Ma quanti nomi ha cambiato il virus, nostro nemico?
Battezzato ufficialmente come Sars-coV-2 dai pastori della scienza, il virus ha conosciuto svariate facce e definizioni durante la sua cavalcata nell’immaginario dell’opinione pubblica.
Affacciatosi con la regalità di Coronavirus, subito si è preso lo scettro dei media e della politica per governare le menti e le azioni dell’intera umanità. Coronavirus! Un nome unico, dall’assoluta capacità di sintesi e dalla portata mitologica, non poteva che brillare di efficacia sebbene fosse una forzatura da un punto di vista tecnico. Si trattava infatti di una sorta di sineddoche con cui si indicava una piccola parte col nome di tutta la generica categoria (i coronavirus), cosicché i puristi della lingua e della scienza già cominciavano a storcere il naso chiamandolo covid 19 (che poi è in realtà il nome della conseguente malattia).
Covid 19 si è imposto man mano sulla scena finendo prima col sovrapporsi e poi col sostituire l’ormai vecchio ed impreciso Coronavirus. Da subito si è mostrato più freddo e asettico, come se stesse ad indicare un temuto settore di un carcere, una specie di braccio della morte che con sé reca impressa la data come suggello. Una definizione ideale per un titolo di un brutto romanzo postmoderno. Tutto da solo, senza ricorrere ai crismi dell’ufficialità, si è spogliato del numero, ha lasciato cadere il 19 per divenire sinteticamente covid. Niente da fare, anche lui dopo un po’ ha perso carica virale nel circolo mediatico ed è stato soppiantato da Variante. Una sinistra definizione dal sapore di genetica. Un geniale concetto tautologico che rinvia all’infinito. Non più una circoscrizione del pensiero e del nemico ma un’entità che non appena la tocchi diventa altro da sé, rinviando alla sua indefinita moltiplicazione all’infinito.
Il barbaro invasore rischiava allora di non poter esser più affrontato con le sue stesse armi, sul suo stesso terreno laboratoriale dove risiede l’industria bellica della scienza farmacologica. Si è detto che Variante rinvia sempre ad altro da sé; è un po’ come il concetto di essere in filosofia inteso e declinato a seconda dell’immaginario filosofico del momento, trapiantato poi nelle menti inconsapevoli della massa.
Un nome così astratto correva il rischio di fluttuare nell’indeterminato, di perdersi tra le pieghe di un universo lontano per vedere indebolita la sua morsa pericolosa. Allora Variante il sostantivo si è man mano sposato con aggettivi evocanti popoli e nazioni che nella logica bellica fanno sempre un certo effetto. Variante inglese, sudafricana, indiana: infine il nemico torna ad avere un paese e un volto come agli albori della triste storia. Dapprima era stata la Cina, poi l’Italia ed ora si scivola verso il mondo anglosassone e i suoi vecchi domini coloniali.
A quel punto le trincee tornano ad esser visibili. Basta chiudere l’ingresso alle truppe ospedalizzate anglofone per difendersi. Però non basta: il virus circola così come slittano le sue gabbie semantiche. Variante si consolida oramai, è la formula dell’essere più efficace proprio perché vuota e quindi abbinabile a qualunque altra cosa venga in mente. Allora gli aggettivi antropocentrici cadono per lasciar erigere nuovi simboli di portata universale. Ecco allora entrare in scena Variante Delta. E da dove viene fuori? Che cos’è? Non avrà mica a che vedere col delta del Gange, ovvero ancora cogli indiani? Oppure evoca la forma del triangolo propria della lettera greca?
Sarebbe più raffinato lasciar andare il pensiero al delta dei fiumi dove il corso delle acque finisce di scorrere tra i limiti delle sponde per confondersi nelle acque del mare e perdersi definitivamente. Fatto sta che la nuova definizione ha efficace impatto e un’andatura politicamente corretta. Lascia infatti da parte popoli, nazioni e stati evitando possibili discriminazioni; e allo stesso tempo diventa più misteriosa, evoca la Grecia e con essa qualcosa di esoterico che starebbe benissimo come titolo di un nuovo capolavoro hollywoodiano: La Variante Delta.
In attesa del nuovo nome con cui si proverà a dare un volto minaccioso all’invisibile nemico di questi strani tempi, ci teniamo stretti la definizione di pandemia, un’eufonia che pare evocare qualcosa di assoluto. E magari si suggerisce di non sottovalutare possibili alternative, come il p greco, capace di imporre un fascino matematico-filosofico oppure i vecchi cari colori come ai tempi in cui si parlava semplicemente di febbre gialla o peste nera. Certo i colori non sono infiniti e scadono come ogni moda vestiaria che si rispetti, però conserverebbero ancora una gran forza di suggestione sull’immaginario popolare.