Hanno preso mio figlio adolescente per cambiargli sesso: le testimonianza agghiaccianti dei genitori americani

Ahmed è un immigrato pakistano, un fedele musulmano e, fino a qualche tempo fa, consulente finanziario per il settore high-tech di Seattle. Ma quando mi ha chiamato al telefono nell’ottobre del 2020, era soltanto uno dei tanti padri spaventati. Alcuni giorni prima, lui e sua moglie avevano portato il figlio di 16 anni all’ospedale pediatrico di Seattle per verosimili minacce di suicidio. Ma adesso Ahmed temeva che i camici bianchi che avevano gentilmente ammesso suo figlio alle loro cure, si potessero rifiutare di farlo tornare in famiglia.

“Ci hanno inviato una mail che dice ‘dovreste portare vostra figlia in un ospedale per la scelta dell’identità di genere’”, mi ha raccontato.

All’inizio Ahmed (in questo articolo ho cambiato i nomi per proteggere le identità dei minori) ha pensato che si trattasse di un errore. Aveva accompagnato all’ospedale un figlio, Syed, in un terribile stato di disagio. Ma adesso la mail che aveva ricevuto dagli esperti della salute mentale utilizzavano un nuovo nome per quel figlio e sostenevano che si trattava della figlia di Ahmed.

“Hanno cercato di creare un nuovo cliente per la loro clinica per la scelta dell’identità di genere… e sembrava volessero assolutamente spingerci in quella direzione”, ha detto quando gli ho parlato di nuovo a maggio, ricordandogli l’orrore dell’ottobre passato. “Abbiamo avuto chiamate con consulenti e terapeuti di questo ospedale che ci dicevano quanto sarebbe stato fondamentale per lui cambiare sesso, perché sarebbe stato l’unico modo per poter uscire da questo stato depressivo e suicida”.

Syed era sempre stato uno studente modello e – secondo i suoi genitori e il terapeuta familiare – alquanto brillante. Soffre anche di disturbi autistici, è un ragazzo che evita il contatto visivo, al quale devono essere date delle regole su quanto tempo impiegare nella stretta di mano a qualcuno, nel fare la doccia, o nel lavarsi i denti. Per lui, il periodo della scuola superiore è stato molto difficile, come spesso accade per i bambini autistici quando scoprono che le esigenze sociali dell’adolescenza sono aumentate oltre la loro capacità di poterle soddisfare. Ha provato a chiedere ad alcune ragazze di uscire, ma non ha funzionato e si è quindi sentito frustrato ed arrabbiato, o comunque qualcosa del genere. E pertanto, quelle cose da ragazza a ragazzo diventano un po’ difficili per gli autistici, quei problemi che compaiono durante lo sviluppo. Ed è qui che la pubertà può essere molto, molto dura con gli ormoni che corrono e tutte queste cose”.

Quando è arrivato il lockdown, il ragazzo, che già stava faticando socialmente ed era confuso dalle domande che gli adolescenti neuro-tipici danno per scontate (Come faccio a far capire ad una ragazza che mi piace? Come faccio a farmi accettare dagli altri?), ha iniziato a trascorrere tutti i giorni e le notti su Internet. “Essendo autistico, ha perso la cognizione del tempo. Non dormiva quasi mai. Quindi stava sveglio, passava il tempo soltanto su Internet, Twitter, Tumblr, qualunque cosa… E stava nella sua camera, da solo, sai, a dormire una o due ore al giorno. E questo può essere davvero sconvolgente. Era molto confuso. Vedeva delle cose, allucinazioni visive. E non sapevamo il perché”.

Non si sa con certezza il motivo per cui molti adolescenti neuro-diversi si identifichino come transgender, ma più di uno scienziato ha sottolineato le alte percentuali di coincidenza. Come mi hanno spiegato molti esperti di autismo, coloro che sono nello spettro tendono a fissarsi, e quando viene introdotta dentro di loro una idea contagiosa – come la nozione secondo la quale potrebbero essere una “ragazza nel corpo di un ragazzo” – ne restano particolarmente colpiti.

