Sono centinaia i cittadini in Senegal che sono scesi in piazza in queste ore per chiedere che l’omosessualità venga considerata un reato dall’ordinamento giuridico. Il Senegal prevede già che le relazioni sessuali omosessuali siano illegali e il presidente senegalese Macky Sall ha sottolineato in passato che il Senegal non legalizzerà le attività omosessuali, in linea coi valori e con le norme culturali del Paese e dei cittadini.
Le proteste sono state criticate in Occidente tacciandole di essere discriminatorie e con i media che hanno citato alcuni commenti violenti dei protestanti. Molti senegalesi hanno commentato affermando che i commenti aggressivi sono isolati e non rappresentano lo spirito delle proteste che invece mirano a preservare i valori e la cultural del Senegal.
Valori, differenze e neocolonialismo arcobaleno
La protesta è da inquadrare all’interno di un discorso più ampio di differenze valoriali e culturali fra alcuni paesi occidentali da un lato ed africani dall’altro e nelle accuse da parte degli africani nei confronti di questi paesi di un progetto di colonizzazione ideologica. Nel 2018, la giornalista Amanpour arrivò a minacciare in diretta il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta di “conseguenze” in seguito alla sua affermazione che i “diritti degli omosessuali “non sono rilevanti” per il Kenya ed i suoi cittadini, definendo la questione legata più a differenze culturali e valoriali che a diritti umani.
Il caso del 2018 non è un caso isolato. Dopo la sua elezione Biden ha minacciato di attivare un vero e proprio no-LGBT ban sulla linea del Muslim ban di Trump e delle sanzioni pro LGBT di Obama ma per tutti quei paesi che non promuovano gli LGBT e l’ideologia gender. I critici di queste misure si sono chiesti come si possa minacciare di far morire di fame e sete quei paesi che dipendono dagli aiuti esteri a causa dell’oppressione coloniale per una differenza valoriale e culturale, sottolineando la componente neocolonialista ed impositiva.
Il caso nostrano del DDL Zan
Le discussioni accese intorno al DDL Zan di questo periodo sono state caratterizzate da vari elementi positivi e negativi. Positivi in particolare perché per la prima volta si sta dibattendo nello spazio pubblico (almeno in rete) degli elementi di critica del DDL Zan che presenta più le caratteristiche di una promozione culturale ed ideologica mascherata da lotta ai crimini di odio contro una determinata categoria di “privilegiati”.
Il merito in questo dibattito però, c’è da dirlo, va a chi ha criticato il DDL Zan più che a chi lo ha promosso. Sì, perché se da un lato i critici hanno prodotto contenuto intellettuale anche di qualità, mentre chi vuole promuovere il DDL Zan ed in generale una determinata concezione di società ed una ideologia specifica ha fallito.
La mancanza di dibattito degli ultimi anni sul modo in cui le varie minoranze di uno Stato laico che la pensano anche molto diversamente possano vivere nello stesso territorio senza “calpestarsi i piedi” e senza che lo Stato diventi ingiusto e sbilanciato promotore di una tendenza o di un’altra ha indebolito l’offerta intellettuale ed argomentativa dei progressisti.
Questa “offerta” si è ridotta ad artisti come Fedez che dal palco di una rete televisiva, quello di mamma RAI per intenderci, finanziata dai cittadini che la pensano anche molto diversamente sbraita in modo infantile e senza contradditorio (anche se la sua critica ad alcuni esponenti della Lega aveva una qualche validità) per promuovere una proposta di legge, quella dei propri clienti ovviamente.
L’offerta si è ridotta anche ad un compulsivo scribacchiare di mani al “grido” di DDL ZAN, come se sporcarsi la mano con dell’inchiostro rendesse l’argomentazione più valida. Certo, un risultato c’è ed è quello di mostrare la scarsa offerta valoriale ed intellettuale del progressismo odierno e più in generale della sinistra.
