Una coppia palestinese tornava a casa, sono stati fermati dai soldati, interrogati e lasciati ripartire; ma un istante dopo un soldato ha fatto partire un colpo verso l’auto, e i suoi commilitoni si sono anch’essi messi a sparare. Il marito è stato ucciso. L’esercito sostiene che l’uomo aveva cercato di investirli, ma non hanno nemmeno cercato di inseguire l’auto
Strada principale della Cisgiordania, villaggio di Al-Jib, in direzione del vicino villaggio di Bir Naballah, a nord di Gerusalemme. Lunedì 5 aprile, ore 2 e 45, pattugliamento del primo mattino. L’esercito israeliano ha fatto irruzione a Al-Jib tre volte quella notte. I soldati hanno parcheggiato i loro pesanti mezzi blindati sulla stretta striscia spartitraffico che separa i due lati della strada.
Tre settimane prima, il 13 marzo, nella notte avevano strappato dal suo letto un giovane palestinese di nome Ahmed Ghanayem e l’avevano arrestato. Ora erano ritornati per perquisire la sua casa e il negozio della famiglia, che sta dietro alla casa di Ahmed. Due soldati stavano in piedi vicino a qualche macchina parcheggiata sulla striscia mediana vicino al magazzino. Improvvisamente una vecchia Toyota si è avvicinata proveniente da est. Un soldato ha fatto segno all’autista con una torcia elettrica di accostarsi. In un primo momento l’autista non ha notato la segnalazione, ma sua moglie molto rapidamente gli ha urlato di frenare. L’auto si è fermata a circa quattro metri dai soldati. Dopo una breve conversazione l’auto è stata fatta ripartire. Ma un attimo dopo, i soldati hanno cominciato a innaffiarla di raffiche di proiettili.
“Se una persona cade da un aereo nel mezzo della notte, / solo Dio può sollevarla,” ha scritto la poetessa Dahlia Ravikovitch. Se una persona viaggia in auto nel mezzo della notte in Cisgiordania, sembra che solo Dio la possa salvare. Osama Mansour è stato ucciso; sua moglie Somaya è sopravvissuta.
L’attraente grande-magazzino Al Badawi World Liquidation, dall’altro lato della strada, vende capi d’abbigliamento, calzature, profumo e utensili da cucina, a prezzi molto convenienti. Un cartello vi è affisso che dice in ebraico: “fino al 50% di sconto su tutta la collezione per i membri del club.”
I soldati sono arrivati qui la prima volta quella sera verso le 21 e 30. Uno schieramento notevole con furgoni, Hummer e altri veicoli blindati. Hanno perquisito la casa di Ghanayem. Bambini e ragazzi li hanno presi a sassate, i soldati hanno risposto lanciando granate lacrimogene e hanno lasciato il villaggio, per poi ritornare a mezzanotte. Di nuovo lancio di pietre, di nuovo gas lacrimogeno, i soldati hanno perquisito qualche casa. Testimoni oculari hanno avuto l’impressione che i soldati stessero preparando qualcosa.
I soldati se ne sono andati all’una dopo mezzanotte e sono ritornati alle due e mezza. Due veicoli, un furgone e una jeep, fermi sullo spartitraffico davanti al magazzino. Due altri veicoli blindati erano parcheggiati qualche decina di metri più in là. Potevano essercene altri. A quell’ora della notte, la strada era silenziosa. Due soldati stavano sulla stessa striscia mediana dove siamo stati noi questa settimana, quando abbiamo cercato di ricostruire gli avvenimenti di quella notte, passo dopo passo, con l’aiuto del ricercatore sul campo per l’area di Ramallah, un membro dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani B’Tselem, di nome Iyad Hadad. Due testimoni oculari, Azam Malkiya e Bassam Iskar, hanno osservato l’accaduto dai loro appartamenti, su entrambi i lati della strada, con i soldati nel mezzo.