In qualità di psichiatra infantile ed esperta in disforia di genere, Susan Bradley mi ha detto: “Il messaggio che questi ragazzi colgono [dagli influencer trans] mentre sono collegati online è ‘Noi siamo gli unici che ti riescono a capire. La gente, i tuoi genitori, non ti capiscono veramente’. E può trattarsi della prima volta nella loro vita in cui qualcuno ha detto loro che ‘Noi ti capiamo. Noi ti conosciamo. Tu stai bene. Tu sei come noi’. E tutto questo è estremamente efficace”.

Ho chiesto a Bradley se l’introduzione dell’ideologia gender ai ragazzi che tendono ad avere fissazioni si può paragonare all’introduzione alla cocaina di qualcuno che è predisposto alla tossicodipendenza. E lei me lo ha confermato: “Ha lo stesso potere di alleviare tutta l’emarginazione, il dolore e l’angoscia con cui questi ragazzi stanno lottando”.

A causa delle politiche relative al Covid-19, ad ottobre Ahmed non poteva stare in ospedale con suo figlio. Syed, senza poter dormire e in stato confusionale, furioso con i genitori che lo avevano fatto ricoverare, e potendosi consultare solo col personale ospedaliero assieme ad un assistente sociale, ha deciso che il suo problema era l’identità sessuale.

Nello stato di Washington i minori possono accedere ai servizi di salute mentale e per l’affermazione dell’identità di genere, senza il permesso dei genitori, a 13 anni. In altre parole, le mail che Ahmed ha ricevuto dall’ospedale erano solo un atto di cortesia; l’ospedale non era obbligato ad ottenere il permesso di Ahmed per dare inizio ad un percorso di transizione sessuale per suo figlio.

Ma a differenza di altri genitori coi quali avrei parlato in seguito, il sangue freddo di Ahmed ha prevalso. Ritenendo di essere caduto in una trappola, Ahmed ha contattato sia un avvocato che un amico psichiatra del quale si fidava. Lo psichiatra gli ha dato un consiglio che, secondo lui, ha salvato suo figlio, dicendo, con le parole di Ahmed: “Devi stare molto, molto attento perché se ti mostri anche solo un po’ anti-trans o altro, loro ti denunciano ai servizi di Protezione dell’Infanzia e prendono in custodia tuo figlio”. Anche l’avvocato ha detto la stessa cosa ad Ahmed: “Quello che vuoi è raggiungere un accordo con loro e portare a casa tuo figlio. Quando i consulenti di genere ti consiglieranno di ‘confermare’, assecondali. Ti basterà dire ‘Uh-huh, uh-huh, va bene, portiamolo a casa e poi andremo alla clinica di genere’”.

Ahmed ha riassicurato il Seattle Children’s Hospital che avrebbe portato suo figlio in una clinica per l’identità di genere, e che avrebbe iniziato la transizione di suo figlio. Invece, dopo aver recuperato suo figlio, ha lasciato il lavoro trasferendo tutta la sua famiglia di quattro persone fuori da Washington.

La reazione di Ahmed è stata troppo estrema? Quando l’ho sentita per la prima volta, ad ottobre 2020, mi sono chiesta se non avesse reagito in modo eccessivo. Ma quando un sempre maggior numero di genitori ha iniziato a contattarmi con storie simili e ho approfondito le leggi dello stato di Washington, Oregon e California, sono giunta ad una diversa conclusione. Se prese singolarmente, nessuna legge in nessuno stato priva completamente i genitori dei loro diritti alla cura e al trattamento della salute mentale dei loro adolescenti minori con problemi. Ma se messe insieme, le leggi della California, dell’Oregon e di Washington permettono agli adolescenti in difficoltà, di appena 13 anni, di decidere autonomamente la cura della propria salute mentale, compresa la terapia della “dichiarazione di genere”, e rendono i genitori impotenti, senza alcun potere per riuscire a fermarli.

