Oggi si celebra il ventennale della tragedia delle Torri Gemelle di New York quando due aerei l’11 settembre 2001 si sono abbattuti nei due più grandi grattacieli degli Stato Uniti, infine disintegrandosi e portando alla morte circa 3000 persone che erano al suo interno.
La narrazione ufficiale è ormai nota perché ripetuta spasmodicamente per anni, con la stessa implacabile scenografia e con la stessa forza suggestiva che viene attualmente replicata per il fenomeno Covid 19, fatte le dovute differenze di contenuto.
All’epoca, sin da poche settimane dopo i fatti, situazioni e ragioni varie ci coinvolsero nella nostra veste di avvocato nell’analisi e nella difesa e nell’approfondimento di quei fatti. Infatti, se le motivazioni e le responsabilità reali di quell’evento drammatico, per noi furono fin da allora chiare e ben diverse dalla narrativa ufficiale dovendo fornire una motivazione a quello che era un progetto americano risalente ad almeno un decennio prima.
Si trattave dell’intenzione di attaccare l’Afganistan e l’Iraq con la scusa che, nel primo caso, lì fossero annidati e protetti i responsabili dell’attentato (e di altri compiuti nello stesso giorno in territorio americano con altri aerei) indicati in Bin Laden e nell’organizzazione Al Qaida mentre nel secondo caso si sosteneva che il paese disponesse di “armi chimiche di distruzione di massa”.
Qualcuno osservò che la sicurezza ostentata a quest’ultimo proposito dagli Stati Uniti derivava dal fatto che loro stessi avevano fornito quelle armi chimiche con l’invito ad usarle per sterminare la popolazione iraniana durante il conflitto “Iran-Iraq” e che, non essendo riuscito Saddam Hussein in questo intento per la strenua difesa iraniana, è stato punito con la mancata annessione del Kuwait che gli era stato promesso come premio della vittoria e dell’abbattimento della Repubblica islamica dell’Iran.
Da qui la reazione di Saddam che invadeva quel paese motivato “in pectore” dal fatto che egli aveva comunque affrontato una sanguinosa guerra di 8 anni anche se non vittoriosa. Il seguito è noto. L’invasione del Kuwait era stata la motivazione per la prima guerra all’Iraq e al suo regime lanciata da Bush padre.
Era evidente che la tragedia delle Torri Gemelle e il clima mediatico del pericolo del terrorismo islamico che doveva preparare le operazioni belliche di invasione dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi, avesse anche una ricaduta non soltanto sul piano culturale, con una crescente ostilità e diffidenza verso l’Islam in generale, non soltanto politico ma anche religioso. Ed anche su questo c’è poco da aggiungere, ci si ricorderà i titoli dei giornali, gli inviti a difendersi e a guardarsi dal vicino di casa musulmano e via dicendo.
L’offensiva giudiziaria
La ricaduta più grave, tuttavia, è stata senz’altro quella di carattere legislativo e giudiziario. Infatti la guerra condotta sui fronti afghano ed iracheno, pur militarmente coinvolgente anche l’Italia e l’Europa, era in fondo lontana geograficamente e i reverberi erano soprattutto di carattere mediatico. Invece, nella vita delle città europee si riversavano tutte le conseguenze della campagna mediatica di odio, di ostilità e di propaganda che avevano accompagnato le ragioni della guerra.
Avveniva pertanto che, inevitabilmente, ma sempre funzionalmente al progetto generale e principale dell’attacco all’Islam e alla sua cultura unito alle ragioni strategiche ed economiche legate che determinano la geopolitica, in Europa venisse creata una “legislazione d’emergenza” dove non è più il compimento di reati a costituire la ragione di un’incriminazione e di una condanna, ma il pericolo” che qualcosa potesse accadere basandosi su una “dottrina di prevenzione”.
