Avevo vissuto bene fino ad ora senza approfondire le gesta di Nawal al-Sa’dawi, a quanto pare scrittrice e militante femminista egiziana deceduta la settimana scorsa. Non ho potuto però fare a meno di notare i necrologi social colmi di lodi sperticate di alcuni tra orientalisti e femministe musulmane della mia cerchia di contatti.
La cosa ha aperto un certo dibattito online, soprattutto nella comunità islamica, inoltre la morte della al-Sa’dawi è arrivata in concomitanza con il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, un uno-due che è stato una grande occasione per far abbondante sfoggio di retorica.
Anche su questo giornale abbiamo pubblicato mercoledì un pezzo, a firma del sociologo Adel Jabbar, in cui l’attivista egiziana veniva descritta come una paladina dei diritti umani, un’eroina in lotta per salvare le donne dall’oppressione e un modello di virtù islamica, in ragione del fatto che secondo l’autore aveva incarnato il messaggio profetico in maniera sostanziale battendosi contro l’ingiustizia e lo sfruttamento dell’uomo, e delle donne ovviamente.
Non ho compreso l’ansia di alcuni musulmani di renderle tributo, questo pur non negando a nessuno l’umana compassione sia chiaro, alla luce del fatto che nei giorni precedenti la dipartita di un grande sapiente non abbia riscontrato nemmeno lontanamente la stessa attenzione da parte degli stessi, un segno che deve far riflettere.
Inoltre dissento profondamente dalla rappresentazione positiva che viene fatta di Nawal al-Sa’dawi e, leggendo le sue dichiarazioni nutro grandi dubbi anche sulla sua statura intellettuale. In un contesto come quello arabo-islamico contemporaneo non c’è niente di più facile che denigrare la propria cultura e le proprie tradizioni per meritarsi un riconoscimento in Occidente, se poi ci si scaglia contro l’Islam si sfiora automaticamente il Nobel.
Una cosa poi è tutt’al più riconoscere una qualche qualità intellettuale o letteraria ad una scrittrice e altra cosa è elevarla ad icona e riferimento per le donne musulmane, con questi parametri non mi stupirei di leggere presto commosse testimonianze in favore di Salman Rushdie, Michel Houellebecq o Oriana Fallaci, anche lei si batteva per l'”emancipazione femminile”.
Applicando la tara del contesto arabo-islamico, la compianta Nawal cos’aveva da invidiare alla Fallaci in tema di Islamofobia?
Sì, perchè il discorso dell’attivista egiziana non si limitava ad essere una critica, anche aspra, ad alcune interpretazioni della religione, ma costituiva un attacco all’Islam tout court, visto come ostacolo in sé alla liberazione delle donne tanto che la scrittrice chiedeva nientepopodimeno che una riscrittura del Corano.
Nawal al-Sa’dawi ha affermato ad esempio di essere “figlia di Dio”, ha definito il hijab un simbolo di oppressione, riteneva che la maternità fosse una condanna per la donna, una prigionia dalla quale lei si era liberata. Non si è fatta alcun problema a definire il pellegrinaggio alla Mecca (Hajj) una tradizione pagana e si è battuta affinchè ci fosse libertà di offendere la religione.
Sosteneva, tra le altre cose, che la preghiera non fosse importante, promuoveva i rapporti omosessuali battendosi però contro la poligamia, e affermava che l’Islam non fosse verità assoluta, non paga di tutto ciò ha sostenuto il colpo di Stato di Al Sisi contro l’unico presidente democraticamente eletto della Storia dell’Egitto.
Insomma, forse un po’ troppo per aspirare al paradiso, di sicuro certi riconoscimenti e invocazioni postume non li avrebbe pretesi nemmeno lei, ma c’è chi sorprendentemente, come il premio nobel per la pace Tawakkul Karman chiede per lei l’accesso ad un paradiso in cui probabilmente nemmeno credeva.
L’Islam è una via verso la salvezza chiara e ben definita con le sue verità di fede, i suoi principi e le sue indicazioni su come percorrerla, non può essere confuso con una vaga dottrina umanista ed universalista del volemose bene, su questa china ci sono già altri purtroppo.
Ignorare il peso schiacciante delle parole ostili proferite in vita dalla Sa’dawi denota un’evidente subalternità culturale e una scala di valori invertita rispetto a quella che ogni musulmano dovrebbe avere, perchè la si incensa in quanto femminista a scapito della difesa della propria fede e perchè si convalida come via di emancipazione femminile un discorso che individua nell’Islam l’ostacolo da rimuovere e non il punto di partenza imprescindibile.