Ecco un esempio dei poteri concessi ad un bambino di 13 anni dallo stato di Washington. I minori di età, dai 13 anni in poi, hanno il diritto di farsi ricoverare per trattamenti di salute mentale ospedalieri e ambulatoriali senza il consenso dei genitori. Alle compagnie di assicurazioni sanitarie è vietato divulgare ai genitori (loro assicurati!), informazioni mediche sensibili riguardanti i figli minori, come quelle relative a ‘disforia di genere [e] assistenza per la dichiarazione di genere’. I minori di età compresa tra i 13 e i 18 anni possono negare ai genitori l’accesso ai documenti relativi alla loro salute mentale per situazioni ‘sensibili’, tra le quali la disforia di genere o la cura per l’affermazione dell’identità di genere. Gli assicuratori a Washington devono coprire una vasta gamma di ‘trattamenti per l’affermazione del genere’, dalla rasatura della trachea alla doppia mastectomia.

Mettete insieme tutti questi elementi, e un alunno di seconda media potrebbe avere il diritto di intraprendere una “cura per l’affermazione di genere” – che può includere qualsiasi cosa, da un responsabile dei centri giovanili che cambia il nome e i cognomi del bambino, fino ad un bambino che si prepara a ricevere un ciclo di ormoni – senza il permesso dei suoi genitori, contro la volontà dei suoi genitori, coperta dall’assicurazione dei suoi genitori e con i genitori tenuti all’oscuro di tutto, sia dalle compagnie assicurative che dai fornitori di servizi medici.

Nel caso vi stiate chiedendo se è soltanto nel sottosuolo dello stato di Washington che circolano acque contaminate, non è così. Nel 2015 l’Oregon ha approvato una legge che consente ai minori, a partire dai 15 anni, di accedere agli inibitori della pubertà, agli ormoni sessuali incrociati e ad interventi chirurgici a spese dei contribuenti, il tutto senza il consenso dei genitori. Nel 2018 la California ha approvato un simile disegno di legge per tutti i bambini in affidamento, dai 12 anni in poi. Il senato dello stato della California sta ora valutando un emendamento alla legge, a proposito della riservatezza delle informazioni mediche, che impedirebbe agli assicuratori sanitari di divulgare ai genitori informazioni mediche riguardanti i loro figli a carico, pena la responsabilità penale.

Nicole, una madre con la quale ho parlato, che vive nello stato di Washington, ha una figlia di 16 anni con disturbi alimentari e altri problemi di salute mentale, dopo essere stata molestata da un coetaneo alle elementari. Proprio prima del suo tredicesimo compleanno, sua figlia ha deciso di essere transessuale. “Odiava il suo corpo, e questa era un problema reale”, mi ha confidato Nicole. “Quindi abbiamo cercato di aiutarla”. Ma Nicole non era convinta del fatto che sua figlia avesse la disforia di genere perché, fino ad allora, non aveva mai mostrato segni di disagio col suo sesso biologico. “Era già stata sottoposta ad un programma completo di consulenza per il disordine alimentare e non era emerso nulla di tutto ciò”.

Negli anni successivi, la salute mentale della figlia di Nicole è peggiorata, e sono iniziati episodi di autolesionismo. Dopo che nel 2019 aveva tentato il suicidio, Nicole ha portata sua figlia al pronto soccorso dell’Highline Hospital (ora St. Anne Hospital) a Burien, Washington. Nicole ha spiegato all’assistente sociale presente in ospedale che sua figlia soffriva da molti anni di vari problemi mentali, nonostante invece stesse insistendo sul fatto che il suo problema fosse dovuto all’identità di genere. Nicole ha raccontato che sia lei che suo marito non erano convinti dell’autodiagnosi della disforia di genere e quindi non hanno “assecondato” l’identità trans della figlia. “L’assistente sociale era stata molto gentile con noi”, ha precisato Nicole. “Non ha mostrato nessuna indicazione del fatto che non credesse a quel che le stavamo dicendo o qualcosa del genere”.

