“Non ci potevo credere, ero intimorita, smarrita, piena di vergogna e con un crudele senso di impotenza”, Sara Qasmi ci mette la sua onorata faccia e vuole guardare quella di chi ha commesso questo abuso nei suoi confronti e chiedere che lo Stato si assuma le sue responsabilità di giustizia.
Pochi giorni orsono, il 27 maggio Sara si reca alla Motorizzazione civile di Trento per sostenere la prova teorica per il conseguimento della patente di guida. Già il prologo non promette nulla di buono… “io non conosco che nomi italiani” la deride l’esaminatore quando lei presenta i documenti. Sara abbozza, si siede e inizia a rispondere alle domande dell’esame.
Uno dei funzionari continua a girarle attorno, lei sente un crescendo di ostilità nei suoi confronti, il personaggio sembra voglia metterla a disagio, impedirle la concentrazione necessaria. Con disagio cerca di proseguire.
Dopo qualche minuto entrano persone in divisa, Sara non riesce a riconoscere a quale corpo armato dello Stato appartengano. Si rivolgono ad un altro giovane esaminando, di origine pakistana apparentemente, lo conducono in una stanza adiacente e lo sottopongono a perquisizione personale, non particolarmente invasiva ma a vista di tutti.
Sara prosegue il suo esame sempre vittima delle le pressioni dell’esaminatore, ma nonostante la tensione riesce a terminare l’esame in tempo.
Quando esce dall’aula per attendere l’esito della prova, trova gli agenti e uno di loro, una donna, la conduce in bagno “devo perquisirti” le dice.
Sara è incredula e sbigottita, certo negli aeroporti questo avviene, ma non poteva immaginare che potesse succedere anche in quel contesto. Ancora una volta abbozza e nel bagno si toglie il suo hijab.
L’agente però non è soddisfatta e la invita a spogliarsi del tutto per la perquisizione. L’agente le dice una frase che le rimane impressa per la sua crudezza: “quello hai te ce l’ho pure io, non serve che lo nascondi”
E’ costretta a spogliarsi totalmente, fino dell’intimo. Appurato che non aveva niente di quello che sospettavano l’agente chiede a Sara di rivestirsi sotto il suo occhio vigile, senza mai ed in alcun modo provare a scusarsi per il disagio.
Uscita dal luogo della perquisizione viene esaminata anche la sua borsa, non c’è nulla e allora si accaniscono sul cellulare, che è spento come dev’essere in quel contesto.
E ancora, mentre attende che le venga comunicato l’esito della prova, deve sopportare il dileggio di uno degli agenti che con tono arrogante le chiede “ma hai studiato almeno?”.
Il lunedì successivo Sara si reca in questura a denunciare i fatti e gli agenti che la ascoltano rimangono increduli alla storia che racconta, soprattutto perché a seguito della perquisizione non ha ricevuto alcun verbale e solo ora scopre che non avrebbero potuto perquisirla in quel luogo, in quel modo e che comunque avrebbero dovuto rilasciarle un documento di notifica con nomi degli agenti e l’esito della perquisizione.
In questi giorni si attende l’analisi dei filmati della videosorveglianza da parte della questura per riconoscere a che corpo appartenevano gli agenti che hanno violato la sua intimità e la sua persona e adire a vie legali contro l’ingiustizia che ha subito, denigrata, umiliata e discriminata per il semplice fatto di essere donna e musulmana.
L’esame è andato bene e ora la attende la prova pratica per la patente, bocciato invece uno Stato, che nelle persone che devono garantire i diritti di cittadini e residenti, non l’hanno rispettata perché “straniera”, musulmana, con l’hijab.