Dopo aver fatto l’esperienza delle primarie nel Municipio Roma V ho deciso di dare seguito al mio impegno elettorale abbracciando il progetto politico di Demos. Io che sono musulmano, in un partito di cattolici. Perché?
Per prima cosa sgombriamo il campo dall’idea che Demos – Democrazia Solidale sia un partito confessionale. Il più dei militanti di Demos vengono dalla palestra di vita della Comunità di Sant’Egidio ma Demos è un partito laico. Come seconda cosa poi va precisato che il sottoscritto non mira ad instaurare un califfato a Roma ma ritiene che i musulmani in Italia debbano dare il loro contributo alla vita politica del paese e che lo debbano fare uscendo dal binomio buonismo-cattivismo nei loro confronti.
Quello che ho trovato in Demos è una declinazione a me congeniale dell’etica religiosa nell’ambito dell’impegno politico-sociale. Non meno importante poi, per me, il fatto che stiamo parlando di una forza politica che si colloca nel campo progressista. Per le Elezioni Amministrative a Roma siamo nella coalizione di centro-sinistra che sostiene Roberto Gualtieri come candidato sindaco.
Uno spazio per la mia identità religiosa
In Demos ho trovato lo spazio politico che cercavo perché nell’idea di società plurale perseguita da Demos si dà in qualche modo per scontato che l’etica religiosa abbia pari dignità in politica rispetto ad altre visioni del mondo, e perché in questo pluralismo c’è posto anche per i fedeli della religione islamica. Dovrebbe essere un fatto scontato ma purtroppo viviamo in una società laicista che tende a relegare il fenomeno religioso nella sfera individuale e privata (andando contro l’art. 19 della Costituzione), e in un clima di islamofobia che accentua il costante attacco al sacro se la religione in questione è l’Islam.
In politica come per altri aspetti della vita quotidiana, soprattutto per i musulmani, questo si trasforma in una pressante richiesta di mimetismo religioso. Ho fatto l’esperienza di candidarmi alle primarie di coalizione per il Municipio Roma V ed ho notato, a sinistra, un imbarazzo lessicale nel menzionarmi che ha portato molti a parlare di me come di un capopopolo degli immigrati, anche tra chi ha espresso apprezzamenti per la mia candidatura, negando di fatto piena cittadinanza alla mia religione. Invece io sostengo l’importanza del ruolo della religione nella critica al neoliberismo e alla sua agenda politica. E ribadisco la legittimità di farlo da musulmano e da sinistra.
Il mio percorso politico
Sono portatore sano di una cultura politica di sinistra, sono stato un sindacalista Cobas e poi sono scivolato nel disinteresse prima e nell’antipolitica grillina poi. Una persona che non c’è più, si chiamava Roberto, mi ha riportato a sinistra e per alcuni anni, fino alle primarie di giugno, sono stato impegnato nelle iniziative politiche del deputato e consigliere capitolino Stefano Fassina, a cui devo molto. Le logiche che investono la politica in prossimità di ogni scadenza elettorale mi hanno fatto vedere alcune cose sotto una nuova luce ed alla fine ho scelto Demos.
L’incontro con Demos
Demos nasce nel 2018 con (da statuto) “una proposta comunitaria che si oppone a tutti i fenomeni disgregatori della nostra società” e per “un’identità nazionale plurale, inclusiva e aperta”. E’ un partito che mette la persona al centro di una nuova proposta politica, che non dimentica mai gli ultimi e che per le amministrative a Roma è in campo con lo slogan Capitale Sociale.
Durante il voto delle primarie ho incrociato (nemmeno tanto) virtualmente Demos quando, soprattutto nei seggi in cui hanno votato tantissime persone di origine straniera, si è creato un ticket “naturale” tra il coordinatore di Demos Paolo Ciani, che correva per la carica di candidato sindaco, e me che partecipavo alla corsa per essere il candidato presidente del Municipio V.
Nella mia campagna elettorale avevo chiesto ovviamente di votare me per il Municipio V ma avevo suggerito un concorrente di Paolo per il Campidoglio. Alcuni miei elettori però hanno preferito abbinare Paolo e me, suggerendomi in qualche modo che forse era il momento di cambiare.