Israele sta commettendo “crimini di apartheid e persecuzione” contro i palestinesi, e la comunità internazionale deve rivedere le sue relazioni diplomatiche con lo Stato israeliano. Questo è quanto ha affermato martedì in un rapporto un importante gruppo per la difesa dei diritti umani.
In un rapporto di 213 pagine, Human Rights Watch (HRW) descrive in dettaglio come Israele abbia cercato di mantenere un’egemonia giudaico-israeliana sul popolo palestinese, dalle rive del Giordano al mar Mediterraneo.
Kenneth Roth, direttore esecutivo di HRW, ha dichiarato: “Mentre quasi tutto il mondo tratta la più che cinquantennale occupazione israeliana come temporanea, un’occupazione che decenni di ‘processo di pace’ presto saneranno, l’oppressione dei palestinesi ha raggiunto un livello e una continuità tale da poter essere definita crimine di apartheid e di persecuzione. Coloro che si adoperano per la pace israelo-palestinese, dovrebbero intanto riconoscere questa realtà per quello che è, e adoperare tutti gli strumenti necessari all’affermazione dei diritti umani per porvi fine.”
Israele ha liquidato il rapporto dell’organizzazione, definendolo “propaganda”.
Il ministro degli esteri israeliano, così ha dichiarato: “Human Rights Watch è nota per aver perseguito a lungo una politica anti-israeliana, cercando per anni di promuovere il boicottaggio contro Israele. La loro decisione di non condividere o commentare questo rapporto per una revisione con le autorità israeliane è una evidente prova che si tratta di un pamphlet di propaganda, privo di qualsiasi credibilità.”
Il rapporto di HRW fa seguito alle conclusioni raggiunte dal gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, che aveva pubblicato uno studio nel gennaio scorso secondo il quale ai palestinesi, suddivisi in quattro livelli di ingiusto trattamento, è negato il diritto all’autodeterminazione.
Ines Abdel Razek, direttrice del Palestine Institute for Public Diplomacy che ha sede a Ramallah, dice che il rapporto di HRW rappresenta uno sviluppo positivo atto a favorire un mutamento nell’impegno internazionale, per fare applicare la legge internazionale e i diritti umani; e che questo rapporto si contrappone al “salmodiare il vuoto mantra della soluzione dei due Stati, mantra che ha solo confortato Israele nella sua impunità.
Ciò è senza dubbio di grande importanza politica per dare impulso all’urgente bisogno di un nuovo approccio politico riguardo alla Palestina e a Israele,” e ha poi proseguito nella sua dichiarazione a Al Jazeera, “sebbene sia frustrante per i palestinesi vedere che il mondo abbia bisogno della conferma di ONG israeliane o internazionali per precisare quello che noi abbiamo documentato, analizzato, detto e scritto per decenni.”
Per Mouin Rabbani, coeditore di Jadaliyya, un sito indipendente di ricerca su internet, l’esistenza dell’appartheid è stata “abbondantemente comprovata” dai palestinesi e dai loro amici per decenni.
Ha detto che, “è piuttosto HRW e non Israele che ha oltrepassato la soglia. HRW è una voce forte in questo ambito, e il fatto che abbia finalmente afferrato la realtà è dal mio punto di vista un significativo sviluppo.”
Il significato del rapporto, ha continuato, risiede nella “esplicita denuncia di HRW di Israele come regime di apartheid, mettendo così Israele di fronte a reali e serie conseguenze per quello che il rapporto qualifica come ‘crimine contro l’umanità’. Forse sorprendentemente, tenendo conto dei suoi precedenti su queste questioni, HRW per la prima volta non ‘bilancia’ le sue analisi su Israele con le rituali denunce dei palestinesi,” ha aggiunto Rabbani.
Per Israele l’accusa di ‘apartheid’ è antisemitismo
Il rapporto di HRW elenca una serie di abusi israeliani commessi nei confronti dei palestinesi: dure restrizioni di movimento contro i palestinesi nei territori occupati, le demolizioni di abitazioni e il “quasi-categorico rifiuto” di permessi di costruzione, l’occupazione militare, l’espropriazione di terra, e il respingimento dei diritti di residenza per centinaia di migliaia di palestinesi.
Di fatto, nelle stesse azioni e nelle parole del governo israeliano, come nel disegno di legge dello Stato-nazione del 2018, che definisce Israele come “lo Stato nazionale del popolo ebraico”, e nella sua incessante politica di espansione degli insediamenti, tutto è volto all’obbiettivo di preservare il suo dominio, ha detto HRW.
Per Israele il termine “apartheid” è esplosivo, quindi da Israele stesso e dai suoi sostenitori vigorosamente respinto. Israele si è sempre presentato come l’unica “democrazia nel Medio Oriente”, ma gli analisti affermano che il suo rifiuto dell’etichetta “apartheid” è coerente con la sua condotta tradizionale, che bolla di “antisemitismo” qualsiasi critica.