Ma un infermiere che assisteva la figlia di Nicole, e che aveva sofferto gli stessi problemi con sua figlia, ha avuto pietà di lei e di suo marito. Quando l’assistente sociale è uscita dalla stanza, racconta Nicole, l’infermiere li ha avvertiti dicendo loro che  aveva intenzione di “emancipare” la loro figlia. La legge di Washington non consente ad un minore di presentare una petizione per la propria emancipazione fino all’età di 16 anni. Ma secondo numerosi genitori coi quali ho parlato, con il pretesto di “informare i giovani transgender sui loro diritti”, gli assistenti sociali a volte lanciano questo boccone appetibile ad un quattordicenne, il quale realizzerà che mancano solo due anni alla possibilità.

Nicole e suo marito non hanno aspettato oltre. L’hanno portata immediatamente a casa. Probabilmente è stata una buona scelta. Loro figlia avrebbe avuto potuto andare a pieno diritto in un centro dove, se avesse scelto di farlo, poteva essere “assecondata” ed avviata ad un percorso verso la transizione sessuale medica. E, a quanto pare, una volta che un adolescente problematico che abbia più di 13 anni sceglie di stare in un centro specializzato nello stato di Washington, può essere tremendamente difficile riuscire a riportarlo fuori. Invece, trascorso ormai un anno, Nicole riferisce che sua figlia sta molto meglio, così come il loro rapporto. La figlia ha abbandonato l’idea di essere transgender e sta gradualmente riducendo gli antidepressivi.

La figlia problematica di Julie, quattordicenne, non si è mai identificata come transessuale. Ma il racconto di Julie del suo braccio di ferro con gli assistenti sociali ed i centri di accoglienza per i giovani di Washington – i cui dettagli sono confermati da due diversi rapporti della polizia – getta una luce critica sull’approccio che lo stato ha con gli adolescenti a rischio dai 13 anni in poi. Julie ha chiesto espressamente di registrare la sua esperienza: ecco quanto è arrabbiata per quel che le è accaduto. Ho cambiato il suo nome solo per proteggere sua figlia minore, Kayla.

Kayla soffriva da tempo di gravi sbalzi d’umore, ansia e depressione, derivanti da un trauma infantile per mano di un padre che abusava sessualmente di lei. Sebbene un ordine di allontanamento emesso dal tribunale avesse tenuto l’ex-marito di Julie lontano da sua figlia per diversi anni, la depressione della ragazza aveva iniziato a peggiorare negli ultimi mesi, sviluppando preoccupanti segnali di instabilità mentale; secondo quanto riferito da Julie, l’attuale terapeuta di Kayla descrive questi sintomi come “un classico disturbo di personalità borderline”.

Il 17 marzo 2021 Julie aveva lasciato sua figlia presso il gruppo giovanile della chiesa. Verso le 8 di sera ha ricevuto una chiamata, era il parroco che la informava che Kayla aveva minacciato di suicidarsi con un’overdose di pillole. In realtà, Kayla non aveva nessuna pillola con sé, secondo il rapporto della polizia redatto quel giorno, ma aveva solo annunciato la sua intenzione di procurarsele. Quando Julie si è precipitata in chiesa, sua figlia era già scappata. Il parroco aveva accompagnato Kayla al pronto soccorso del Seattle Children’s Hospital dove era stata ricoverata.

A causa della pandemia, Julie non aveva il permesso di entrare nella camera d’ospedale di Kayla; ad un certo momento, durante la permanenza di sua figlia, Julie è convinta che un’assistente sociale presso l’ospedale abbia suggerito a Kayla che, se non voleva ritornare a casa, aveva il diritto di trasferirsi presso un centro di accoglienza per giovani. Dopo una notte trascorsa in ospedale, Kayla ha chiamato il parroco chiedendo di essere accompagnata presso il YouthCare Hope Center, un centro di accoglienza per adolescenti dai 12 ai 17 anni, senza fissa dimora, vittime di abusi o conflitti familiari gravi.