Su questa base nacque quello che in tutta Europa fu qualificato come l’art. 270 (270 bis secondo i paesi) in base al quale associazioni islamiche o gruppi di persone unite da un vincolo di solidarietà anche soltanto ideale o ideologica veniva qualificato come “terrorista”, o “associazione terroristica”, comunque finalizzata a dare sostegno e supporto logistico ad Al Qaida e analoghi associati. Questo anche senza alcun collegamento reale; bastava l’accesso a siti che si erano anche rivelati come “siti civetta” creati dai “servizi occidentali” per far abboccare gli ingenui che si aveva interesse ad accusare e processare oppure una frequentazione ritenuta eccessiva delle moschee e dei centri islamici, il portare la barba troppo lunga o esclamare “Allahu akbar”!
Questo molto sinteticamente ed esemplificando al massimo, per capirsi.
Nella nostra veste di avvocati abbiamo trattato almeno 27-30 casi dove erano accusati gruppi, moschee, religiosi colti nottetempo nelle loro abitazioni con mogli e figli, lavoranti e viventi in Italia anche da 10-15-20 anni e ritenuti “fiancheggiatori” o potenziali tali, di Al Qaida o analoghe strutture. Si può immaginare le sofferenze, le esagerazioni, le ingiustizie, le costruzioni, le falsificazioni, in quei processi sui quali abbiamo scritto un libro di ben 1.700 pagine il cui titolo era significativo: “Il terrorismo islamico – falsità e mistificazione all’esito dei casi giudiziari, delle risultanze oggettive e delle indagini geopolitiche, storiche e sociologiche”.
Si, all’esito soprattutto dei casi giudiziari perché tutti i processi più gravi dove era contestato di tutto, dal progetto di abbattere chiese, metropolitane, caserme, mercati, il Duomo di Milano, attraverso attentati anche suicidi, (i famosi kamikaze) si risolvevano in assoluzione piene dopo anni di carcere in attesa di giudizio e durante i processi, degli imputati.
Nelle rare condanne, invece, il tutto si ridimensionava all’accusa che, persone o gruppi volevano semplicemente recarsi in Afghanistan o in Iraq per unirsi ai gruppi di resistenza locali contro l’esercito di invasione americano e i suoi fiancheggiatori europei e le condanne venivano contenute in quattro, cinque, massimo sei anni.
Questo perché, in ogni caso, essendo le operazioni di invasione di quei territori qualificati come “operazione di liberazione” volte a portare la libertà a quei “poveri popoli” al fine di emanciparne le donne costrette al velo, liberalizzare gli austeri e severi costumi e, nella più ipocrita delle ipotesi, a sostituire quella che è una religione di odio come l’Islam con una di amore come il Cristianesimo, soprattutto anglosassone, ogni atto di ostilità verso questo “esercito di liberazione” non poteva essere visto come operazione di guerra o di guerriglia ma, comunque, come terrorismo.
A ciò facevano poi da cornice in quei luoghi “stragi”, “attentati”, operazioni stragiste reali attribuite a presunti kamikaze, affinchè fosse credibile che l’esercito di invasione erano andato in loco per difendere le popolazioni e affinchè fosse credibile che gli aspiranti fiancheggiatori, volevano recarsi in quei posti per unirsi agli stragisti e non per difendere i territori dall’invasione nemica.
Tutto ciò, all’epoca era falso; divenne invece vero molto dopo con la creazione da parte dei servizi americani dell’ISIS-Daesh o definito “Califfato islamico”. Qui misteriosamente (ma non troppo) tutto divenne vero: veri i tagliagole, vere le pretese del grottesco pseudo-califfato di sottomettere i paesi dove da anni gli Stati Uniti avevano progettato di stabilire basi militari per avvicinarsi lentamente alla Russia e all’Iran con aspirazioni infine verso la Cina.
Ma questa è un’altra storia che non possiamo qui riassumere nè collegare alle vicende che hanno avuto seguito dopo l’undici settembre 2001 e che hanno segnato un cambio della strategia politica USA nella gestione di gruppi estremisti e nel coinvolgimento dei Paesi arabi in questa politica. Tutto ciò senza dimenticarci del ruolo di Israele, ma appunto ci fermiamo qui dove inizia il “post 11Settembre” ed inizia qualcos’altro.