Tante voci si sovrappongono nel funerale mediatico, ma nessuna tra loro riesce nemmeno a sfiorare la voce di chi comanda il corteo funebre, che ha più vita di tutte loro messe insieme. Un coro che però sancisce una volta per tutte come i cantautori siano stati gli autentici padri nobili della cultura italiana degli ultimi cinquant’anni. E non in quanto poeti di fine Novecento o colti della musica leggera. Tutt’altro. I cantautori sono stati innanzitutto una voce e quella sussurrata ed eterea di Battiato è da sempre la voce sottile dell’altrove.
A differenza della grave monumentalità di De André, della rabbia malinconica di Guccini e Vecchioni, della dolcezza come una condanna di De Gregori o del gracchiante divertimento di Conte, la voce di Battiato non affonda le sue radici nella terra. Quel fiato sottile di vetro, così vicino e così lontano dal falsetto, è naturale melodia che mai si impregna di terra e delle sue viscere contraddittorie. Può imprimersi su strofe dialettali o su versi francesi, tedeschi e inglesi, accompagnare stridenti suoni elettronici o tenui suoni da camera, recitare parole filosofiche o avvolgere in un ritornello pop vocaboli inusitati e lontani. Il risultato non cambia.
Resta sempre una voce tessuta d’aria, che quando con umiltà ha deciso di servire le parole altrui, vestendosi di archi e pianoforte, ha partorito una sublime gemma floreale.
Così si ripresenta alla memoria un suo concerto napoletano. Un enorme tappeto occupava il palco ed intorno soltanto un pianoforte e un quartetto d’archi. Battiato entrò sulla scena per sedersi in posizione meditativa. Una postura presuntuosa che sembrava imporre una certa distanza. Le luci si spensero, i violini si tesero per accompagnare la prima canzone dell’album Fleurs. Dalla prima all’ultima nota ho pianto. È stata la prima e ultima volta ad un concerto. Nessuno osava cantare sopra le strofe delle canzoni, nessuno tra il pubblico si permetteva di scambiare soltanto una parola o una pacca col suo vicino. Mi sono chiesto: perché? Com’è possibile una tale emozione? E di emozione infatti non si trattava. Era piuttosto una rarefazione inflitta dalla voce di Battiato, per una volta prestata alle parole altrui e poi anche alle proprie.
La musica e i versi restavano a mezz’aria e niente, proprio niente della tua povera mente da spettatore era coinvolto. Né la memoria col suo carico di malinconia, ne il futuro con la sua portata di rabbia. E nemmeno il presente con la logica legittima e onnivora del concerto che ti spinge a sentirti un unico corpo che vibra e si corrobora nel trasporto emotivo. Nulla di tutto questo. C’erano la viola, i violini, il pianoforte, la voce eterea di chi cantava e tutt’intorno nient’altro pareva avere la consistenza di esistere.
Né l’inconscio col suo carico meschino, ne i ricordi quotidiani avevano diritto ad abitare quello spazio. Le canzoni sfilarono per due ore come un’unica sinfonia: Trenet, De André, Endrigo, Brel e compagni riesumati ma delle loro corde terrene non c’era più nessuna traccia. In un normale concerto diversi brividi si sarebbero stampati sulla pelle in compagnia di un flusso di coscienza e dell’identificazione in un’utopia o in un amore perduto. Alla fine del concerto la gravità si rimpossessò dei piedi e addosso non restò qualcosa come la commozione o l’entusiasmo ma una sensazione che davvero si avvicinava allo stupore. Tornare tra le cose e le voci quotidiane fu un trauma. Allora fu evidente che quella distanza sul palco non era una posa altera ma una consistenza eterea. Un’autentica alterità capace di trasportarti senza dover trascinare.
Così mi fu chiara una volta per tutte la differenza decisiva tra un cantautore, un poeta e un cantante. Che non sta nella capacità di scrittura o nella qualità della musica composta, ma più semplicemente nella voce. E non è questione di tecnica, arte o capacità espressiva. Le corde vocali dei cantautori sono l’unico strumento umano davvero irriproducibile, capace di imprimere un’atmosfera e di entrare in un dialogo quotidiano e muto con chi le ascolta.
Perché tanto lo sappiamo che le parole vengono e soprattutto vanno, le note possono esser catturate da chiunque altro ma la voce, quella di Battiato, resterà sempre a mezz’aria per ricordarci come in un lampo l’eterea consistenza della vita, sospesa tra danza e preghiera.