Quando l’ospedale ha contattato la madre di Kayla per informarla che sua figlia aveva fatto richiesta di restare presso un centro per senzatetto, Julie era sconvolta. “Mi sono detta ‘Beh, questo è assurdo. Ha una casa, ha una famiglia che la ama. E’ chiaro che non la state mandando ai servizi sociali, non abbiamo fatto nulla di sbagliato. Non ha bisogno di andare in un centro’”. E un membro del personale ospedaliero ha risposto: “’Beh, ha 14 anni, quindi può fare questa scelta autonomamente’”.

Il membro del personale aveva ragione sul fatto che Kayla avesse diritto a farsi ricoverare per un trattamento ospedaliero (sebbene l’operatore avesse torto sul fatto che questo YouthCare, in particolare, fosse qualificato per farlo). Una volta che Kayla è stata ammessa per il ricovero, cercare di farla uscire da lì è diventato un incubo.

A meno che Kayla non decidesse di uscire volontariamente dal centro di accoglienza, Julia non poteva vedere sua figlia né tanto meno riportarla a casa. Ed è chiaro che la figlia di Julie non voleva ritornare a casa dalla mamma. Tra i loro numerosi problemi relazionali tra madre e figlia, quello che aveva fatto infuriare maggiormente Kayla erano le regole che Julie aveva stabilito per l’uso di Internet. C’erano ragazzi coi quali Kayla intratteneva relazioni online, cosa della quale Julie era molto preoccupata; Julie temeva che alcune di queste amicizie fossero con uomini adulti che online si spacciavano per adolescenti. Aveva cercato di impedire a Kayla di comunicare con loro.

Secondo il rapporto dell’agente di polizia di Seattle Nathan Bauer, l’assistente sociale del centro, Micaela Leavell, sapeva che Julie non voleva che sua figlia rimanesse nella struttura di accoglienza. Ma Leavell ha dichiarato all’agente che invece “sarebbe stato meglio” se la ragazza fosse rimasta presso il centro in quanto “in casa con la madre si sentiva ‘in pericolo’”. L’agente Bauer ha evidenziato che Leavell “non è riuscita a dimostrare nessun motivo specifico per queste preoccupazioni” menzionate dalla ragazza, oltre al fatto che “ha dichiarato che si sarebbe fatta del male se fosse tornata”. Se la figlia di Julie avesse avuto motivi reali per “sentirsi in pericolo” in casa di sua madre, sembra che non li abbia confidati a nessuno tra tutti gli assistenti psichiatrici e sociali che l’hanno seguita.

Nei giorni successivi, per più volte al giorno, Julie ha chiamato il centro YouthCare per parlare con Kayla. Ogni volta le è stato detto che sua figlia non voleva parlare con lei. A questo punto, Julie si è comportata di conseguenza, ritenendo che gli assistenti sociali presso il centro avessero a cuore il bene di sua figlia.

Ma Julie aveva conservato il cellulare di sua figlia. Poteva quindi vedere i messaggi che entravano ed uscivano, apparentemente inviati da Kayla da un computer del centro. E aveva visto che sua figlia aveva inviato il seguente messaggio ad un parroco: “Ehi, sono quasi certa di aver trovato un avvocato che mi aiuterà a rimanere nel programma [del centro di accoglienza], dato che il mio assistente sociale/coordinatore mi ha caldamente suggerito di trovarne uno al più presto possibile, perché è preoccupato che mia madre stia cercando di farmi uscire da qui”.

Julie si è quindi resa conto che sua figlia sembrava agire verso l’emancipazione legale, con l’aiuto di un avvocato organizzato dal centro. In seguito, Julie ha appreso che lo YouthCare aveva trovato un avvocato a sua figlia e che stava lavorando per cercare di presentare una petizione come Adolescente che Necessita di Servizi. Ciò avrebbe reso il centro di accoglienza il tutore legale di Kayla, a tutti gli effetti.

In effetti, diversi genitori di adolescenti identificati come trans mi hanno confermato che gli assistenti sociali che avevano seguito i loro figli durante le crisi di salute mentale o i tentativi di suicidio, avevano iniziato a istruirli sulla ”emancipazione”, con il pretesto di “metterli al corrente dei loro diritti”. Molti assistenti sociali hanno incoraggiato negli adolescenti psicologicamente vulnerabili – che probabilmente hanno accolto con favore il suggerimento – l’idea secondo la quale le regole dei loro genitori, le loro decisioni ed obiezioni al comportamento dei teenagers costituivano un “abuso”, hanno riferito i genitori.