La Toyota del 2010 della famiglia Mansour si era avvicinata, un soldato ha fatto segno all’autista di fermarsi con una torcia elettrica, l’auto si è completamente fermata. Secondo i testimoni, l’autista avrebbe anche spento i motori. Somaya e Osama Mansour arrivavano dal vicino villaggio di Biddu, che un tempo era stato un centro importante per gli acquirenti israeliani al sabato, e ha cessato di esserlo da quando è stata eretta una barriera di separazione un paio di decenni fa. Somaya e Osama hanno detto ai soldati che stavano ritornando a casa di ritorno da una clinica a Bir Naballah, perché Somaya non era stata bene. La famiglia era stata colpita dal coronavirus: Osama l’aveva superato senza problemi; sua madre Jamila è stata ricoverata per 25 giorni nell’ospedale oftalmico Hugo Chavez nella città di Turmus Ayya, trasformato in ospedale per i pazienti di COVID-19; e Somaya ha sofferto a causa di vari sintomi ma è rimasta a casa. Il peggio era passato, ma quella notte Somaya si era sentita ancora una volta poco bene. Anche il figlio dei Mansour, Mohammed, si era ammalato, ma gli altri figli non avevano contratto la malattia.
Osama faceva il commerciante di frutta e verdura e con la sua macchina girava nei villaggi vicini. Il giorno in cui siamo stati a casa sua, lunedì, avrebbe dovuto essere quello del suo trentaseiesimo compleanno. Due mesi fa era stato rilasciato dalla prigione dove aveva scontato una pena di 18 mesi: era stato sorpreso a Gerusalemme senza un permesso di entrata, e aveva dovuto scontare una pena sospesa con la condizionale. Somaya, di 35 anni di età, lavora come sarta a Givat Ze’ev, un insediamento a nord di Gerusalemme. La coppia ha cinque figli e vive in una piccola casa con il tetto in eternit nel cortile della casa dei genitori di Osama.
Quando siamo arrivati, Bisan e Nisan, gemelline di dieci anni in uniforme scolastica, erano appena ritornate da scuola. Ora non hanno più il padre.
Una fotografia di Osama è appoggiata sul televisore. Nell’ultima sera della sua vita ha chiesto a sua madre cosa poteva comprare per il Ramadan, che sarebbe iniziato questa settimana. C’è ancora tempo, gli ha risposto. Una delle sue ultime foto è stata scattata vicino alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme; vi si era intrufolato per pregare; poco dopo è stato fermato e arrestato.
Somaya, la vedova, entra nella stanza vestita di nero, accompagnata dalle gemelle. È alta e imponente, parla piano e non versa lacrime, sebbene il suo volto sia addolorato e pallido. Osama era ritornato dal lavoro alle 11 e 30 di notte, il 4 aprile, e si era dovuto affrettare per portare Somaya in clinica a Bir Naballah. Somaya racconta che lui si è sempre occupato di lei in quel modo, portandola dal dottore per ogni sua indisposizione. Il medico, dice, le aveva detto di stare a riposo a casa. Osama aveva suggerito di fare un breve giro per distrarsi, visto che era stata chiusa in casa tutto il giorno. Ricorda che le aveva comprato un sandwich in un negozio di alimentari ancora aperto di notte. Non avevano visto niente di diverso sul cammino fino a che non hanno scorto il soldato che con la torcia faceva loro segno di accostare. Il soldato aveva puntato il fucile verso di loro e aveva urlato: “perché non ti sei fermato?” “perché stai urlando?” Osama, che conosceva l’ebraico, così gli aveva risposto. Il soldato gli aveva domandato dove vivessero e da dove arrivassero, ma non aveva chiesto di vedere i documenti di identità o i documenti del veicolo.
Il soldato aveva detto loro che potevano andare, e Osama era ripartito. Un momento dopo, però, Somaya dice di aver sentito il rumore di un colpo proveniente da dietro; immediatamente dopo, alcuni soldati sono sbucati di fronte alla macchina e l’hanno crivellata di colpi. Somaya parla di una “pioggia di proiettili” caduta su di loro. Terrorizzata si è piegata per proteggersi. Ha sentito delle schegge che le colpivano la schiena. “Stai bene?” Osama le aveva chiesto, e lei ha risposto, “mi hanno sparato.”
