Il nuovo metodo “Badass” utilizza una proteina magnetizzata per attivare le cellule cerebrali in modo rapido, reversibile e non invasivo.
I ricercatori negli Stati Uniti hanno sviluppato un nuovo metodo per controllare i circuiti cerebrali associati ai comportamenti complessi degli animali, utilizzando l’ingegneria genetica per creare una proteina magnetizzata che attiva gruppi specifici di cellule nervose a distanza.
Riuscire a comprendere in che modo il cervello genera il comportamento è uno degli obiettivi principali della neuroscienza – e una delle sue domande a cui è più difficile rispondere. Negli ultimi anni, i ricercatori hanno sviluppato una quantità di metodi che consentono loro di controllare a distanza determinati gruppi di neuroni e di sondare il funzionamento dei circuiti neuronali.
Tra questi, il metodo più efficace è quello chiamato optogenetica che permette ai ricercatori di attivare o disattivare popolazioni di neuroni correlati tra loro, su una scala temporale di un millisecondo per un millisecondo, con impulsi di luce laser. Un altro metodo sviluppato di recente, chiamato chemogenetica, utilizza le proteine modificate che vengono attivate da farmaci innovativi e possono essere mirate a specifici tipi di cellule.
Anche se potenti, entrambi questi metodi presentano degli svantaggi. L’optogenetica è invasiva, richiede l’inserimento di fibre ottiche per trasportare gli impulsi luminosi al cervello, e inoltre, la misura in cui la luce penetra nei densi tessuti cerebrali è fortemente limitata. Il metodo chemogenetico supera questi due limiti, ma di solito induce reazioni biochimiche che impiegano diversi secondi per attivare le cellule nervose.
La nuova tecnica, sviluppata nel laboratorio di Ali Güler presso l’Università della Virginia, a Charlottesville, e descritta in una pubblicazione anticipata online dal giornale Nature Neuroscience, non solo non è invasiva, ma riesce anche ad attivare i neuroni in modo rapido e reversibile.
Diversi studi precedenti hanno dimostrato che le proteine delle cellule nervose, attivate dal calore e dalla pressione meccanica, possono essere geneticamente modificate in modo da divenire sensibili alle onde radio e ai campi magnetici, legandole ad una proteina che immagazzina il ferro chiamata ferritina, o a particelle paramagnetiche inorganiche.
Questi metodi rappresentano un progresso importante – sono già state utilizzate, ad esempio, per regolare i livelli di glucosio nel sangue dei topi – ma coinvolgono molteplici componenti che devono essere introdotti separatamente.
La nuova tecnica si basa su questo lavoro precedente e su una proteina chiamata TRPV4, che è sensibile sia alle temperature che alle forze di trazione. Questi stimoli aprono il suo poro centrale, consentendo alla corrente elettrica di fluire attraverso la membrana cellulare; questo evoca gli impulsi nervosi che attraversano il midollo spinale per arrivare al cervello.
Güler e i suoi colleghi hanno ragionato sul fatto che le forze di coppia magnetica (o rotanti) potrebbero attivare il TRPV4 aprendone il poro centrale, e quindi hanno utilizzato l’ingegneria genetica per fondere la proteina alla zona paramagnetica della ferritina, e insieme a brevi sequenze di DNA che segnalano alle cellule di trasportare le proteine alla membrana delle cellule nervose e inserirla all’interno di essa.
Quando hanno introdotto questo costrutto genetico nelle cellule renali embrionali umane che crescono in piastre di Petri, le cellule hanno sintetizzato la proteina “Magneto” e l’hanno inserita nella loro membrana. L’applicazione di un campo magnetico ha attivato la proteina TRPV1 modificata, come evidenziato da aumenti transitori della concentrazione di ioni calcio all’interno delle cellule, rilevati con un microscopio a fluorescenza.
Successivamente, i ricercatori hanno inserito la sequenza del DNA Magneto nel genoma di un virus, assieme al gene che codifica la proteina verde fluorescente e alle sequenze regolatrici del DNA che fanno sì che il costrutto venga espresso solo in determinati tipi di neuroni. Hanno quindi iniettato il virus nel cervello dei topi, mirando alla corteccia entorinale, e hanno sezionato i cervelli degli animali per identificare le cellule che emettevano fluorescenza verde. Usando dei microelettrodi, hanno poi dimostrato che l’applicazione di un campo magnetico alle sezioni di cervello attiva Magneto in modo che le cellule producano impulsi nervosi.
Per capire se Magneto possa essere utilizzato per manipolare l’attività neuronale negli animali vivi, lo hanno iniettato nelle larve di pesce zebra, prendendo di mira i neuroni del tronco e della coda che normalmente controllano la risposta di fuga. Hanno quindi posto le larve di pesce zebra in un acquario magnetizzato appositamente costruito e hanno scoperto che l’esposizione ad un campo magnetico ha prodotto manovre di avvolgimento simili a quelle che si verificano durante la risposta di fuga. (Questo esperimento ha coinvolto un totale di nove larve di pesce zebra, e le analisi successive hanno rivelato che ogni larva conteneva circa 5 neuroni che esprimevano la presenza di Magneto).
In un esperimento conclusivo, i ricercatori hanno iniettato Magneto nello striato di topi che si muovono liberamente, una parte della struttura cerebrale profonda che contiene neuroni produttori di dopamina che sono coinvolti nella gratificazione e nella motivazione, e poi hanno messo gli animali in una struttura divisa in due sezioni, una magnetizzata e una non magnetizzata. I topi che avevano Magneto hanno trascorso molto più tempo nelle aree magnetizzate rispetto a quelli che non lo avevano, in quanto l’attivazione della proteina ha fatto in modo che i neuroni striatali abbiano espresso il rilascio di dopamina, in modo che i topi hanno trovato quelle zone più gratificanti. Questo dimostra che Magneto può controllare a distanza l’avvio dei neuroni in profondità nel cervello, e può anche controllare comportamenti complessi.
Il neuroscienziato Steve Ramirez dell’Università di Harvard, che utilizza l’optogenetica per manipolare la memoria nei cervelli dei topi, afferma che lo studio è “badass”.
“I tentativi precedenti [utilizzando magneti per controllare l’attività neuronale] richiedevano varie componenti perché il sistema funzionasse – iniettando particelle magnetiche, iniettando un virus che esprimesse un canale sensibile al calore, [o] fissando la testa dell’animale in modo che una bobina potesse indurre cambiamenti nel magnetismo”, spiega. “Il problema di avere un sistema con più componenti è che vi è troppo spazio nel quale ogni singolo pezzo può rompersi”.
“Questo sistema si avvale di un virus intelligente che può essere iniettato ovunque nel cervello, il ché rende tecnicamente più facile e meno probabile che si rompano le campane in movimento”, aggiunge, “e il loro equipaggiamento comportamentale è stato progettato in modo intelligente per contenere i magneti, dove opportuno, in modo che gli animali possano muoversi liberamente”.
La “Magnetogenetica” è pertanto uno strumento importante che va ad aggiungersi agli altri già a disposizione dei neuroscienziati, e che certamente verrà sviluppata ulteriormente, e fornirà ai ricercatori nuovi metodi di studio sullo sviluppo e sul funzionamento del cervello.
Articolo pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian con il titolo originale di “Genetically engineered ‘Magneto’ protein remotely controls brain and behaviour“.