Il rapporto dell’agente Bauer, riguardante il caso di Julie e di sua figlia Kayla, tendenzialmente conferma questo. Il coordinatore di Kayla, Oscar, ha dichiarato volontariamente alla polizia che il personale del centro YouthCare “fornisce ai ragazzi tutte le informazioni concernenti le risorse e le linee di azione, come l’emancipazione, quando vengono richieste dai clienti”. (Ho inviato una mail a Oscar per sapere quanto un adolescente debba “chiedere” prima che un assistente sociale suggerisca l’emancipazione, ma non ho mai ricevuto risposta).

Le linee guida pubblicate dal Dipartimento per l’Infanzia, l’Adolescenza e le Famiglie dello stato di Washington informano il personale amministrativo che non sono autorizzati a rivelare le identità LGBTQ+ di un bambino ai genitori; indica loro di utilizzare moduli che “distinguono chiaramente il nome e il genere legali dal nome e dal genere scelti”, presumibilmente per evitare errori accidentali sull’accordo segreto che hanno stabilito col bambino; e richiede loro di indirizzare un bambino o un adolescente che desidera partecipare ai “servizi relativi a LGBTQ+”, inclusi “operatori sanitari e medici del comportamento che assecondano la loro identità”. Per evitare che si pensi che “assecondare” da parte di un medico implichi semplicemente l’uso di nomi e pronomi, la guida definisce “Affermazione di genere” come “procedure mediche che modificano [sic] il corpo di una persona per conformarsi alla sua identità di genere”.

Alla fine, si è resa necessaria una squadra di otto agenti per rimuovere con la forza la figlia di Julie dal centro di accoglienza. Ma in quel momento Julie aveva già predisposto un piano per il trattamento di Kayla, in Arizona, dove ora risiede in un centro per la cura delle manie suicide e la depressione. Ma la prima cosa da fare era portare via sua figlia da Washington.

Chi ha familiarità con il modello tradizionale di centro per il recupero dei giovani, presume che siano luoghi pieni di bambini i cui genitori non li volevano o che li hanno sottoposti ad abusi. Ma poiché la definizione di “abuso” è stata ampliata fino a significare qualsiasi cosa, dal ferire fisicamente un bambino al non “affermare” la sua identità di genere appena proclamata in età troppo precoce, i centri per i giovani sembrano essersi riempiti anche di bambini provenienti da famiglie stabili e amorevoli che vogliono disperatamente riavere i loro figli.

Nel 2012, i gestori di questi servizi di accoglienza che avevano risposto ad un sondaggio del Williams Institute, presso la facoltà di Legge dell’Università della California, avevano detto che circa il 40% dei giovani senzatetto che erano stati ospitati si sono poi identificati come LGBTQ. Da questa semplice statistica molti potrebbero dedurre che gli adolescenti LGBTQ vengono spesso cacciati da casa dai genitori bigotti. Ma non è assolutamente così.

Ho chiesto ad Alexa Goodenow, un’operatrice telefonica per le situazioni di crisi del SafePlace for Youth che mette in contatto i giovani a rischio con una rete di case di accoglienza a Seattle, quali sono le sfide che i giovani LGBTQ+ devono affrontare e che li conducono al ricovero presso questi centri. “Direi che una delle cose più frequenti che vediamo è proprio quella disconnessione culturale tra loro ed il loro sistema di supporto”, mi ha detto. “Quindi, ipoteticamente parlando, forse un giovane che ora si identifica come non-binario o che si dichiara gay o lesbica o bisessuale e forse le famiglie non sono di supporto in queste situazioni. Vediamo molti di questi casi perché nella zona di Seattle abbiamo numerosi contesti di melting pot culturale. Pertanto, forse le opinioni della persona giovane non sono del tutto allineate con il suo sostegno in casa”.