L’auto ha sbandato da un lato all’altro; Somaya si rese conto che Osama aveva perso il controllo del volante. “Perché guidi in questo modo?” Gli ha chiesto, ma non c’è stata più risposta. Osama è caduto sul grembo di sua moglie, con la testa che perdeva sangue. Somaya si è messa a urlare, ma è rimasta lucida. Dal sedile passeggero, ha afferrato il volante e ha anche pigiato il pedale dell’acceleratore nel tentativo di sfuggire all’incubo. Qualche centinaia di metri dopo ha fermato l’auto col freno a mano e ha parcheggiato. I soldati non li avevano inseguiti. Quattro giovani provenienti dalla direzione opposta si sono fermati e hanno rapidamente trasferito Somaya e Osama sulla loro auto. Lui respirava ancora, ma aveva perso conoscenza.
Hanno trasportato Osama alla Al-Camel Clinic di Biddu, dove il personale ha chiesto a un’ambulanza di trasportare urgentemente il moribondo al Government Hospital di Ramallah. Somaya è stata medicata per leggere ferite e le è stato detto che stavano operando Osama. Alle 4 del mattino, ne è stato dichiarato il decesso, ma a Somaya è stato comunicato due ore dopo.
I soldati sono arrivati all’auto che avevano crivellato di colpi quindici minuti prima, e l’hanno portata via. Quindi si sono avviati verso i negozi e le palazzine nelle adiacenze e hanno smontato le videocamere di sorveglianza, compresa quella del negozio della famiglia Ghanayem, non è chiaro a quale scopo.
Il corpo di Osama è stato trasferito all’istituto di medicina legale di Abu Dis, fuori Gerusalemme, dove è stata eseguita l’autopsia, i cui risultati non sono ancora stati resi noti, ma per quanto si sa, solo una pallottola lo ha colpito, in testa.
L’esercito israeliano non ha perso tempo emettendo un comunicato che afferma che c’era stato un tentativo di forzatura di un blocco stradale e che il veicolo correva velocemente verso i soldati mettendone a rischio la vita.
Questa settimana abbiamo posto al portavoce dell’esercito alcune domande: l’esercito israeliano continua ad affermare che c’era stato un tentativo di forzatura di un posto di blocco? I soldati coinvolti sono stati interrogati dalla polizia militare? E se pensavano che ci fosse stato un tentativo di forzatura di un blocco stradale, perché non si sono lanciati all’inseguimento dei responsabili per arrestarli? A tutte queste domande la risposta è stata: relativamente all’accaduto, è stata avviata un’inchiesta della polizia militare, e alla sua conclusione i risultati saranno trasmessi all’ufficio del procuratore generale militare.”
Salam Abu Eid, il capo del consiglio di Biddu, questa settimana ha dichiarato ad Haaretz: “È stato un crimine non solo contro Osama, ma anche contro sua moglie e i cinque bambini. I soldati hanno ucciso sette persone, non una sola.”
Le margherite che Osama aveva piantato adornano il cortile della casa. Sua figlia Baylasan, che ha 13 anni, sta seduta, vestita di nero, lo sguardo cupo, insieme al fratello maggiore, il quindicenne Mohammed. Baylasan (in arabo significa Sambuco) è una pianta dai fiori bianchi dalla quale si estraggono mirra e incenso. Un membro della famiglia ci racconta che oggi la pianta si può trovare solo al di là della barriera, in terre occupate da Israele.
Nisan, che ha dieci anni, tiene la testa sul grembo di sua madre, proprio come ha fatto suo padre nei suoi ultimi istanti. Nisan si copre il volto col telefono cellulare, come se non volesse ascoltare, ancora e ancora, cosa è successo ai suoi genitori nella notte in cui ha perso suo padre, molto probabilmente per non aver fatto niente di sbagliato.
Articolo di Gideon Levy pubbblicato sul quotidiano israeliano Haaretz