Con una serie TV Al Sisi trasforma il massacro di Rabaa in mito fondante del regime

Il mito costruito attorno all’eccidio di massa dei manifestanti nel 2013 è fondamentale per il mantenimento del potere da parte dello stato egiziano

Il quinto episodio della serie TV di Ramadan The Choice: Parte Seconda descrive gli eventi della repressione del sit-in pacifico del 2013 in piazza Rabaa al-Adawiya che causò l’uccisione di almeno 817 manifestanti, ma molto probabilmente si trattava di oltre 1000 persone uccise.

La serie è stata prodotta da Synergy, un’azienda indirettamente di proprietà e controllata dai servizi segreti egiziani. Pertanto, il racconto – che ritrae i manifestanti armati e fanatici, mentre le forze di sicurezza mostrano un alto livello di autocontrollo e moderazione – riflette la narrazione ufficiale del regime.

La scelta di sceneggiare il peggior massacro della storia moderna dell’Egitto, un evento profondamente polarizzante, potrebbe sembrare alquanto strana, ma questo massacro è un evento fondamentale per il regime, e il mito costruito attorno ad esso è della massima importanza.

Prima che le forze di sicurezza egiziane compissero il massacro di Rabaa nell’agosto del 2013, Abdel-Fattah al-Sisi, allora ministro della difesa, invocò le proteste di massa che lo autorizzassero a “combattere il terrorismo” – un chiaro riferimento alla dispersione forzata del sit-in organizzato dai Fratelli Musulmani. Questa richiesta era stata accompagnata da una massiccia campagna di propaganda secondo la quale il sit-in era armato e i manifestanti stavano sequestrando e torturando i cittadini.

La strategia non era semplicemente quella di creare il sostegno popolare ad un’azione repressiva da parte dello Stato, ma di confezionare un atto di eccidio collettivo; in altre parole, si trattava di sollecitare la partecipazione attiva di un vasto segmento della popolazione all’uccisione in massa dei rivali politici. Questo si è manifestato palesemente il giorno del massacro quando i manifestanti che tentavano di fuggire dalle violenze venivano arrestati da gruppi di vigilanti composti da residenti locali.

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Eccidio collettivo

Questo iniziale atto di eccidio collettivo ha creato un legame organico tra il regime ed una larga parte della popolazione, che ha avallato il massacro e lo ha sostenuto attivamente. La stessa giustificazione utilizzata per reprimere i Fratelli Musulmani è stata in seguito usata contro l’opposizione laica e gli attivisti.

Questo omicidio collettivo aveva basi ideologiche nel Nasserismo e nel marchio del nazionalismo arabo da esso propagato, che vedeva la nazione come un insieme organico e armonioso con una chiara volontà popolare, piuttosto che una miriade di diversi gruppi sociali con interessi contrastanti che avevano bisogno di essere mediati.

Quando la nazione manifesta la sua volontà popolare attraverso i militari, questa diventa l’incarnazione dello spirito nazionale. Non solo getta le basi per una forma estrema di nazionalismo sciovinista, ma giustifica anche la repressione di massa degli oppositori politici e delle minoranze.

Al momento del massacro, i Fratelli Musulmani erano stati dichiarati “fuori” dalla nazione, giustificando così la loro repressione di massa. Il dissenso dalla “volontà popolare” era considerato una minaccia esistenziale all’idea di uno stato organico tenuto insieme da nozioni vaghe e malformate di identità nazionale.

Questa base ideologica è stata successivamente utilizzata per reprimere l’opposizione laica, il nascente movimento femminista ed altri, con la “volontà popolare” della nazione.

Valore simbolico

Il massacro ha avuto anche un valore simbolico, rivaleggiando con quello del 28 gennaio 2011, quando i manifestanti erano stati in grado di sconfiggere le forze di sicurezza e rivendicare apertamente lo spazio pubblico, per la prima volta da decenni. In sostanza, il massacro ha costituito un capovolgimento di quell’evento. Le forze di sicurezza hanno rivendicato lo spazio pubblico attraverso una violenza spettacolare e simbolica, inclusa quella che sembrava essere una politica sistematica per causare il maggior numero di vittime possibili.

Lo spettacolo della violenza ha comunicato un messaggio chiaro: i guanti erano stati tolti. Nessuna ripetizione degli eventi del 28 gennaio sarebbe più stata tollerata, non importa quanto sarebbe stato pesante il bilancio delle vittime. Si è trattato di una escalation di violenza che può rivaleggiare con quella della Siria, con uccisioni di massa e indiscriminate di civili pacifici sospettati di essere membri dell’opposizione.

Da quel momento in poi, lo spazio pubblico è stato riconquistato dal regime – con un livello di controllo che sarebbe poi stato legalizzato attraverso la Legge sulle Manifestazioni approvata nel novembre del 2013. Quando lo spettro delle proteste di massa ha nuovamente ossessionato il regime, nel settembre del 2019, Sisi ha incontrato i suoi sostenitori nello stesso luogo in cui aveva massacrato i suoi oppositori nel 2013: piazza Rabaa.

Le conseguenze del massacro sono state innumerevoli e durature, e hanno posto le basi per un sistema politico profondamente accentrato. Il massacro ha reso impossibile, per i Fratelli Musulmani, accettare la nuova realtà politica o impegnarsi nel processo politico, poiché qualsiasi tentativo da parte della leadership in questo senso avrebbe potuto portare allo scioglimento del gruppo, in mezzo alle pressioni della sua base.

Dopo il massacro, la Fratellanza è stata esclusa anche dal processo politico e in seguito designata come gruppo terroristico. Questo accentramento ha permesso essenzialmente al regime di de-politicizzare la politica, dipingendo le varie differenze politiche come una lotta epica tra la nazione, personificata con il regime, ed i suoi oppositori, che Sisi avrebbe poi chiamato “il popolo del male”. Ciò ha permesso al regime di estendere la sua repressione a tutti i gruppi di opposizione, con un ampio sostegno popolare.

Consolidare la logica del regime

Questo ha anche permesso al regime di poter sorvolare sul suo fallimento in campo economico e sociale, in quanto l’opposizione ad una qualsiasi delle sue politiche è stata descritta come una cospirazione delle forze del male, in combutta con i Fratelli Musulmani, per distruggere la nazione. Questa logica di rinforzo ha creato uno stato di emergenza costante, consentendo al regime di intensificare la sua repressione.

Il regime ha continuamente bisogno di nemici e di cospirazioni per giustificare il mantenimento del potere, e sono necessari atti di repressione di massa per dimostrare alla sua base l’esistenza di questi nemici.

I costi sociali ed i pesanti traumi personali che perseguitano le vittime del massacro sono difficili da comprendere. Si possono superare soltanto facendo i conti col passato e attraverso un profondo processo di riconciliazione, che non è possibile nelle circostanze attuali. Ma finché questo non avverrà, il massacro continuerà a gettare un’ombra lunga e ineluttabile sulla società e sulla politica egiziane.

 

Articolo di Maged Mandour pubblicato su Middle East Eye