Essere un adolescente non è una passeggiata. Ma l’allontanamento dei figli minori dalla casa dei loro genitori non deve avvenire quando vi è una questione di “disconnessione culturale” genitore-figlio, o quando le opinioni del giovane non sono “sufficientemente allineate con chi li sostiene a casa”. L’obiettivo deve invece essere quello di fornire un rifugio ai bambini che altrimenti potrebbero subire danni fisici o sofferenze psicologiche.

Oggigiorno un teenager può dichiarare una identità LGBTQ che non viene assecondata in casa e sostenere che questa carenza di supporto mette a rischio la sua salute mentale. “Per i nostri giovani senzatetto, oltre il 90% di loro cita i conflitti familiari come causa della loro situazione”, ha affermato Suzanne Sullivan, Chief Advancement Officer di YouthCare, e mi ha confermato che quasi il 30% dei giovani nella sua casa di accoglienza si identifica come LGBTQ+. “Vediamo moltissimi giovani che hanno diverse identità sessuali o di genere che non ricevono supporto a casa. Presso YouthCare, crediamo che ogni persona giovane meriti di vivere la propria vita appieno e questa include l’identità di genere e quella sessuale. Lo affermiamo in tutte le nostre sedi e riteniamo inaccettabile il fatto di non affermarlo”, ha continuato. YouthCare ospita adolescenti e giovani adulti dai 12 ai 24 anni.

Per quanto riguarda i servizi per l’infanzia negli stati che considerano la “cura affermativa di genere” come l’unico modo dignitoso per trattare un adolescente problematico che abbia improvvisamente deciso di essere transgender, il potere che lo stato concede loro di ostacolare e persino allontanare i genitori che si oppongono a questi trattamenti è allarmante. Ho chiesto a Sullivan se gli adolescenti che vengono a YouthCare subiscono abusi a casa. “Ci sono molti individui giovani, pertanto ogni storia è unica e ogni storia è diversa. E ci sono tutte le diverse forme di maltrattamento, degrado e abbandono. In alcuni casi i bambini vengono cacciati. In altri se ne vanno”.

In uno stato che garantisce ai minori, dai 13 anni in poi, il controllo sul loro trattamento di salute mentale – in una società che definisce sempre di più “abuso” tutta una serie di limiti che un genitore potrebbe porre all’identità di genere o all’esplorazione sessuale del minore – è abbastanza facile per un adolescente con problemi decidere che i genitori sono “dannosi per la mia salute mentale”. Una minaccia convincente di suicidio sembra sufficiente per far guadagnare ad un bambino il diritto illimitato di stare presso un centro per giovani, dove può uscire con altri adolescenti e liberarsi da una supervisione che invece sarebbe fondamentale. (Ho parlato con un genitore fuori da Washington il cui figlio quindicenne problematico ha avuto la possibilità di fumare marijuana e sviluppare un problema di alcolismo presso un centro di accoglienza, secondo una valutazione psichiatrica che ho esaminato personalmente. Nel caso di Julie, mi aveva detto che, mentre Kayla era presso il centro YouthCare, riusciva spesso ad evitare le lezioni scolastiche su Zoom).

Dopo che Sullivan ha rifiutato di rispondere ad altre domande per telefono, le ho inviato una mail per commentare l’affermazione dei genitori secondo la quale “una volta che i loro ragazzi scelgono di stare in uno dei centri di accoglienza, se hanno più di 13 anni, difficilmente si riesce a farli ritornare a casa”. Sullivan, che molte volte durante la nostra chiamata mi ha invitata ad inviarle delle mail con le domande, ha risposto dicendo che non aveva nessun commento da fare.

