso del piccolo Haroun condannato da una sentenza del Tribunale di Pavia a mangiare il maiale a scuola e a frequentare l’ora di religione cattolica ha sollevato nuovamente il dibattito sui matrimonio tra musulmani e non musulmane.
Secondo dati ufficiali nel 2020, sono state celebrate in Italia poco meno di 184 mila nozze in 35mila di questi uno dei nubendi era straniero.
La tendenza è in aumento ( nel 2015 era il 15%) e pertanto possiamo dire che in quasi un quinto dei matrimoni uno dei contraenti non era italiano
Ma a parte questa scarna fotografia statistica che dimostra l’inarrestabile tendenza alla società multietnica e quella dell’esogamia vieppiù diffusa nel mondo latino e in Italia in particolare. Il fenomeno ci mette a confronto con alterità culturali che, in caso di conflitti intra familiari possono provocare fratture di difficile e dolorosa risoluzione e più spesso sequele devastanti.
Il caso del piccolo Haroun condannato a cibarsi di carne di porco e alle concordatarie lezioni di religione cattolica ha avuto l’onore della cronaca (nostra) nel disinteresse generale, anche della maggior parte della nostra, dei musulmani dico, comunità.
In altro articolo abbiamo parlato della sentenza che ha decretato quanto sopra e ora vorremmo parlare piuttosto del quadro generale che riguarda noi musulmani.
La giurisprudenza islamica, fondandosi sul Corano ritiene lecito il matrimonio dell’uomo musulmano con donne appartenenti alla Gente della Scrittura
“…[Vi sono inoltre lecite] le donne credenti e caste, le donne caste di quelli cui fu data la Scrittura prima di voi, versando il dono nuziale, sposandole, non come debosciati libertini!” (Corano V, 5)
Il termine che è stato tradotto con “caste” è muhşanât, al quale, nel contesto, viene data l’interpretazione di ”oneste, caste, virtuose”.
La moglie non musulmana ha il diritto di esercitare il suo culto e di consumare i cibi che la sua religione le permette. Non ha tuttavia quello di trasmettere la sua religione ai figli e non può ereditare dal marito; il primo interdetto è irrinunciabile, fa parte del patto matrimoniale che la donna ha sottoscritto, per quanto riguarda invece l’eredità, essa può ottenere la sua parte attingendo a quel terzo che la legge islamica consente di legare a chi non sia parte legale di una successione.
Questa la giurisprudenza dettata dal Corano e dalla Sunna che l’uomo musulmano dovrebbe seguire in modo da regolare la sua vita famigliare nel rispetto della religione a cui aderisce.
Altro caso quello della musulmana che decide di convolare a nozze con un uomo che non è musulmano. In base al parere della quasi totalità dei sapienti, consolidata nei secoli, che si basano su un versetto della sura al Muntahana, questo matrimonio non sarebbe lecito e la convivenza more uxorio, seppur regolarizzata da un atto civile, è considerata fornicazione.
In questa fattispecie, nella maggior parte dei casi il coniuge di nessuna o altra religione viene sommariamente “convertito” e, formalmente il matrimonio è valido anche per il diritto islamico.
In entrambi i quadri le cose procedono come tutti i matrimoni, finché per qualche ragione, o, meglio, per una somma di ragioni, la coppia va in crisi e la pregnanza religiosa diventa materia di scontro.
Il musulmano originario comincia a chiedere, talvolta a pretendere, che quanto promesso venga applicato, nell’alimentazione, nello stile di vita e nell’educazione della prole.
La musulmana originaria si rende conto, con il passar del tempo, che il coniuge ha accettato l’Islam solo in maniera “burocratica”, si sente in grande difficoltà con la sua coscienza, teme di aver vissuto una relazione illecita, vorrebbe riparare ma non sa come fare, ci sono figli che sono cresciuti senza religione e teme di dover rispondere davanti ad Dio anche della sua “ghafla” (trascuratezza) verso di loro.
Succede anche il contrario e cioè che la moglie non musulmana abbia tenuto fede all’impegno preso o si sia nel tempo convertita o che, nell’altro caso il marito si sia davvero avvicinato all’Islam e lo abbia abbracciato. Tutto dipende dal comportamento del musulmano originario/a, se è stato capace di rappresentare la sua religione con intelligenza e misericordia, pazienza ed elasticità.
Quando questo non avviene, e purtroppo succede spesso, la religione diventa arma brandita nei confronti della controparte, anche con le migliori personali intenzioni e le conseguenze sono anche drammatiche.
Difficile tratteggiare soluzioni, se non quella di raccomandare maggior consapevolezza e lavorare in profondità, da parte delle associazioni dei musulmani e degli imam, nella preparazione al matrimonio.
Lo facevano i cattolici ma ormai anche a casa loro si respira aria di crisi nera: i matrimoni con rito concordatario erano il 97,7% del totale nel 1970, sono precipitati al 47,4% nel 2019.
Il problema di fondo sembra essere la progressiva desacralizzazione della società di cui la famiglia è il nucleo fondamentale, lo dice anche la Costituzione all’Art. 29.
Segni di un tempo laico, nella peggior accezione del termine, che etimologicamente sta per profano, l’esatto contrario di sacro.