La sinistra odierna infatti ha abbracciato completamente il modello capitalista e le differenze strutturali con la destra sono ormai minime. Ma la differenza è vitale in politica per attrarre il flusso di elettori e dunque ecco che l’unica vera battaglia sinistro-progressista oggi è quella che vuole normalizzare delle tendenze sessuali non funzionali o l’identificazione di un individuo con altro che ciò che la biologia ed il corredo genetico descrivono.
Superare l’omonazionalismo: da LGBTQ+ a PDRIT+?
Una delle parole chiave qui è “spreco”. Spreco di risorse umane, intellettuali, economiche, e politiche per normalizzare quella che a tutti gli effetti è una ideologia con premesse (non poco fallaci) e conclusioni (non poco illogiche) ed il tutto per lo scopo di ottenere consenso per la politica e per promuovere la propria ideologia per i diretti interessati.
Se la critica al DDL Zan ha alzato il tiro ed il livello delle argomentazioni dei critici stessi, silenziate per anni dalla cancel culture attraverso accuse di bigottismo e omofobia, ora è forse il momento di accompagnare la critica con una proposta. Sì, perché minoranze più o meno colorite da “difendere” non finiranno mai così come non finiranno mai le diverse opinioni della società umana e dei suoi individui.
I critici dunque potrebbero iniziare a divenire promotori di un’alternativa, una che sia più reale e di rilievo e che magari sposti utili risorse e sforzi dalla sigla LGBTQI+ ad una nuova sigla costituita da reali bisognosi come P-overi, D-isabili (forzatamente accodati nelle leggi agli LGBT per creare appeal), R-ifugiati, I-ndebitati, T-ossicodipendenti da droga, alcool ma anche gioco d’azzardo e molti altri. Il caso dei primi rappresenta un esempio da dizionario di omonazionalismo descritto da Jasbir Puar nel suo libro “Omonazionalismo* in tempi di queer” ed in cui si critica la prioritizzazione dei diritti di una minoranza su un’altra.
Perché se alla fine della giornata i primi torneranno a casa magari con un lavoro, un buon conto in banca e liberi di impegnarsi nelle più svariate attività sessuali anche se non normalizzate in società, i PDRIT+ saranno soli, abbandonati, e a chiedersi perché la società, il discorso pubblico, e preziose risorse siano pompate per promuovere alcune tendenze ed identificazioni sessuali in modo così isterico invece di beneficiare chi nella storia della nostra civiltà ha sempre avuto bisogno, ha bisogno, e ne avrà per ere a venire a prescindere dalle ideologie, dalle filosofie, dalle tendenze e da quale pianeta o galassia continueremo a porci questo problema.
*Omonazionalismo:
“Il riconoscimento e l’inclusione nazionale, qui segnalati come l’annessione del gergo omosessuale, dipende dalla segregazione e dalla squalifica dell’altro razziale e sessuale dall’immaginario nazionale. Al lavoro in questa dinamica c’è una forma di eccezionalismo sessuale – l’emergere dell’omosessualità nazionale, quello che io chiamo ” omonazionalismo “- che corrisponde con il ‘coming out’ dell’eccezionalismo dell’impero americano. Inoltre, questo brand di omosessualità opera come un copione normativo non solo della ‘gaycità’ normativa, della ‘queericità’ o dell’omosessualità, ma anche delle norme razziali e nazionali che rafforzano questi soggetti sessuali. C’è un impegno per l’ascesa globale dominante del bianco che è implicato nella propagazione degli Stati Uniti come impero così come nell’alleanza tra questa propagazione e questo brand di omosessualità. L’approvazione fugace di un soggetto omosessuale nazionale è possibile, non solo attraverso la proliferazione di soggetti sessuali-razziali che invariabilmente cadono fuori dai suoi ristretti termini di accettabilità, come altri hanno sostenuto, ma più significativamente, attraverso la simultanea generazione e disconoscimento di popolazioni di altri sessualmente razziali che non hanno bisogno di fare domanda.” (Puar, 2007)
- Puar J. K. (2007), Homonationalism in queer times, Duke university press, London.