Non è difficile comprendere perché un adolescente ribelle, che lotta con problemi di salute mentale, potrebbe non voler tornare a casa, quando si trova in un centro giovanile, anche se la famiglia è amorevole nei suoi confronti. Prendiamo ad esempio Lambert House, un “luogo sicuro per giovani lesbiche, gay, bisessuali, transgender e curiosi di LGBTQ, di età compresa tra gli 11 e i 22 anni”, secondo quanto si legge nel loro sito web. Le attività che vi si svolgono comprendono Minecraft, Gare di poesia / Arte condivisa, Saturday Night Lambert Live! e Ragazzi che amano i ragazzi. Potrebbe apparire come una serie di divertenti attività sociali per studenti universitari. E’ invece è un po’ più preoccupante se si considera che, sulla base di un’analisi del calendario delle attività, molti degli eventi sembrano facilitare la socializzazione tra chi ha 22 anni e gli undicenni. Ho chiamato più volte Lambert House per chiarimenti, ma non sono mai stata richiamata.

Sono riuscita, comunque, a parlare con Vernadette Broyles, presidente e fondatore della Campagna per i Diritti dei Bambini e dei Genitori. Avvocato laureato ad Harvard, Broyles rappresenta i genitori nella custodia dei bambini, nei servizi di protezione dei bambini e nelle cause scolastiche.

Ho chiesto a bruciapelo a Broyles se anche lei aveva notato lo stesso schema che avevo notato io, vale a dire genitori amorevoli che portano un adolescente con istinto suicida al pronto soccorso, dove viene identificato come trans, e che poi rimane intrappolato in una rete di servizi per l’infanzia che non lo abbandonerà più? “Sì, questo è uno dei modelli”, ha risposto. “Stiamo vedendo modelli a livello nazionale… Uno di questi è l’erosione, deliberata e sistematica, dei diritti dei genitori”. Broyles ritiene che questa erosione lasci le ragazze, soprattutto, “eccessivamente vulnerabili”.

Secondo i genitori che ho contattato è difficile mettere in discussione questo comportamento. Una madre con cui ho parlato ha detto che è stato il suo stesso terapeuta a chiamare i Servizi per la Protezione dell’Infanzia dopo che gli aveva spiegato, durante una seduta terapeutica, perché aveva scelto di non “accettare” la sua giovane figlia adolescente che si identificava come transessuale. In questo caso, ha detto la mamma, l’assistente sociale ha accettato la spiegazione della madre che questo non costituiva un abuso. E per questo si considera fortunata.

Che consiglio dà Broyles ai genitori se i servizi di protezione dell’infanzia si presentano alla loro porta? “Senza un mandato o un’ordinanza del tribunale, non parlate con loro. Non lasciate che vostro figlio parli con loro. Non dovete assolutamente permettere loro di interrogare vostro figlio, con o senza di voi. Non fateli entrare in casa vostra, non fateli entrare nella vostra auto. Non fateli entrare nella vostra stanza di ospedale se siete in ospedale, non fateli entrare nella stanza con voi se siete in uno studio medico. Non fateli entrare senza un mandato o un’ordinanza del tribunale, indipendentemente da quel che dicono. Perché una volta entrati, annoteranno tutto ciò che dite o che dice vostro figlio e potenzialmente lo potrebbero usare contro di voi. E poi l’altra cosa che dovete sapere è che c’è la possibilità che vadano in tribunale, da un giudice, unilateralmente, e ottengano un ordine del tribunale per portare via vostro figlio. Questo è decisamente possibile”.

Continuando la storia di Ahmed, ho parlato col terapeuta di Syed, un esperto di autismo, per scoprire come si è comportato da quando si è trasferito coi suoi genitori e la sorella da Washington. Ha confermato ciò che suo padre mi aveva già detto: Syed non ha più tendenze suicide, né crede di essere transgender. Come un qualsiasi ragazzo autistico di 17 anni, mostra uno sviluppo intellettuale sorprendentemente avanzato, mentre in ambito sociale può risultare piuttosto infantile: sta facendo un lavoro avanzato in filosofia, mi dice, ma rimane anche affascinato dai My Little Ponies di sua sorella.

E questo va più che bene per sua madre e suo padre.

 

Articolo di Abigail Shrier* pubblicato sulla rivista USA City Journal  

Abigail Shrier è una scrittrice che vive a Los Angeles ed autore di Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Daughters.