Il quotidiano francese Libération ha rivelato l’esistenza di una nota della Direzione Generale per la Sicurezza Interna (DGSE) attestante che la Francia era a conoscenza dei versamenti effettuati dal produttore di cemento Lafarge a favore dell’ISIS.
Fin dal 2014, lo Stato francese era quindi informato di queste transazioni, stimate attorno ai 13 milioni di euro, attraverso i suoi servizi di intelligence.
Quando è stata rivelata l’esistenza di questi accordi finanziari tra Lafarge e l’ISIS, che hanno portato ad una prima incriminazione del gruppo francese nel 2018, molti si sono interrogati sulle responsabilità dello Stato.
Matthieu Rey, ricercatore presso il CNRS e specialista in particolare della Siria, sottolinea in un’intervista rilasciata all’Agenzia Anadolu, che si trattava “di un’ulteriore prova delle connessioni esistenti tra Lafarge e l’ISIS”.
Egli spiega che il produttore di cemento ha continuato a gestire uno dei suoi siti “anche se il territorio era finito sotto il controllo” di gruppi terroristici, ricordando, inoltre, che “in questi casi vi è un contributo obbligatorio”.
Secondo Matthieu Rey, le autorità giudiziarie potevano presumere l’esistenza di questi accordi finanziari.
“Ritengo che occorra ugualmente parlare del Medio-Oriente perché purtroppo si rischia di dimenticare”, ricorda lo storico, precisando che le rivolte popolari iniziate nel 2011 “non sono ancora finite” e che “le popolazioni continuano a rivendicare la fine degli autoritarismi brutali”.
Infine deplora il fatto che la “soluzione di sicurezza” sia stata l’unica attuata, in particolare in Siria, per combattere l’ISIS, senza che “fosse proposta una soluzione politica”.
Dopo la rivelazione di “Libération”, le reazioni sui social network, sia su quelli politici che quelli dei principali media, indicano chiaramente la responsabilità dell’esecutivo, allora guidato da François Hollande, presidente della Repubblica e Manuel Valls, primo ministro.
Thomas Porte, portavoce del movimento Générations, sottolinea che il “governo di François Hollande ha lasciato che venisse finanziato l’ISIS per salvare il produttore di cemento Lafarge” e fa notare che “all’epoca Emmanuel Macron stava passando da segretario aggiunto dell’Eliseo a ministro dell’Economia” e che era quindi “al centro del reattore”.
“Che cosa sapeva? Deve essere fatta luce. Velocemente”, prosegue Porte che si sorprende, peraltro, del “silenzio radiofonico dei media” mentre un “Presidente della Repubblica in carica, un ex-primo ministro e un ex-presidente sono al centro di uno scandalo di stato nel quale sono sospettati di aver lasciato finanziare l’ISIS per aiutare un’azienda”.
Da parte sua, il capofila di France insoumise e deputato, Jean-Luc Mélenchon, punta il dito contro coloro che “lasciano finanziare l’ISIS”.
Da un punto di vista puramente giuridico, la Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’imputazione di Lafarge, ha rinviato la sentenza al 7 settembre.
Mentre Lafarge è già stata incriminata dal 2018 per dei fatti di “finanziamento del terrorismo”, “violazione di embargo” e di “mettere in pericolo la vita” dei suoi dipendenti in Siria.
La più alta corte giudiziaria deve pronunciarsi sull’accusa di “complicità in crimini contro l’umanità” annullata dalla corte d’appello nel 2019.
In questo caso sono perseguiti anche l’amministratore delegato Bruno Lafont, l’ex-direttore della sicurezza Jean-Claude Veillard e uno degli ex-dirigenti della filiale siriana, Frédéric Jolibois.