Coloro che hanno accolto e sostenuto la presa di potere di Kais Saied con entusiasmo più o meno sincero – dal sindacato UGTT al partito Attayar – ora aspettano che il Presidente gliene renda merito e fanno a gara a presentargli le loro roadmap.
Lo stesso stanno peraltro facendo le cancellerie straniere. Tuttavia mentre queste ultime fanno il loro mestiere e dispongono di qualche merce di scambio i corpi intermedi della società tunisina che si sono spogliati senza colpo ferire delle proprie prerogative fanno la pura e semplice figura di questuanti.
Ha buon gioco in questo contesto il rais a trattarli con sdegno altezzoso. In un video diffuso dalla pagine Facebook della presidenza ironizza sulle roadmap – “un termine straniero che è stato esportato da noi da potenze straniere”. Lo traduce con il termine arabo kharitat – la traduzione letterale sarebbe kharitat altariq.
Ma roadmap, lo sappiamo, è una metafora, e se il termine viene tradotto in arabo perde il suo contenuto metaforico per mantenere quello letterale di “mappa”, “carta geografica”. E così il rais, sornione: “Volete una kharitat, una mappa? Scusatemi ma la geografia non è il mio forte …”
Dalla sua presa di potere il 25 luglio il linguaggio di Kais Saied è passato da quello del capo di stato che si richiama alla legalità costituzionale a quello del leader carismatico la cui risorsa non è la legge ma la forza. Il 25 luglio giustificava le proprie procedure con l’articolo 80 della Costituzione e a chi osava timidamente contestare la realtà di tale dispositivo rispondeva con l’ironia sprezzante che sempre di più è diventata la cifra del suo linguaggio: “Andate dunque a rileggerlo, l’articolo 80, oppure tornate al corso di base in materia!”. A quel momento le sue milizie presidiavano – impedendone l’accesso – il Bardo (sede del parlamento) e la Kasbah (sede del governo).
Poi sono arrivate le estromissioni e le nuove nomine amministrative. Nei governatorati, nella televisione, nell’Istanza di Lotta alla Corruzione, nella magistratura. E soprattutto nel Ministero dell’Interno.
E il linguaggio di Kais Saied si allontana sempre di più da quello della legalità costituzionale per diventare quello della legittimità popolare. Se prima prometteva che avrebbe al più presto nominato un nuovo primo ministro (le voci di strade, in assenza di notizie ufficiali, dicono che lo avrebbe proposto a sette persone che tutte hanno rifiutato) ora ha incominciato a dire che non c’è tanta fretta. E che per quanto riguarda il futuro “di carte geografiche non se ne intende”.
Non è solo una battuta di spirito. Parlare di roadmap come termine d’importazione è un’allusione trasparente alle discrete pressioni arrivate da più parti, in particolare dagli USA, a ripristinare quanto prima il normale funzionamento degli organi democratici.
E come spesso avviene in questo tipo di costellazione politica vi è un fondo di verità in questo enunciato di Kais Saied, il leader che parla l’arabo classico che in Tunisia pochi conoscono e molti disprezza(va)no (ieri un tassista sentendo il mio arabo fusha mi ha detto “Parli come Kais Saied”).
La verità è che insieme alle parole si importano modi di pensare. Che non sempre attecchiscono o producono gli stessi frutti che hanno prodotto nelle loro terre di origine. Non a caso l’Assemblea Costituente aveva scelto per l’organo supremo che incarna la volontà popolare il termine nuovo di majlis nouab ash-shaab – l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo. Il linguaggio popolare continuava però a riferirsi ad essa con il termine di derivazione francese barlaman.
Oggi l’ARP è stata “congelata” – termine senza alcuna base giuridica ma da tutti accettato – da Kais Saied che non ha nessuna intenzione di ripristinarla perché “l’unica roadmap che intendo seguire e applicare con determinazione è quella del popolo tunisino”.
E in quanto alle cose che intende fare, l’unica politica che intende seguire, ribadisce, è “la politica della volontà popolare”. Un linguaggio, come si vede, che ha già fatto piazza pulita di qualsiasi principio ancorché fittizio di legalità costituzionale.