Tareq Baconi, un analista di Crisis Group, ha dichiarato a Al Jazeera, “Anche se i politici israeliani parlano apertamente di annessione, di espansione e di mantenimento della presenza nei territori occupati, il governo israeliano utilizza i cittadini palestinesi di Israele, una minoranza tra i palestinesi sotto il suo controllo, come prova evidente di non essere un regime di apartheid, poiché è data loro la possibilità di votare e di essere eletti ai più alti livelli governativi. Questi palestinesi sono la foglia di fico che però non riesce a nascondere il fatto che Israele continua a dominare su una maggioranza di palestinesi a cui i diritti sono negati.”
‘Sporchi trucchi’
Ha detto Rabbani che, rispondendo alle critiche e alla condanna delle sue politiche, Israele ricorre alla delegittimazione e, dove possibile, criminalizza i suoi critici utilizzando lo stereotipo dell’antisemitismo come punto di forza della sua risposta.
Ha detto ancora: “È un logoro stereotipo, spesso arricchito con altri sporchi giochetti e varie forme di propaganda, come accusare i critici di terrorismo.”
Notava Abdel Razek che l’antisemitismo è stato deliberatamente ridefinito dal governo israeliano e dai suoi sostenitori associandolo a qualsiasi critica nei confronti di Israele.
Così si è espressa: “la definizione molto discutibile di antisemitismo da parte dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) eplicitamente include come esempio di antisemitismo il chiamare Israele “Stato di apartheid”.”
Cambiando per una soluzione politica
Il rapporto di HRW raccomanda alla comunità internazionale, relativamente all’impegno nei confronti di Israele, l’adozione di un approccio basato su responsabilità e diritti, includendo aiuti militari condizionati e il controllo di tutte le forme di commercio e di cooperazione, piuttosto che fare affidamento sul cosiddetto processo di pace, che è stato bloccato per anni ed è servito solo a Israele per continuare nell’impunità le sue politiche.
Abdel Razek ha detto ancora che, “non possono esserci né pace né negoziati con l’attuale struttura di potere, fintanto che ai palestinesi saranno negati i loro fondamentali diritti nazionali, politici e civili.”
Baconi è stato d’accordo e ha argomentato dicendo che lo sforzo dovrebbe essere indirizzato ad aumentare il costo del sostentamento dell’egemonia israeliana e del rifiuto continuato dei diritti individuali e collettivi dei palestinesi.
Così ha detto: “I responsabili politici ora devono smettere di cercare una soluzione politica che potrebbe portare alla pace, e invece devono cercare di contrastare la politica israeliana di consolidamento territoriale a spese dei palestinesi e dell’integrità della loro terra. Gli sfratti forzati di palestinesi da Gerusalemme Est è un esempio di una sistematica politica del governo israeliano sulla quale la comunità internazionale può imporre misure punitive, senza preoccuparsi che il processo di pace vada o meno avanti.”
‘Soglia non superata’
I palestinesi hanno per decenni definito la loro lotta come lotta all’apartheid e agli insediamenti coloniali, ma la comunità internazionale si è in gran parte astenuta dal riconoscere in questi termini l’aspirazione dei palestinesi. Anche se un gruppo importante per i diritti umani usando il termine ‘apartheid’ per descrivere le politiche israeliane contro i palestinesi costituisce un passo avanti, è tuttavia ancora irrealistico aspettarsi che ciò abbia un impatto diretto sulla politica estera.
Prosegue Rabbani dicendo che, “questo rapporto potrebbe servire come valida risorsa educativa e potrebbe essere utile sul fronte dell’assistenza legale, e come si è fatto notare precedentemente, può servire a porre al centro della discussione le questioni che solleva, e almeno potenzialmente può metterle al centro della discussione anche a livello politico. Nel denunciare l’apartheid israeliano, HRW, in quanto leader del settore e importante organizzazione statunitense che si è mossa per prima, rende più accettabile discutere di apartheid israeliano, e di come Israele dovrebbe renderne conto, nella buona società e nei media principali, particolarmente in Nord America e in Europa.”
Secondo Abdel Razek, il quadro presentato da HRW è “incompleto” perché omette il contesto che è connaturato al colonialismo degli insediamenti.
“Una ‘soglia’ non è stata superata,” lei dice. “Di fatto, il sistematico progetto di insediamento coloniale israeliano per conquistare, per spostare, per spossessare e frammentare i palestinesi, che sono considerati una ‘minaccia demografica’, per sostituirli con coloni ebrei, è attivo dal 1948.”
Baconi dice che nonostante il fatto che le organizzazioni per i diritti umani internazionali, e quelle costituite da ebrei israeliani, abbiano utilizzato la parola “apartheid” sia indicativo di un cambiamento sul come è percepita la lotta dei palestinesi sul piano internazionale, la politica e il mondo politico sono ancora in ritardo.
“La scoperta da parte di HRW che Israele si stia rendendo colpevole del crimine di apartheid prefigura un futuro nel quale sarà sempre più difficile per i governi internazionali continuare a sostenere il mito secondo cui l’occupazione israeliana e il suo controllo sui palestinesi sia temporanea,” ha affermato Baconi.
“Questo è un riaggiustamento necessario sul come governi e organizzazioni internazionali giudicano la realtà Israele/Palestina oggi, e infine, renderà più difficile per le parti interessate trattare col governo israeliano senza tenerne conto.”
Articolo di Linah Alsaafin pubblicato su www.aljazeera.com